lunedì, Dicembre 23, 2024

Teatro & Spettacolo

Antigone ed i suoi fratelli

Come la tragedia greca vive ancora oggi

di Alberta Candio

Sono seduta sulle poltrone rosse del Piccolo Teatro Don Bosco di Padova, e sta per andare in scena “Antigone e i suoi fratelli” di PEM – Potenziali Evocati Multimediali – nell’ambito della XX rassegna teatrale “Arti Inferiori” promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova in collaborazione con Arteven.

Come ogni anno la programmazione è ricca di spettacoli di altissimo livello, ma tre mesi fa, quando mi sono imbattuta nel primo manifesto, l’occhio è stato attratto da questo spettacolo e dalla compagnia che lo porta sul palco.

Potenziali Evocati Multimediali è una impresa sociale nata a dicembre 2021 da una classe della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino a cui si sono uniti Roberto Tarasco e Gabriele Vacis.

Li ho visti per la prima volta la scorsa estate e li ho amati dal primo istante: una compagnia di ragazzi poco più che ventenni, attori eccezionali. Quando portano la loro arte e loro stessi sui palchi del Veneto, state sicuri che nelle prime file troverete anche me e, spesso, mio figlio: fare innamorare del teatro un dodicenne non è facile, e loro ci sono riusciti.

PEM ci porta di nuovo a Tebe alle cui porte è schierato Polinice e, con lui, un esercito di Argivi, i valorosi abitanti di Argo. Polinice reclama il trono della città che, dopo un anno di reggenza del fratello Eteocle, gli spettava di diritto; ma Eteocle si rifiuta di cedere il potere. La tensione è altissima: entrambi stanno facendo presidiare le sette porte della città di Tebe, ognuno con sette dei loro più forti guerrieri.

Immagine di scena – Foto: Andrea Macchia

Polinice ed Eteocle sono due dei quattro figli della stirpe maledetta di Edipo: figlio di Giocasta e Laio, re di Tebe, venne abbandonato perché morisse e non si portasse a compimento la profezia dell’oracolo di Delfi che aveva preannunciato a Laio un susseguirsi di disgrazie in seguito alla nascita di un erede. Edipo non morì: venne trovato dal re di Corinto e cresciuto come suo figlio ma decise di abbandonare Corinto e di andare, invece, a Tebe. Fu sulla strada verso la città che il destino, contro cui non si può nulla, fece incontrare Edipo e Laio, suo padre, ignari dell’aspetto l’uno dell’altro e ignari di chi avevano di fronte. In seguito a un alterco fra i due per un diritto di passaggio, Laio venne ucciso.

Il nuovo re di Tebe divenne Creonte, fratello di Giocasta che annunciò che avrebbe dato in moglie la sorella e ceduto il trono a chi sarebbe riuscito a risolvere l’enigma della Sfinge, il mostro con il corpo da leone, la coda di serpente, le ali di rapace e la testa di donna che minacciava e incuteva timore dal monte Ficio. Edipo, ormai arrivato in città, decise di cimentarsi nell’impresa e rispose agli indovinelli della Sfinge sconfiggendola, diventando, così, re di Tebe e inconsapevolmente marito di sua madre, Giocasta. Dalla loro unione nacquero quattro figli: Eteocle e Polinice, Antigone e Ismene. Quando anni dopo, Edipo capì di avere ucciso suo padre, sposato sua madre e generato figli e fratelli, si accecò e si costrinse all’esilio.

Siamo quindi alla vigilia della guerra, una guerra che Giocasta cerca di scongiurare provando, inutilmente, a convincere i figli a trovare un accordo. Polinice e Eteocle non sono disposti a fare un passo indietro nelle loro posizioni, sono giovani, hanno sete di potere e su di loro incombe la profezia e la maledizione. Combattono l’uno contro l’altro e muoiono, uno per mano dell’altro, nello stesso giorno. E’ Giocasta a chiudere loro gli occhi e a darsi la morte in preda alla disperazione, vittima del destino contro cui non si può nulla, e colpevole di aver approfittato di Laio pur di avere un figlio, quel figlio che è diventato marito e rovina.

Immagine di scena – Foto: Andrea Macchia

Alla fine è l’esercito tebano di Eteocle ad avere la meglio e sconfiggere quello degli argivi. Creonte diventa nuovamente re e vieta che il corpo di Polinice, il nemico, sia sepolto in terra tebana, imponendo invece che venga lasciato in pasto a uccelli e cani e che chiunque si opponga a questa decisione venga punito con la morte. Ma la giovane Antigone non accetta la legge di Creonte, la legge degli uomini, e rivendica il dovere di seppellire il corpo di Polinice in nome dell’amore per il fratello e dell’obbedienza alle leggi degli dei, quelle non scritte e inviolabili.

