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Cronache libiche: durerà la tregua?

Dal governo ad interim alle elezioni politiche del 24 dicembre, passando per l’attentato a Fathi Bashagha

di Laura Sestini

Il 17 febbraio 2021 è stata la data di anniversario del 10° anno dallo scoppio della rivoluzione libica – evento che portò alla delegittimazione popolare di Muhammar Gheddafi e infine alla sua morte mentre cercava di nascondersi – torturato e orrendamente trucidato il 20 ottobre 2011 – a Sirte, sua città natale, durante le operazioni per la sua cattura portate avanti dalla coalizione Usa/Francia con la complicità del Consiglio Nazionale della Transizione – il governo ad interim della rivoluzione.

Nei dieci anni intercorsi – nonostante i numerosi interventi Onu per una tregua, governi ‘imposti’ e rimpasti politici – la situazione è andata sempre peggiorando (https://www.theblackcoffee.eu/libia-oggi/). Un numero imprecisato di civili libici – quando la rivoluzione trasformò la Libia in un luogo di caos estremamente violento – fuggì verso la vicina Tunisia, grazie a un accordo bilaterale tra i due Paesi che permette di passare il confine senza il visto. Al seguito dei libici fuggì anche la maggioranza dei lavoratori subsahariani, spesso a piedi, in direzione di Ras Jedir – il più vicino punto frontaliero da Tripoli – per timore di essere scambiati per miliziani jihadisti arrivati dal sud del Paese (o da oltre il confine sudanese) a reclamare la loro parte di guerra per il potere. Il numero dei profughi libici in Tunisia, impossibilitati ancora oggi a tornare alle loro case, è difficile da valutare, perché non ci sono censimenti o statistiche.

La voce di Ibrahim, 38 anni, è commossa quando parla della sua giovinezza in Libia e, dopo dieci anni di esilio nella capitale Tunisi, sogna di tornare dalla sua famiglia a Tripoli. Sposato con una tunisina, Ibrahim è fuggito dalla Libia nel 2011, dopo essere stato accusato di essere un sostenitore di Gheddafi, rapito e gettato in prigione per otto mesi, come altri suoi connazionali. La situazione economica in Tunisia adesso è peggiorata e da ex-autista di minibus, per riuscire a sfamare i suoi tre figli, è finito a lavorare nei campi, per l’equivalente di 100 Euro al mese.

Anche Fouad è fuggito dopo essere stato rapito da una milizia affiliata agli islamisti, a Tripoli. Era considerato pro-regime perché lavorava presso una commissione per la comunicazione pubblica. Quarantenne, le sue mani tremano quando ricorda la dolorosa esperienza della sua prigionia e delle torture subite. Nativo di Bengasi sogna di tornare a casa, ma ha poche speranze che il Paese si pacifichi, perché a suo avviso le milizie controllano sempre più territori e le autorità dell’Est – il popolo del maresciallo Haftar – non lo accetteranno facilmente.

Civili in fuga dalla Libia nel 2011 – Frontiera libico-tunisina di Ras Jedir.
Foto ©Laura Sestini/Archivio Ishtar Immagini (tutti i diritti riservati)

Entrambi – Ibrahim e Fouad – considerano le elezioni del 5 febbraio scorso a Ginevra, per l’ennesimo governo ‘dall’alto’ – sotto l’egida della Missione Onu in Libia (Unsmil) e il relativo Libyan Political Dialogue Forum (Lpdf) – una ‘mascherata’.

Nei fatti, il 5 febbraio scorso, a Ginevra, si sono riuniti 75 rappresentanti delle fazioni libiche con la ‘facilitazione’ dell’Onu, per scegliere il candidato Primo Ministro libico ad interim – e altre figure politiche essenziali – che avrà il compito di governare il Paese nel periodo di transizione, ossia fino alle prossime elezioni politiche, già previste per il 24 dicembre 2021.

La scelta dei rappresentanti libici è ricaduta su Abdul Hamid Mohammed Dbeibah come Primo Ministro – un noto uomo d’affari, già collaboratore alle politiche economiche di Gheddafi – mentre a capo del Consiglio Presidenziale andrà Mohammad Younes Menfi, ex-ambasciatore in Grecia, affiancato da Moussa al-Koni, rappresentante dei clan tuareg, e Abdallah Hussein al-Lafi, della città di Zuwara. Tra gli impegni firmati per le elezioni – novità assoluta che terremo d’occhio – la promessa del 30% degli incarichi di alto livello alle donne (sebbene quelle che finora hanno avuto il coraggio di denunciare la corruzione siano state uccise: vedasi il caso Hanan al-Barassi, n.d.g.).

