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Argentina: l’interruzione volontaria della gravidanza diventa legale

Si compie il riscatto dei diritti delle donne

di Laura Sestini

Oltre quindici anni di lotta delle donne e dei movimenti femministi argentini sono stati necessari per vedere finalmente legalizzata l’interruzione volontaria di gravidanza, e il diritto legittimo delle donne di gestire il proprio corpo – ivi comprese maternità indesiderate o causate da stupri.

La vittoria della Campaña Nacional por el Derecho al Aborto Legal, Seguro y Gratuito – movimento femminile argentino nato espressamente per questa battaglia di civiltà e che si è coordinato con altri collettivi di donne per la depenalizzazione e la legalizzazione dell’aborto – è stata segnata da un percorso lungo e faticoso, e ben otto proposte di legge, regolarmente respinte dal Senato argentino.

Un successo che riverbererà il conquistato diritto delle mujeres argentinas de las villas in tutta l’America Latina, dove l’interruzione volontaria di gravidanza è consentita per legge solo in Uruguay, le due Guyana, lo Stato di Città del Messico e a Cuba, Paese apripista nel lontano 1965 – e dove, nel 1936, le donne potevano già esercitare il diritto di voto (ma di questa come di tante altre battaglie di civiltà vinte nello Stato caraibico, in Occidente, si preferisce tacere).

Ai movimenti femministi, in Argentina, si è sempre contrapposta la Chiesa cattolica, istituzione molto potente e seguita in tutta l’America del Sud, nonché i movimenti cattolici di difesa della vita’.

Il 30 dicembre, l’annuncio dell’approvazione della legge è della Presidente del Senato Cristina Fernández de Kirchner che, grazie ai pannelli digitali posizionati in centro città a Buenos Aires (dove è stato trasmesso in tempo reale il voto senatoriale), ha scatenato lunghissimi minuti di gioia, musica e balli tra le centinaia di migliaia di donne che hanno occupato strade e piazze in attesa dello storico risultato.

Nonostante le aspettative, anche questa volta l’approvazione del disegno di legge da parte del Senato ha rischiato di saltare, ed è stato accettato solo dopo l’inserimento dell’obiezione di coscienza; delle settimane entro cui si può interrompere la gravidanza ridotte a 12 rispetto alle 14 richieste; e della tutela della privacy delle minorenni fino a 16 anni, vittime di stupro.

Precedentemente, nella terra dei gauchos, l’interruzione volontaria di gravidanza era permessa solo a seguito di violenza sessuale, anche senza autorizzazione giudiziaria, o nei casi che mettevano in pericolo la vita della puerpera.

Ancora numerosissimi al mondo i Paesi che non concedono questo tipo di diritto alle donne. Tra i più prossimi a noi è facile indicare la Polonia, dove le donne negli ultimi anni sono scese in piazza a più riprese per manifestare contro le restrizioni sempre più severe – riguardo all’ivg – imposte dal Governo guidato da Mateusz Jakub Morawiecki, esponente del partito Diritto e Giustizia, un movimento di destra conservatore e clericale.

Le restrizioni succitate iniziano nel 2016, con l’azione di un precedente governo dove la maggioranza era sempre appannaggio del partito di Morawiecki; anche se, fin dagli anni 90, la posizione dei governi polacchi nei confronti dell’interruzione volontaria di gravidanza abbia teso verso l’illegalità di tale pratica. Occorre anche precisare che, al contrario, negli anni del regime comunista (60/70) era permessa su richiesta esplicita delle donne.

Mentre Morawiecki chiede ai suoi sostenitori di proteggere la Chiesa’, il governo polacco – composto per lo più da uomini – ha lentamente cancellato l’idea stessa di diritto, lasciando una debolissima apertura solo nel caso di stupro e salute della gestante.

Manifestazioni contro le restrizioni antiabortiste in Polonia

Dopo le ultime manifestazioni di piazza a novembre 2020, durate tre settimane, Morawiecki ha concesso un nuovo dibattito parlamentare sulla questione.

In Polonia (come accadeva in Argentina o in Italia), una delle conseguenze principali del divieto all’interruzione volontaria di gravidanza è strettamente connessa con l’appartenenza delle donne a ceti sociali più o meno abbienti. Queste ultime, infatti, non hanno la possibilità di accedere – in ogni caso clandestinamente – a cliniche private a causa del costo eccessivo delle prestazioni mediche. In questo modo si vengono a creare circuiti di aborti clandestini di fortuna, in precarie condizioni igieniche, che mettono in pericolo una volta di più la vita la vita stessa delle gestanti. Chi ha mezzi economici, non ha limitazioni alla propria volontà di abortire, con l’aiuto di medici consenzienti o recandosi all’estero, dove la legge lo permette.

In Europa, anche l’Irlanda del Nord ha ricevuto il via libera dal Parlamento britannico solo a luglio 2020 – quando è entrato in vigore il Northern Ireland Act 2019, che estende anche alle donne nord-irlandesi lo stesso diritto delle loro corrispettive residenti nel resto del Regno Unito.

Precedentemente, nelle 6 contee nord-irlandesi, ci si rifaceva a una legge del 1945 – il Criminal Justice Act – che permetteva l’interruzione di gravidanza solo se la vita della donna era a rischio, mentre lo vietava perfino in caso di stupro, incesto o malformazioni gravi del feto.

Nella cattolicissima Repubblica d’Irlanda, invece, la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza è stata conquistata a inizio 2019, dopo la vittoria del referendum costituzionale del 2018 per l’abolizione del divieto di aborto e grazie alle lotte femministe proseguite per anni. Ma ancora a poche settimane dalla fine del 2020, molti risultano gli ostacoli all’applicazione della legge, tantoché le donne sono tornate in piazza per protestare, recitando lo sloganFuori i rosari dalle nostre mutande” – mentre, in contrapposizione, rimane sempre attivo il proselitismo antiabortista.

In Italia la Legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza è stata approvata nel 1978, conquistata grazie alle lunghe lotte dei movimenti femministi e all’appoggio di tante esponenti femminili del mondo della cultura ma anche del teatro e del cinema (forse non tutte, oggi, ricordano le donne famose che si autodenunciarono per essere ricorse a un aborto, anche se non lo avevano fatto). Prima di allora l’interruzione volontaria di gravidanza era considerata un reato penale.

Con la Legge 194, l’Italia stabilisce che una donna può effettuare l’interruzione volontaria di gravidanza in una struttura pubblica entro i primi 90 giorni “solo se comporta un pericolo per la salute fisica o psichica della donna” (non esistono però forme per l’accertamento di tale pericolo ed è sufficiente la dichiarazione della donna stessa). Differenti i tempi e le modalità per le interruzioni terapeutiche.

Sabato, 2 gennaio 2021

In copertina: Immagine slogan della Campaña Nacional por el Derecho al Aborto Legal, Seguro y Gratuito.

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