domenica, Dicembre 22, 2024

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Afghanistan: tentativi di inventare un bilancio statale

Mentre la fame e l’inverno attanagliano il popolo

di Laura Sestini

In soli quattro mesi di Governo talebano, l’Afghanistan sembra essere tornato indietro di un secolo, nonostante le promesse dei nuovi governanti all’Occidente, che già in anticipo inducevano a pensare ad una farsa combinata, malcelata e davvero poco credibile.

Le donne sono di nuovo strette in una morsa di prigionia civile, poiché in brevissimo tempo sono scomparsi i pochi diritti acquisiti in 20 anni di presenza dei militari statunitensi e alleati; bandite dall’istruzione e dal lavoro, d’ora in poi non potranno più allontanarsi da sole oltre 72 chilometri di distanza senza la presenza di un uomo; regola appena decisa ed applicata dal Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio. Contro gli ulteriori divieti, le donne che hanno osato protestare scendendo in strada sono state intimorite dai colpi dei miliziani sparati in aria con i kalashnikov.

Tra violenze di ogni genere perpetrate su ex-collaboratori delle forze militari occidentali, ma anche su soggetti incriminati di contravvenire alla Legge coranica o qualsivoglia cittadino – uomini anziani compresi – che non rimangano entro i limiti imposti dai miliziani di turno, regolarmente presi a bastonate per strada, se non percossi con le stesse armi che i Talebani portano sempre a tracolla, di cui si trovano numerosi video sui social, ciò che adesso incalza a trovare una soluzione rapida sono le casse dello Stato vuote e la fame di una buona parte della popolazione.

La crisi economica e lavorativa sfavorisce le fasce più deboli della popolazione; padri di famiglia fanno fatica a trovare qualche lavoretto per sbarcare la giornata, e portare a casa l’indispensabile per i figli – a comprare il pane. I bambini hanno iniziato a lavorare al posto dei genitori, costretti a lasciare la scuola per andare a lustrare scarpe per strada o, quelli più piccoli, chiedere l’elemosina lasciati seduti per strade polverose. Le bambine di famiglie più povere vengono vendute o scambiate in spose per pochi soldi, pur di avere una bocca in meno da sfamare.

In questa situazione, per cui la crisi umanitaria sembra davvero imminente, i bambini più piccoli solo coloro che subiscono maggiormente, per non avere abbastanza nutrienti per la crescita, quindi anche soffrendo di malattie collaterali.

Il governo talebano non è stato riconosciuto dagli altri Stati, se non dal confinante Pakistan – gemello di fondamentalismo islamico – che ha dato grande sostegno nell’ascesa al potere degli ‘eredi’ di Osama Bin Laden, durante la veloce conquista armata del Paese e la dismissione del presidente Ashraf Ghani; quindi sono stati congelati i fondi afghani nelle banche estere e non si possono inviare aiuti umanitari, alimenti e beni di prima necessità, per la popolazione in sofferenza.

Il 22 dicembre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – per scongiurare la morte di centinaia di migliaia di persone con il sopraggiungere dell’inverno, ha adottato all’unanimità una Risoluzione affinché gli aiuti umanitari arrivino in Afghanistan senza violare le sanzioni poste dall’Occidente contro i Talebani. Come giungeranno fino nel Paese e soprattutto alla popolazione gli aiuti umanitari, se il controllo dell’aeroporto è in mano al governo dei miliziani?

Attualmente sull’uso dell’aeroporto c’è una disputa interna. I Talebani hanno fermato tutti i voli degli sfollati afghani – diretti negli Stati Uniti via Doha in Qatar o in altri Paesi – delle ultime settimane; si discute per la gestione dei voli e chi sia autorizzato a prendere posto sugli aerei di evacuazione.

