Instabili Vaganti e le performance teatrali trasversali
di Laura Sestini
Dopo il progetto Beyond Borders, creato a distanza con alcuni performer di vari Paesi del mondo, a causa dei reiterati lockdown che hanno costretto tutti a casa nel 2020, ecco che nonostante la difficoltà di non poter esprimere il proprio linguaggio artistico in presenza – non tanto sul palcoscenico quanto fisico, di contatto – il duo teatrale Instabili Vaganti formato da Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola, già esperti in proposte di variegati spettacoli multimediali, trovano un nuovo animato filone per proseguire ‘Oltre i confini’ le proprie sperimentazioni performative su tematiche totalmente nuove.
Il settecentenario dalla morte di Dante Alighieri e l’affascinatissima ed intrigata Divina Commedia si sono rivelati un’occasione da non poter mancare. Una grande possibilità di approfondimento culturale dell’opera, unita alla ‘sfida’ di portarla in scena con linguaggi teatrali sintetici ed più contemporanei, ma anche attingendo all’arte della danza tradizionale indiana, che sorprendentemente sembra armonizzarsi perfettamente alle atmosfere surreali dell’opera del Poeta fiorentino. Nasce quindi Dante beyond the borders che calcherà il palcoscenico in prima mondiale nel celebre teatro “Rangashankara” di Bangalore, in India, il 30 novembre.
Ad Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola abbiamo chiesto di raccontarci la loro esperienza teatrale e sociale nel lontano continente indiano, dove immaginiamo che quasi nessuno conosca Dante Alighieri e la sua immensa opera in lingua fiorentina del 1300, unica al mondo.
Le risposte sono a doppia voce dei due artisti
Il nuovo spettacolo ‘Dante beyond borders’ nasce durante i lockdown dovuti alla pandemia. Il divieto di uscire di casa ha dato modo di attingere maggiormente alla propria immaginazione, seppur vincolando la performatività fisica del teatro? Oppure ha ostacolato la creatività, che prende ispirazione da più ambiti?
“Il lockdown e le conseguenti possibilità di azioni e spostamenti limitati hanno sicuramente consentito ad una realtà iperattiva e itinerante come la nostra, di concentrarci sulla ricerca che sta alla base di questo nuovo lavoro. Una ricerca sia drammaturgica, che intreccia alcuni canti de La Divina Commedia ad altrettanti passi del Mahābhārata, che visiva, dato che il periodo del primo lockdown ci ha consentito di iniziare una collaborazione in video e a distanza con la danzatrice indiana Anuradha Venkataraman, che ha portato alla realizzazione di 7 opere video. E’ da questa serie di brevi performance in video che siamo partiti per allestire lo spettacolo dal vivo in India, dove abbiamo potuto incontrare Anuradha in una sala di lavoro prima e in un teatro poi, spazi fisici, dove i corpi dei performer sono tornati a interagire, al di fuori dello schermo luminoso che ci aveva uniti in un progetto comune nei mesi precedenti. Si è trattato di un processo nuovo, iniziato a distanza e animato dalla tensione all’incontro, e terminato con un ritorno sulla scena. Sicuramente i limiti possono aiutare il processo creativo, poiché paradossalmente restringono il campo di azione, escludono delle possibilità permettendoci di conseguenza di concentrarci solo su alcune direzioni nel lavoro, e di esplorarle a fondo.”
Il Sommo Poeta – nel 700° dalla morte – attraverso il vostro lavoro ha raggiunto terre lontane, fino a Bangalore in India. Inferno, purgatorio e paradiso sono ovunque, travalicando ogni confine?
