La ricetta ‘Bolsonaro’
di Luiz Santos Lima
Nota del Direttore, Laura Sestini. Il Brasile è il secondo Paese al mondo per casi di contagio da Covid-19 con un totale di 12.664.058 positivi, mentre si contano 317.936 vittime (fonte Worldometers) alla data del 31 marzo 2021. Sui numeri Covid del Brasile bisogna fare attenzione alle percentuali: essendo un Paese con 210 milioni di abitanti, i numeri sono importanti, ma inferiori, in proporzione, a quelli riguardanti il nostro Paese. Nonostante ciò da oltre un mese le vittime sono circa 2.500 al giorno, con un picco vicino a 4 mila decessi il 31 marzo, ma il Governo – nei 13 mesi dall’inizio della pandemia – non ha contribuito molto a frenare l’ascesa dei contagi, e del numero delle vittime, poiché il Presidente Jair Bolsonaro ha fin da subito rifiutato l’idea dell’esistenza del virus, in buona compagnia dell’amico ed ex Presidente Donald Trump.
Contestato sia dalla popolazione che dagli stessi parlamentari, Bolsonaro ha provveduto, giorni fa, a un rimpasto politico, destituendo ben sei ministri, tra i quali il Ministro della Difesa – il generale Fernando Azevedo e Silva. Un vero passo falso di Bolsonaro, che finora era stato sostenuto soprattutto dai militari – una potente forza politica a tutti gli effetti. La reazione non si è fatta quindi attendere: i Capi di Stato Maggiore (esercito, marina e aviazione) hanno rimesso i loro incarichi nelle mani del nuovo Ministro Walter Sousa Braga Netto – di fatto allontanandosi dal Presidente finora protetto. La situazione politica brasiliana ha improvvisamente deviato, e non sono ancora prevedibili le conseguenze, mentre la popolazione, in ambito sanitario, rimane nelle mani di dio. L’ex Presidente Lula – recentemente scarcerato con una sentenza della Corte Suprema – considera Bolsonaro ‘il più grande genocida del popolo brasiliano’, mentre lo spettro della dittatura militare durata oltre 20 anni rimane sempre nell’aria.
Sulla situazione brasiliana attuale, riguardo alla pandemia, scrive Luiz Santos Lima – musicista che a lungo ha soggiornato in Italia – con una sintesi della realtà del suo Paese.
Il 27 gennaio 2020 ero in Italia, a Firenze, da dove – nel primo pomeriggio – stavo per ritornare in Brasile dopo un periodo di due mesi nel capoluogo toscano, per partecipare ad alcuni eventi in occasione dell’uscita del mio nuovo lavoro musicale Mutações. Fino a quella data tutto aveva funzionato normalmente, ma solo pochi giorni dopo sarebbe partito l’allarme nazionale per un fenomeno che si stava verificando in regione Lombardia, nel nord del Paese: ovvero il contagio del nuovo virus corona (Sars-Cov-2) e la malattia da esso causata, il Covid-19, con un numero crescente di persone positive e molti decessi.
Già di ritorno in Brasile, nei giorni successivi e attraverso i giornali italiani, mi sono reso conto e ho potuto seguire cosa stava succedendo in Italia, come il virus si stesse diffondendo con crescita esponenziale nei vari Paesi dell’Unione Europea, oltre che in Cina, dove il virus aveva avuto origine. Tre settimane dopo, quando l’argomento era già diventato il tema principale nei media europei, con misure di isolamento sociale e blocco già in fase di adozione, in Brasile la questione praticamente continuava a essere ignorata.
Ricordo di averne parlato con gli amici e di aver speculato sulla portata della catastrofe che, molto probabilmente, sarebbe avvenuta nel nostro Paese all’arrivo dell’epidemia – date le condizioni di densità demografica e precarie situazioni igienico-sanitarie degli alloggi nelle favelas e nelle periferie delle grandi città in genere. Il primo caso di contagio in Brasile è stato registrato il 26 febbraio a San Paolo, in un cittadino arrivato dall’Italia. L’11 marzo 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato lo stato di pandemia – epidemia con tendenza a diffondersi in tutto il mondo. Purtroppo la mia previsione è stata rapidamente confermata, non solo dalle suddette condizioni di gran parte degli alloggi della popolazione brasiliana, ma anche, e soprattutto, a causa della posizione negazionista irresponsabilmente (per me, criminale) assunta dal governo di estrema destra del presidente Jair Bolsonaro.
Da quando sono tornato a vivere in Brasile – dopo i 25 anni vissuti in Italia (dal 1990 al 2015) – la mia attività principale è stata quella di studente presso l’Unicamp (Università di Campinas): inizialmente partecipando al Master di Musica, con un progetto di ricerca nell’ambito della musicologia, e successivamente con il dottorato, sempre in musica, ma con un progetto di ricerca finalizzato all’educazione musicale. Proprio per questa particolarità, legata al tema del dottorato, ho trovato utile candidarmi anche all’Unicamp per un ‘rientro’ nel corso di laurea che non avevo completato a Rio de Janeiro (Unirio), dato il trasferimento in Italia nel 1990. Ho superato gli esami di rientro e, quindi, ho ripreso il programma del corso, essendo riuscito a far approvare un buon numero di esami sostenuti nella mia laurea triennale presso il Conservatorio di Livorno.
Quando la pandemia ha iniziato a insediarsi tra noi – in mezzo ad ansie e naturali preoccupazioni – man mano mi sono adattato, come tutti, al contesto senza precedenti emerso con l’isolamento sociale; la chiusura dei negozi e della maggior parte delle istituzioni pubbliche e private; l’uso di mascherine e alcol gel; l’interruzione delle lezioni in aula e la nuova possibilità di incontri a distanza. Per fortuna ero abbastanza attrezzato e con un minimo di pratica (considerando che sono della generazione ‘analogica’) per fare collegamenti via internet, in modo da poter seguire i corsi a cui mi ero iscritto all’Unicamp senza grosse difficoltà. Penso, però, con rammarico a quanti studenti possano aver avuto la stessa fortuna nel nostro Paese, così assurdamente disuguale.
Verso la metà di luglio sono rimasto scioccato dalla notizia della morte, vittima del terribile virus, di un amico, della mia generazione e della stessa città di origine, Natal, nel Rio Grande do Norte. Attualmente, in Brasile, abbiamo superato le 300 mila vittime. Questo è molto triste – e anche disgustoso – se pensiamo che tale numero avrebbe potuto essere molto più basso se avessimo avuto un Governo davvero interessato alla vita della popolazione.
Il vaccino contro il virus viene annunciato come la soluzione definitiva che consentirà un ritorno alla ‘normalità’ di prima. Si spera che sia così. Ma ci sono molte incognite. Lo stile di vita basato sul consumismo insostenibile, prevalente nella società moderna, purtroppo non è incoraggiante. È infatti estremamente urgente che il percorso che stiamo seguendo venga invertito – come grida giustamente la generazione dell’attivista adolescente svedese Greta Thunberg.
C’è chi pensa che la pandemia possa risvegliare sentimenti come la solidarietà. Speriamo possa essere così e che l’umanità, dopo tutto, nel suo insieme, faccia qualche passo avanti.
La speranza è vitale.
Sabato, 3 aprile 2021 – N° 10/2021
In copertina: Una manifestazione popolare contro Jair Bolsonaro. Foto Luiz Santos Lima (tutti i diritti riservati).