Prima di Natale una delegazione turco-qatariota si è recata in visita in Afghanistan per proporre ai vertici governativi ad interim un piano di gestione a due dell’aeroporto internazionale di Kabul, e per comprendere maggiormente le precise esigenze che costoro hanno al riguardo. La Turchia gestiva già da sei anni l’aeroporto, fino al momento della ‘fuga’ statunitense di agosto e relativi partner NATO. In base a questo, e per affermazione di Imamuddin Ahmadi, portavoce del Ministero dei Trasporti e dell’Aviazione – lo riporta l’agenzia turca Tolu – un primo consenso sembra già siglato e riguarderebbe la torre di controllo, l’assistenza a terra e sezioni tecniche, nonché gli altri aeroporti del Paese – Herat, Kandahar e Balkh.

L’aeroporto, prima di essere fermato, veniva utilizzato per i voli della Qatar Airways acquistati dagli Stati Uniti per trasferire via Doha gli sfollati da portare al sicuro in Virginia, presso il centro di accoglienza a loro destinato. La Qatar Airways è l’unica compagnia che ha ricevuto il consenso di regolari voli sull’aeroporto di Kabul. Tutto questo è filato liscio finché i Talebani – con la tesi che loro gestiscono il Paese e anche lo spazio aereo di competenza – in cambio chiedono di aver riservati alcuni posti su detti voli, per persone da loro selezionate che andranno a lavorare in Arabia Saudita, Qatar e altri Paesi del Golfo. Non si conoscono i criteri di selezione e chi siano realmente gli Afghani che prendono il volo per lavorare altrove ed ‘inviare’ denaro in Afghanistan. La necessità di contante è urgente nelle casse del potere talebano, in primis per pagare gli stipendi dei lavoratori pubblici, quindi i selezionati potrebbero essere miliziani deputati a tale scopo, o semplici cittadini che lasciano la famiglia in loco nelle mani dei Talebani – da poter usare come oggetto di ricatto talora la persona decidesse di ribellarsi al dovere impostogli. Quindi spedire soggetti a lavorare all’estero, al momento è uno degli espedienti del Governo per recuperare denaro ed ‘inventarsi’ delle risorse economiche per il bilancio statale.

Ad un certo punto la Compagnia aerea si è rifiutata di trasportare i cittadini indicati dal Governo talebano, a causa di liste dei passeggeri incomplete e fittizie; per reazione i voli sono stati bloccati.

Tra le domande da porsi sui voli e sulle persone che riescono a salire in aereo, però ne risulta ancora una carica di misteri, ma senza ‘onesti’ riscontri.

Secondo il Dipartimento di Stato statunitense, più di 74.000 cittadini Afghani sono già stati evacuati negli Stati Uniti dopo il ritiro dei militari, con l’Operazione Allies Welcome. L’operazione, iniziata un anno prima dell’evacuazione delle forze armate dall’Afghanistan, aveva l’obiettivo di controllare i dati personali di 50 mila collaboratori locali – tra interpreti, guide ed altro – a cui rilasciare il visto di ingresso negli USA come rifugiati. Al contrario, in 12 mesi solo circa 18 mila persone hanno ricevuto i regolari documenti, quindi c’è un ‘buco’ di circa 55 mila individui che Joe Biden si è portato a casa senza avere certezze di chi possano essere.

La domanda è questa: come mai ancora decine di migliaia di Afghani, compresi quelli che hanno lavorato per le forze armate statunitensi e per organizzazioni occidentali, stanno ancora cercando di lasciare il Paese, mentre altri non legalmente verificati ne hanno già varcato i confini? Lungi dal pensare che possano essere presunti terroristi, ma ciò potrebbe anche verificarsi per potenzialità dei numeri e l’eterogeneità di queste persone, altresì considerando che oltreoceano, attivisti per i rifugiati non riconoscono molti degli arrivi come quelli che ne avessero diritto, priorità, a lasciare l’Afghanistan.

Soprattutto: con i filtri di controllo talebani all’aeroporto, chi hanno lasciato passare e chi invece hanno costretto a rimanere in loco?

Sabato, 1 gennaio 2022 – n° 1/2022

Il copertina: bambini afghani in attesa di cibo – Foto di archivio Onu Italia

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