“Il sottotitolo dello spettacolo sottolinea come questo lavoro rientri in un progetto più ampio, nato proprio durante il lockdown: il progetto Beyond Borders. L’intenzione è stata da subito quella di portare Dante oltre i confini, in un momento in cui questi stanno diventando sempre più marcati a causa della Pandemia. La parola di Dante non è conosciuta ovunque, e in alcuni paesi non esistono nemmeno traduzioni complete e fedeli de La Divina Commedia. Quello che però ha permesso di gettare un ponte tra un capolavoro della nostra letteratura classica, forse l’opera che ha più contribuito a plasmare la nostra lingua, e l’India con la sua ricca cultura e tradizione, è stato proprio il tema del viaggio ultraterreno e i rimandi tra l’opera dantesca e le letteratura epica e classica indiana, densa di eroi e personaggi che affrontano la discesa agli Inferi, nel mondo dei morti, nell’altra dimensione. Questo topos ci ha guidato nel lavoro e ci ha permesso di confrontarci con diverse suggestioni in un continuo rimando di immagini, testi, suoni, gesti appartenenti alle culture di riferimento, consentendoci di esplorare alcune connessioni tra il Sommo Poeta e l’India, presenti ne La Divina Commedia.”
Cosa significa per Instabili Vaganti portare Dante ‘oltre i confini’?
“Significa superare prima di tutto dei confini di genere artistico e stilistico ancora prima che geografici. In Italia siamo abituati ad una interpretazione prettamente letteraria, oratoria, dell’opera Dantesca che celebra la bellezza dalla parola e del testo. Volevamo in primis incorporare le suggestioni, le immagini, la parola stessa e la sua potenza evocatrice, per poterle assorbire e renderle parte del linguaggio poetico del performer. In questo modo, il corpo diventa strumento di trasmissione di un sapere, di un immaginario, di una cultura e può innescare il dialogo con un corpo altro, diverso, depositario di millenni di tradizione, come nel caso della danzatrice di Bharatanatyam, Anuradha Venkataraman. Lei ha un alfabeto del corpo, dei gesti, basti pensare alle mudra, capace di tradurre letteralmente le terzine dantesche in segno fisico e movimento. Da parte nostra dovevamo essere in grado di trasmettere empaticamente l’universo dantesco in ogni movimento, azione fisica, sonorità, sperimentazione ritmica e vocale sulla parola, oltre che portare con noi un solido know how basato sulla reinterpretazione dell’opera dantesca in chiave contemporanea (nel video, nella musica, nell’uso della luce, nell’impianto scenico). In questo modo Dante ha incontrato il pubblico indiano, stimolando negli spettatori altri interessanti rimandi culturali. In fondo Dante, era uno di noi, visionario, rivoluzionario, talvolta incompreso, in un costante vagare alla ricerca di un qualcosa. Noi lo abbiamo portato in India, in Indonesia, e tra non molto lo porteremo in Cile. Ma la domanda è: siamo noi a portarlo o è lui che ci porta?”
Lo scrittore fiorentino cita spesso il Gange nella Divina Commedia – fiume sacro agli Hindu – paragonando l’India al Paradiso. Potrebbe scrivere lo stesso anche ai giorni nostri?
“Dante collocava il paradiso terrestre nel territorio indiano e sintetizzava l’oriente nell’immagine del Gange. Quando attraversiamo le metropoli indiane il contrasto tra ciò che tali immagini potevano suscitare all’epoca e la realtà che si dipana davanti ai nostri occhi è davvero forte. Eppure, alcuni luoghi conservano una misticità, una sacralità calcificata nel contemporaneo; pensiamo ai Ghat del Gange stesso, ai piccoli templi colorati sopravvissuti in mezzo ai cavalcavia, in grado di ricollegarci alle suggestioni esplorate in Video Dante prima e in Dante Beyond Borders dopo. Nel nostro lavoro compare il recente esodo dei lavoratori poveri dalle megalopoli in lockdown ai villaggi nativi, ma anche i gesti rituali che milioni di persone compiono ogni giorno, ritagliandosi il loro spazio “sacro” in mezzo ai clacson assordanti, lo smog soffocante, e il traffico costante. In ogni caso l’India, con le sue forti contraddizioni e con le sue diseguaglianze, con tutto ciò che continua ad urtare la nostra sensibilità, rappresenta ancora un portale, o se vogliamo, il punto di partenza per un viaggio, proprio grazie alle sue continue sovra stimolazioni che attivano tutti i sensi, e in virtù della sua cultura millenaria.”
