venerdì, Novembre 22, 2024

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Bulgaria: gli effetti del ricatto energetico russo

Come le ‘nuove regole’ di Putin potrebbero velocizzare la diversificazione di approvvigionamento

di Katya Lybiahovska

Le sanzioni internazionali contro la Russia sono state sentite in maniera concreta sul corso della valuta russa. Ricerche di mercato finanziario riportano che dall’inizio della guerra il Rublo ha perso il 30% del suo valore.

La risposta da parte di Mosca non si è fatta attendere ed il 31 marzo il Presidente Vladimir Putin ha firmato un nuovo decreto di “contro sanzioni” secondo il quale i Paesi “ostili” alla Russia sono tenuti a pagare le forniture di gas in Rubli. Come previsto dal decreto, l’eventuale rinuncia a seguire le nuove regole porterà all’interruzione delle forniture per i paesi “ribelli”. Una mossa logica quanto strategica da parte del Presidente russo che è stata definita dal Consiglio Europeo e il capo dello Stato ucraino Zelenskyj come un “ricatto energetico”. Per quanto provocatoria e rischiosa, la decisione di Putin ha raggiunto il proprio obiettivo, ovvero rafforzare il Rublo, nonché alzare ulteriormente il prezzo del gas in Europa.

I primi paesi che si sono scontrati con le nuove regole di pagamento sono stati la Polonia e la Bulgaria, entrambi vicini al territorio russo e sostenitori dell’Ucraina.

Sia la Polonia che la Bulgaria avevano rifiutato di pagare secondo lo schema russo, decisione che, prevedibilmente, ha portato serie conseguenze. Il 26 aprile il colosso “Gazprom”, fornitore primario dei due Paesi, ha annunciato che avrebbe interrotto drasticamente le forniture di gas naturale a partire dal 27 aprile. I Governi dei due Paesi hanno annunciato che la mancanza di gas russo non porterà alla crisi energetica e che già hanno dei piani concreti per garantire le forniture anche tramite paesi terzi. I leader europei affermano che nessun paese della Comunità accetterà di pagare in Rubli.

Oltre al fatto che il nuovo metodo di pagamento richiesto da Putin non rispetta il contratto già esistente, confusione ha creato anche il trasferimento indiretto dei soldi scelto dal leader russo. Vengono evidenziate possibili speculazioni su eventuali pagamenti che verranno effettuati con la partecipazione di un terzo paese.

Per chiarire la questione e non lasciare spazio a interpretazioni controverse, l’Ambasciata russa in Bulgaria ha pubblicato e spiegato sul proprio profilo Facebook lo schema preciso secondo il quale si effettueranno i futuri pagamenti: gli acquirenti stranieri aprono due conti speciali alla Gazprombank, un conto in valuta estera e uno in Rubli. L’acquirente paga l’importo specificato nel contratto con la valuta estera scelta. La Gazprombank vende la valuta alla borsa di Mosca e trasferisce la somma in Rubli nel secondo conto dell’acquirente, che di seguito potrà pagare il proprio debito nei confronti di “Gazprom Export”. Soltanto dopo aver completato la procedura il gas viene erogato. Non è prevista partecipazione di terze parti nello schema. Inoltre Putin ha spiegato che il pagamento in Rubli non significa necessariamente prezzi meno convenienti per l’Europa.

Manutenzione alle condutture Gazprom – Foto: Gazprom.ru

Nonostante i chiarimenti, secondo il parere espresso dai paesi dell’Unione Europea e ripetuto più volte da rappresentanti del Governo bulgaro, lo schema di pagamento è rischioso. Si afferma inoltre che in base a questo schema non c’è nessuna garanzia reale che gli acquirenti riceveranno il gas dopo aver effettuato la transazione, visto che il denaro passerà attraverso una banca affiliata a Gazprom e non attraverso un istituto finanziario indipendente.

Per un paese come la Bulgaria, rinunciare al gas russo è una decisione molto rischiosa dato che più di tre quarti del gas naturale utilizzato nel Paese proviene appunto dalla Russia. Secondo alcune ricerche pubblicate da “Europa Libera” però il settore energetico bulgaro non è fortemente dipendente dal gas naturale, che ai dati del 2019 rappresenta solo il 12,9% del mix energetico del Paese. La Bulgaria dipende maggiormente dai combustibili solidi – come il carbone – al 28,1%, dal petrolio per il 25,5%, e dall’energia nucleare per il 22,7%. Ci sono altri paesi nell’Unione Europea che dipendono maggiormente dalle forniture di gas naturale dalla Russia – Ungheria (95%), Slovacchia (85%) e Repubblica Ceca (100%).

Intanto i tentativi di indipendenza totale dal gas russo sono in corso. Il 2 maggio Bulgargaz ha annunciato di aver approvato sette offerte di forniture con il prezzo più basso per compensare le consegne sospese di Gazprom. La Bulgaria aveva già firmato un contratto per la fornitura di un miliardo di metri cubi di gas all’anno dall’Azerbaigian. Al momento il gas non viene consegnato per intero perché l’interconnessione con la Grecia non è ancora completata. Il Governo sostiene che la costruzione del connettore in questione sarà completata entro la metà del 2022 e sarà operativo immediatamente dopo. Ad ogni modo è un’affermazione vista ancora con non poco scetticismo.

Mentre il Governo bulgaro sta facendo accordi per velocizzare la diversificazione, la tensione dovuta all’aumento dei prezzi dell’energia rischia di mandare in crisi il Paese. All’inizio di maggio l’Associazione dei datori di lavoro nel sistema dell’Istruzione pubblica ha segnalato che immediatamente dopo l’estate numerose scuole e asili saranno costretti a chiudere per insufficienza di fondi, se non verranno aumentati i sussidi per il loro mantenimento con almeno il 40% in più. L’intero settore educativo è sotto minaccia se a partire da settembre non riesce a pagare le bollette di elettricità e carburante. Negli asili il mancato pagamento dell’energia e l’aumento dei prezzi di prodotti alimentari porteranno prima alla riduzione della qualità del cibo offerto ai bambini e poi alla chiusura delle strutture.

Proteste non mancano anche nel settore dei Trasporti, che è quello in più grande pericolo, e sarà il primo a crollare se i prezzi del carburante continuano a aumentare e il Governo non prende misure per compensare gli imprenditori privati. Il 27 aprile i centri delle città più grandi sono stati bloccati da autisti e altri rappresentanti del settore. Il 5 maggio si è tenuto un breve incontro tra il Primo Ministro e i rappresentanti delle più grandi ditte di trasporto, i quali sono rimasti completamente insoddisfatti nonché offesi dalle risposte del Premier Kiril Petkov. Di conseguenza si sta organizzando una nuova protesta nazionale con inizio il 10 maggio che prevede la sospensione del trasporto passeggeri.

Sabato, 7 maggio 2022 – n° 19/2022

In copertina: Lakhta Center/Лахта центр – Sede di Gazprom a San Pietroburgo – Foto: Anton Galakhov

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