Una striscia di sangue, petrolio, purea e zuppa di pomodoro
di Giorgio Scroffernecher
Il bimotore Morane-Saulnier decollato a Catania, dopo un volo tranquillo, si stava preparando all’atterraggio a Milano Linate. Sopra le campagne pavesi il pilota azionò il meccanismo di fuoriuscita del carrello. In quel preciso momento l’aereo esplose in una grande fiammata, impressionante per chi la vide da terra. I frammenti del velivolo precipitando in fiamme sulla campagna bagnata da una pioggia lieve. I corpi si ritrovarono a fatica tra le sterpaglie. Erano i resti del pilota Irnerio Bertuzzi, Enrico Mattei e del giornalista William McHale di Time–Life, incaricato di scrivere un articolo su questo italiano notevole. Era la sera del 27 ottobre del 1962.
Enrico Mattei, geniale fondatore dell’Eni, stava riconoscendo ai paesi produttori di petrolio del Nord Africa e del Vicino Oriente il 75 % anziché il 50 % delle royalty agitando per questo le potenti Sette Sorelle petrolifere e il Dipartimento di Stato USA che bollava la politica energetica dell’Eni come neutralista, terzomondista, incubatrice di sentimenti anticoloniali e anti occidentali, quando non filocomunista.
La Commissione d’inchiesta dell’Aeronautica militare italiana nominata dal ministro della Difesa Giulio Andreotti, arrivò alla conclusione – in sintonia con il pubblico ministero Edoardo Santachiara – che l’incidente aereo era stato causato da eccessivo affaticamento fisico del pilota, forse indotto da una relazione extraconiugale con una hostess dell’Alitalia.
Una sentenza del giudice pavese Antonio Borghese dichiarò di «Non doversi procedere in ordine ai reati rubricati ad opera di ignoti, perché i fatti relativi non sussistono».
Tuttavia, il leader democristiano Amintore Fanfani in un convegno di ex partigiani bianchi (Mattei era figura importante della Resistenza cattolica), parlò espressamente di «abbattimento dell’aereo» di Mattei, raffigurandolo come «il primo gesto terroristico del nostro Paese».
Gaetano Jannì, Tommaso Buscetta, Italia Amato e altri collaboratori di giustizia di assoluta credibilità, sostennero che Mattei era stato ucciso dalla mafia siciliana desiderosa di rendere un favore alla consorella americana e alle Sette sorelle del cartello petrolifero.
Pier Paolo Pasolini scrisse “Petrolio” nel 1972 (pubblicato postumo 20 anni dopo), nello stesso anno Francesco Rosi realizzò il film “Il caso Mattei”. Per entrambi e per molti altri osservatori avveduti, Enrico Mattei è stato assassinato e i mandanti sono da ricercare tra i pozzi delle Sette Sorelle (le statunitensi Exxon, Mobil, Texaco, Standard oil of California (Socal), Gulf oil, l’anglo-olandese Royal Dutch Shell e la britannica British petroleum) insofferenti per questo italiano che riposizionava strategicamente la piccola Italia e, soprattutto, superava la visione coloniale e predatoria a vantaggio di un più corretto equilibrio di partnership tra le parti.
Questa ricorrenza sessantennale ci porta dritti davanti alle opere di Monet e Van Gogh imbrattate di purea e zuppa di pomodoro a cura dei giovanissimi dell’organizzazione ambientalista “Last Generation” con la loro campagna “Just Stop Oil”. Da una parte le mani pesanti e sporche di una industria petrolifera che da decenni moltiplica le sue ricchezze usando ogni mezzo per rallentare una ormai tardiva transizione energetica, facendosi principale responsabile del riscaldamento climatico oltre che di mille efferatezze come la morte di Mattei, dall’altra le giovani mani incollate con la colla istantanea al muro, per consentire il loro grido di allarme davanti a pubblico, giornalisti e servizio d’ordine museale impotente.
Senza nominare chi bolla come ideologia green in generale le istanze degli ambientalisti, colpisce che anche nella parte opposta del campo della politica e cultura, siano diffusi atteggiamenti cinici e derisori. Crozza venerdì scorso ha ironizzato su Greta Thunberg «forse in futuro la vedremo dirigere l’Ilva di Taranto» con riferimento alle sue mal interpretate osservazioni sulle centrali nucleari tedesche. In realtà Greta ha detto un’ovvietà: «Se già sono attive, penso che sarebbe un errore spegnerle per affidarsi al carbone».
Roberto Vecchioni da Gramellini sabato sera, ha detto che questi vandali dovrebbero stare in carcere a vita. E lo dice lui che il carcere di San Vittore l’ha conosciuto per quella storia di spinelli con i suoi studenti.
Ma il punto è, gli attivisti di “Last Generation” sono vandali? Loro sostengono che «Per evitare danneggiamenti alle opere prima di ogni azione ci consultiamo con restauratori professionisti per sapere come agire, quale colla usare o quanta pressione si può esercitare (dato che non sempre ci sarà il vetro) senza danneggiare l’opera».
Nel frattempo, dopo I Girasoli di Van Gogh a Londra e Il Pagliaio di Monet al Museo Barberini di Potsdam, in Germania, siamo arrivati alla torta in faccia – di cera – a Re Carlo III al Madame Tussauds di Londra, come era già successo a La Gioconda, in maggio a Parigi.
I precedenti ci sono anche in Italia dove due giovanissimi di “Ultima Generazione” hanno colpito La Primavera di Botticelli agli Uffizi di Firenze domandando mentre venivano arrestati «L’arte vale di più della vita? Più del cibo? Più della giustizia?».
La provocazione è forte, ma lo sono anche le parole scritte nell’ultimo report di questi giorni dell’IPCC, il Gruppo Intergovernativo Climatico dell’ONU, che ci aggiorna sui punti di non ritorno, sempre più prossimi e accelerati dalle concause, per i quali vanno presi provvedimenti «immediati!».
Stephanie Aylett, 28 anni, di St. Albans, dopo aver scontato con altri 25 attivisti inglesi la custodia cautelare in prigione per le azioni di protesta intraprese al terminal petrolifero di Kingsbury, ha dichiarato «Rimaniamo forti e risoluti nella nostra richiesta che questo governo interrompa immediatamente tutte le nuove licenze e consensi per nuovi progetti di petrolio e gas, perché il petrolio ci sta uccidendo. Quando un governo viene meno al suo dovere primario di proteggere i suoi cittadini, secondo la legge britannica abbiamo tutto il diritto di difendere noi stessi e le nostre comunità».
Gli attivisti di “Last Generation” sono dei pazzi? E noi che stiamo assistendo, perfettamente informati, ben surriscaldati da questa infinita estate, all’appuntamento con il punto di non ritorno, cosa siamo? Chi siamo noi, commossi davanti alla primavera di Botticelli, dimentichi del paradiso che ci è stato affidato proprio da questa generazione che si dichiara “Ultima”?
A questi giovani pazzi offriamo le parole di un pazzo, Mario, il maestro di scuola elementare messo a riposo anticipatamente per malattia mentale ben interpretato da Andrea Pennacchi nel serial TV “Tutto chiede salvezza” tratto dal libro potente di Daniele Mencarelli: «Secondo me i poeti, gli artisti, i matti hanno una cosa in comune. Che nessuno gli può dire cosa guardare e come guardarlo».
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Sabato, 29 ottobre 2022 – n° 44/2022
In copertina: attivisti di Last Generation al polo petrolifero di Kingsbury – Foto dal sito omonimo