Il viaggio immaginario di Dante Alighieri è entrato in connessione con il Paese della spiritualità per eccellenza quale viene da sempre riconosciuta l’India. Come riescono a comunicare le due differenti culture sulle argomentazioni di sofferenza, vita e morte del genere umano che animano la Divina Commedia?
“Nell’operazione drammaturgica che abbiamo compiuto ci siamo concentrati su quegli aspetti universali, che riguardano l’essere umano, l’anima umana, al di là dei riferimenti storici e religiosi. Questo ha permesso al pubblico di riconoscersi nel viaggio compiuto dal Sommo Poeta grazie ai riferimenti e i rimandi culturali incorporati da Anuradha, una sorta di Virgilio del pubblico indiano, ed allo stesso tempo di lasciarsi affascinare da figure a loro meno conosciute, che hanno colpito gli spettatori – lo abbiamo constatato nelle sessioni di Q&A che abbiamo previsto al termine di ogni replica – come nel caso di Beatrice, o di Caronte. Ancora una volta è stato il corpo a farsi portatore di sofferenza e liberazione, dannazione e salvezza, grazie anche ad un lavoro di luce e colore, che traghettava lo spettatore dall’oscurità alle diverse emozioni, fino a quel pertugio tondo “to rebehold the stars”. Dante in fondo trascendeva la cultura del tempo, ed è ciò che accade in scena, quando i corpi dei performer sono in grado di rappresentare il mondo terreno, con tutti i suoi limiti, paure, emozioni, ed al tempo stesso diventare altro, grazie alla metamorfosi, al farsi pura immagine, segno poetico. Ogni elemento utilizzato nello spettacolo è il frutto di un lavoro interculturale: dalla musica di Riccardo Nanni, frutto di una ricerca ed una contaminazione in chiave contemporanea con ritmi e sonorità indiane, alle immagini in video, dense di riferimenti classici e iconografici delle due culture, ai gesti e le singole azioni dei performer in scena, forti della propria identità culturale e al tempo stesso segno universale.”
Come hanno reagito gli attori indiani, vostri partner locali, rispetto alla Divina Commedia? Quanto è conosciuta questa originale opera tra gli artisti e gli intellettuali con cui avete lavorato?
“Dante è conosciuto in tutto il mondo, ma a volte sopravvalutiamo questa fama, e dobbiamo fare dei passi indietro, pensando che chi abbiamo di fronte non ha studiato la Divina Commedia a scuola e non conosce il contesto culturale e storico di riferimento.
Quello che permette di entrare immediatamente nell’opera sono le immagini così potenti da travalicare ogni cultura. Le immagini dei dannati, uomini fatti sterpi, corpi imprigionati nel ghiaccio, o ammassati l’uno all’altro, tutto ciò che Dante descrive di vedere nel suo viaggio colpisce chi si appresta a lavorare su queste suggestioni e suggerisce al tempo stesso una chiave di ingresso nel lavoro: attraverso il gesto, il suono, il corpo, il movimento, la parola. In questo senso, con la danzatrice indiana Anuradha Venkataraman, non abbiamo incontrato difficoltà, poiché il suo background culturale ha fornito diverse chiavi di lettura di alcuni passaggi dell’opera, creando interessanti nuclei di ricerca condivisa che sono diventati poi gli spunti per per la creazione delle azioni fisiche, delle partiture coreografiche e per le stesse opere video che vengono proiettate nello spettacolo. L’albero della vita, l’animismo e i corpi trasformati in piante, i riti di purificazione, l’acqua e la simbologia legata al fiume, sono solo alcuni dei punti di contatto esplorati e che hanno spalancato orizzonti di ricerca comune.”
Anche i linguaggi, i codici performativi del teatro sono differenti tra i due Paesi: è stato difficile trovare una lingua comune per realizzare la composizione finale, andata in scena in prima mondiale il 30 novembre a Bangalore?