Per Antigone non ha importanza chi sia il nemico, chi il vincitore e chi il vinto, chi sia l’invasore e chi il re: per Antigone sono entrambi fratelli e sono entrambi morti.

Antigone è disobbedienza e ribellione: è la donna che sfida il potere degli uomini. Creonte è il patriarcato che rifiuta l’idea che una donna, “solouna donna, metta in dubbio la sua parola, contesti la sua legge, poco importa se quella donna da condannare a morte è sua nipote: l’obbedienza non conosce vincoli di sangue. Creonte sente minacciata la sua virilità: «Io non sono un uomo, ma l’uomo è costei, se quest’audacia le rimarrà impunita».

Immagine di scena – Foto: Paolo Ranzani

Antigone non arretra, pronta alla morte pur di seppellire il fratello e chiede aiuto a Ismene, la sorella, l’unica altra sopravvisuta alla maledizione della sua famiglia. Ismene ha un’altra tempra, cerca di convincere Antigone ad abbandonare il suo progetto, la supplica di non condannarsi a morte, di non lasciarla sola. Di fronte allo sprezzo di Antigone per la sorella, non riesco a non vedere anche in Ismene la grandezza: la donna che a modo suo, un modo accondiscente forse, dimostra la sua ribellione. Ismene vuole vivere, sa di avere ancora vita davanti, Ismene non ha “mai letto Proust” e sa che non può portare indietro i fratelli ma può essere donna che dà la vita in un mondo di uomini che danno la morte.

Creonte si convincerà, anche granzie all’intervento del figlio e dei saggi della città, a non condannare a morte la ragazza ma a rinchiuderla a vita in una grotta e a dare degna sepoltura a Polinice. Ma sarà la stessa Antigone a uccidersi: finalmente ascoltata ma già morta. Il grido di una donna ascoltato quando ormai è troppo tardi. E ci vengono in mente, ricordate anche dai ragazzi sul palco, le troppe donne uccise dagli uomini per la loro personale ribellione, vittime sempre più numerose dei femminicidi.

La tragedia di Antigone è stata scritta 500 anni prima della nascita di Cristo: 2500 anni fa, ed è ancora una storia modernissima. E i ragazzi di PEM, ci fanno scoprire la sua modernità inframezzando, nel loro modo tipico e magico, la modernità al mito, la fragilità quotidiana odierna a quella del passato.

Ci confessano che invidiano chi ha qualcosa per cui combattere, chi ha la possibiltià di scegliere un ideale e ce lo dicono con vergogna, perchè loro (noi) sono i privilegiati dalla storia, quelli che hanno mille possibilità, mille libertà fra cui scegliere. Quanto vorrei dire loro che se a 20 anni è difficile scegliere, a 40 si tende a non farlo. Potrei essere la loro madre e sarei fiera del loro coraggio ma anche del loro timore, della presenza che hanno di loro stessi e della voglia smodata di dare un senso ai loro giorni e al mondo che si trovano a vivere, della delicatezza potente con cui interrogano noi e loro stessi attraverso la tragedia antica e la tragedia odierna.

Anche stasera io non so cosa è successo, c’è stato un momento in cui è sicuramente successo qualcosa di meraviglioso e doloroso, di cui ci hanno resi testimoni privilegiati e che è servito da catarsi. Un dolore che è anche mio perché Alberta è Giocasta che vuole proteggere i suoi figli, Alberta è Antigone che ha da poco sepolto un fratello, Alberta è Ismene che vuole fare ancora delle cose per convincersi che la vita va avanti anche se ci sono dolori che non puoi superare.

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Lo spettacolo è andato in scena al Piccolo Teatro Don Bosco – Via Asolo, 2 a Padova – lunedì 4 marzo 2024 alle ore 21.00

Antigone e i suoi fratelli

da Sofocle, adattamento e regia Gabriele Vacis

con (in ordine alfabetico) Davide Antenucci, Andrea Caiazzo, Lucia Corna, Pietro Maccabei, Lucia Raffaella Mariani, Eva Meskhi, Erica Nava, Enrica Rebaudo, Edoardo Roti, Letizia Russo, Daniel Santantonio, Lorenzo Tombesi,Gabriele Valchera, Giacomo Zandonà

scenofonia e ambienti Roberto Tarasco

pedagogia dell’azione e della relazione Barbara Bonriposi

dramaturg Glen Blackhall

suono Riccardo Di Gianni

cori a cura di Enrica Rebaudo

Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

in collaborazione con Associazione culturale PEM

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Sabato, 9 marzo 2024 – Anno IV – n°10/2024

In copertina: immagine di scena – Foto: Andrea Macchia

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