Uno degli temi fondamentali che dovrà affrontare il neo Primo Ministro Dbeibeh – che sta formando la squadra di governo per il periodo di preparazione alle elezioni politiche nazionali (per una veloce cronostoria: https://www.theblackcoffee.eu/i-pirati-del-mar-mediterraneo/) – e su cui dovrà ottenere la fiducia entro il 19 marzo prossimo, è la questione delle innumerevoli milizie presenti nel Paese maghrebino (operative in molti casi per i propri interessi e l’acquisizione di potere), al soldo delle precedenti fazioni contrapposte. Infatti, sia il Governo di Accordo Nazionale (GNA su mandato ONU) di Fayez Al-Sarraj che l’Esercito Libico Nazionale (LNA) di Khalifa Haftar, durante tutto il periodo di conflitto militare per la difesa/conquista di Tripoli capitale, si sono avvalsi del sostegno di mercenari o contractor. Se il Primo Ministro al-Sarraj, designato nel 2015 dalle Nazioni Unite, è stato sostenuto dalla Turchia e dai mercenari islamisti provenienti dalla Siria trasferiti da Erdoğan, e dal Sudan; dalla parte opposta, Haftar, ha al suo seguito la Russia e i mercenari della guerra a questa prossimi – unità militari di mestiere – i contractor del gruppo Wagner.

Tutti questi soggetti armati, da quando è stata mediata la (precaria) tregua il 23 ottobre 2020, possono dirsi ‘disoccupati’ e in frenetica attesa dei prossimi risvolti politici. Anzi, possiamo affermare che il cessate il fuoco Onu di ottobre, prevedeva anche l’uscita inderogabile delle potenze straniere dal Paese – Russia, Turchia e affiliati – le quali, al contrario, stanno costruendo tutti i propri avamposti utili per il futuro, indifferenti alle richieste delle Nazioni Unite. La Libia, quindi, ha avuto, fino all’elezione di Dbeibeh, una sorta di vacuum di potere ufficiale, entro il quale tutti la fanno da padrone. “Ankara vuole mantenere la sua influenza in Tripolitania, dove ha appena ammodernato la base aerea di Al-Watiya in modo che possa ospitare i suoi F-16, e dove ha inviato centinaia di consiglieri militari e ottomila combattenti siriani per fermare l’offensiva del maresciallo Khalifa Haftar, dall’inizio dell’anno”, scrive La Stampa a ottobre 2020. E qualcosa di simile si può leggere qua e là a proposito della Russia, che ha interesse ad allargarsi nei territori di Haftar, verso sud, ai confini di Egitto e Sudan – e da voci di corridoio pare che stia costruendo un proprio oleodotto, per esportare petrolio a suo piacimento.

A sostegno di quanto appena descritto, si può inserire il tentativo di assassinio dell’ex Ministro dell’Interno del GNA, Fathi Bashagha, occorso appena due settimane dopo le elezioni di Ginevra – uomo politico che compariva anche tra i candidati a primo ministro sostenuti dalla emissaria Onu Stephanie Williams. La stessa Williams occupava la carica di inviato speciale Onu ad interim, da quando, a marzo 2020, Ghassam Salamé si era dimesso asserendo problemi di salute. Nel frattempo, il 16 gennaio scorso, è stato eletto come nuovo emissario Onu Unsmil, l’ex Ministro degli Esteri slovacco Jan Kubis, un diplomatico di lungo corso, esperto di Paesi in conflitto. Sempre riguardo all’attacco a Bashaga, è giusto precisare che il politico, vicino alla Turchia, ma anche all’Europa, era – e probabilmente ancora è, fatto che giustificherebbe anche il tentato omicidio – propenso all’integrazione militare lealista di tutte le milizie presenti in Libia, così da favorire un governo di unificazione e un esercito nazionale.

In accordo con i report delle Nazioni Unite, sul suolo libico risulterebbero almeno 10 basi straniere e migliaia di mercenari dislocati da Russia, Turchia e altri Paesi (Emirati Arabi Uniti, Egitto?). Ma come ricorda in un recente articolo Riccardo Noury – portavoce di Amnesty International Italia – durante i lunghi anni di guerra civile numerosi capi miliziani, alcuni dei quali anche ricercati dal Tribunale Penale Internazionale per gli atroci crimini commessi a danno di civili libici e migranti, sono stati integrati nei differenti governi, spesso in cariche di comando, e non obbligatoriamente nel Ministero della Difesa – come potrebbe risultare logico. Tra questi, il famoso Bija, mercante di uomini nel Mar Mediterraneo, che fu addirittura invitato in Italia – quale funzionario governativo libico – a una conferenza sulle politiche migratorie marittime; oppure i membri delle milizie Gheniwa, legittimati e stipendiati dal Ministero dell’Interno del GNA (quello a guida di Bashaga), riconosciuti quali assassini, torturatori e stupratori dei/delle detenuti/e dei quali erano i sorveglianti.

Infine, la Libia è un importante mercato per il traffico delle droghe, pesanti e leggere, di cui fanno ampio uso le bande armate, sia di spaccio che di consumo.

Sabato, 27 febbraio, 2021 – n° 5/2021

In copertina: Abdul Hamid Mohammed Dbeibah, Primo Ministro ad interim della Libia.

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