“Avevamo dalla nostra parte tutto il lavoro fatto in video, per cui una linea poetica condivisa era già presente al momento di iniziare il lavoro di messa in scena. Ovviamente siamo intervenuti sulle opere video, pensate per il pubblico del web, rielaborandole e trasformandole in video proiezioni che oltre a disegnare uno spazio scenico definito, dove la separazione che aveva caratterizzato il lavoro fin dall’inizio è rimasta presente sotto forma di un tulle proiettabile che creava mondi diversi, talvolta distanti e incomunicabili, altre volte attraversabili come un confine che viene oltrepassato. Un altro elemento forte era rappresentato dall’identità dei performer in scena, Anuradha con la sua arte millenaria, la danza Bharatanatyam, Nicola con la sua forte presenza scenica e la sua poetica legata al movimento e il corpo. Inoltre avevamo già lavorato dal vivo con Anuradha diversi anni prima, nell’ambito del nostro progetto Stracci della memoria, confrontandoci proprio sull’attualizzazione delle tradizioni performative. Questi elementi ci hanno consentito di lavorare in maniera intensiva, dato che il tempo a disposizione non era molto, ed era già un miracolo essere lì, in India, nell’unica finestra temporale possibile, dato che pochi giorni dopo il nostro rientro in Italia le restrizioni in entrata nel Paese si sono di nuovo inasprite.
Certo è che in India, ogni gesto è percepito come portatore di un significato preciso, per cui cerchiamo sempre un modo di stare in scena molto concreto ed efficace, in grado di saper comunicare emozioni e contenuti attraverso la precisione e l’intensità di ogni dettaglio del corpo e della voce.”
Che tipologia di spettatori sono intervenuti alla serata? Considerando il registro antico della lingua ‘non ancora’ italiana di Dante mista all’inglese, non lo immaginiamo uno spettacolo adatto a tutti.
“Avevamo un po’ di timore inizialmente, lingua italiana antica, Inglese arcaico, Dante!
Invece siamo rimasti stupiti dalla varietà di pubblico che è intervenuto. Il teatro era pieno per due sere consecutive in giorni settimanali ed appena dopo una delle più terribili ondate di Covid vissute dal Paese. Siamo rimasti stupiti soprattutto dall’affluenza di giovani, attirati, credo, dalla sperimentazione e dalla proposta “coraggiosa”: una co-produzione italo indiana, un dialogo tra teatro contemporaneo e sperimentale e danza classica indiana. Tanti artisti, danzatori, professori, ma anche gente comune, appassionati di teatro e con tanta sete di cultura. Vi è stato anche un attento lavoro di promozione e comunicazione portato avanti in collaborazione con il principale co-produttore dello spettacolo: l’Istituto Italiano di cultura di Mumbai.”
Nel vostro tour indiano siete arrivati fino al confine con il Myanmar, in Nagaland, dove era in programma un vostro workshop dedicato agli artisti di quell’area, mentre come spettatori avete assistito al tradizionale e spettacolare ‘Hornbill festival’. Migliore stare dentro o fuori dal palcoscenico? Oppure realtà e immaginazione si intrecciano sempre?
“Il Nagaland è uno stato dell’India Nord orientale ricchissimo di tradizioni performative, grazie alla presenza di 16 tribù. Alle danze e i canti tradizionali si fondono elementi della cultura contemporanea grazie ad una scena musicale Pop molto sviluppata e incentivata in questi ultimi anni dalla presenza di TaFMA, Task force for Musica and Arts, a Kohima, che è partner del nostro progetto Beyond Borders e che cura parte della programmazione del celebre Hornbill Festival. Il teatro invece è quasi assente del tutto, per cui, la tappa del progetto che abbiamo svolto lì era formulata in modo da permettere un reale scambio artistico e culturale ed innescare futuri processi di co-creazione. Per cui era fondamentale potersi immergere nella cultura Naga, nel pochissimo tempo a disposizione, per comprendere il background artistico culturale dei giovani partecipanti alla nostra masterclass ed innescare un dialogo interculturale sul piano della creazione artistica in campo performativo. E’ stato molto interessante lavorare con i giovani partecipanti del workshop su canti e passi delle proprie tribù di appartenenza, condividendo un processo di rielaborazione e attualizzazione di tali elementi tradizionali, che diventano in tal modo, parte integrante del loro linguaggio in qualità di performer e artisti che operano nel contemporaneo. Assistere al programma culturale dell’Hornbill è un’esperienza unica, ad un certo punto sei letteralmente circondato dalle diverse tribù che si esibiscono in danze, giochi, dimostrazioni. E’ un turbine di ritmi e colori. Ma quando, all’interno di una sala di lavoro, sono dei giovani performer a condividere con te la loro storia, e le loro radici, l’emozione di sentirti invitato ad entrare in una cultura altra è ancora più intensa.”
Questa ultima tappa ha altresì aggiunto suspence e preoccupazione per il coprifuoco annunciato dalle autorità a causa di questioni politiche locali, in cui siete rimasti intrappolati. L’India non sembra essere il Paradiso dantesco, che purtroppo rimane solo nell’immaginario del famoso poeta toscano.
Purtroppo, come tanti luoghi di confine, le tensioni in Nagaland non mancano.
“Il Nagaland ha una sua cultura e una sua identità molto forte, tanto che non sembra di essere in India. In fondo, è anche in virtù di questa sua identità che abbiamo scelto di sviluppare una tappa di Beyond Borders proprio lì, e, la cosa che forse ci ha dato più soddisfazione, è che attraverso questo progetto teatrale sta nascendo una relazione tra l’Italia e il Nagaland, tanto che il Console generale a Calcutta ci ha raggiunto a Kohima per incontrare il nostro partner, vedere il lavoro svolto, ed incontrare il Chief Minister.
Abbiamo provato la sensazione di iniziare qualcosa o di scrivere un piccolo capitolo di storia. Purtroppo abbiamo dovuto affrontare una situazione critica, ma chi segue i nostri tour nei paesi di confine e remoti del pianeta, sa che ci siamo abituati!
Appena iniziato il lavoro con i partecipanti siamo stati interrotti per celebrare due minuti di silenzio per l’uccisione di 15 civili scambiati per ribelli da parte dell’esercito indiano.
Difficile ricominciare il lavoro dopo questo episodio sconvolgente, ci siamo trovati davvero in difficoltà. Così abbiamo deciso di rallentare il ritmo dell’esercizio interrotto, e lavorare sul contatto. Questo ha aiutato tutti, noi e i partecipanti, a elaborare e superare insieme il dolore e lo shock di quel momento, e a condividere il lavoro con più intensità emotiva. D’altronde lavoriamo proprio su temi e problematiche di questo tipo nel tentativo di riflettere sui confini oggi, come il titolo della sessione “Walls that close, walls that free” esorta a fare.”
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Dante Beyond Borders
Creazione – Instabili Vaganti
Regia – Anna Dora Dorno
Performer Anna Dora Dorno, Nicola Pianzola, Anuradha Venkataraman
Coreografie – Anuradha Venkataraman
Canti originali – Anna Dora Dorno
Drammaturgia e voce – Anna Dora Dorno, Nicola Pianzola
Musiche originali e sound design – Riccardo Nanni
Creazione video – Anna Dora Dorno, Nicola Pianzola, Ashwin Iyer
Set e Light design – Anna Dora Dorno
Direzione tecnica e luci – Salvatore Pulpito
Coordinamento tecnico e suono – Nikhil Bharadwaj
Produzione – Istituto Italiano di cultura di Mumbai / Instabili Vaganti / Ahum Trust
Partner principale del progetto – Istituto Italiano di cultura di Mumbai
Con il sostegno del Ministero della cultura
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Sabato, 1 gennaio 2022 – n°1/2022
In copertina: tutte le foto ed il video sono di Instabili Vaganti – Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola