martedì, Novembre 12, 2024

Notizie dal mondo

Dieci anni fa il genocidio del popolo yazida

Ancora oggi molte donne rimangono disperse

di Laura Sestini

Sono passati già 10 anni da quel terribile 3 agosto 2014, quando venne compiuta l’abominevole strage di civili appartenenti alla popolazione degli Ezidi/Yazidi (secondo la dizione linguistica), la minoranza curda che risiede(va) nei monti della regione nord-irachena dello Shengal (dizione curda), a ridosso del confine siriano.

Durante quel torrido agosto, pochi giorni dopo la conquista da parte del Califfato Islamico della città irachena di Mosul e giusto qualche giorno prima che Abu Bakr al-Baghdadi – la guida carismatica dell’esercito di islamisti radicali – proclamasse il quartier generale del Califfato nella città siriana di Raqqa, un’orda di mercenari legati al jihad (lo sforzo, anche di natura violenta contro gli infedeli) avviato da Daesh/Isis, dal centro-ovest dell’Iraq invase le aree sacre del popolo yadiza sui Monti Sinjar (dizione araba).

I jihadisti dello Stato Islamico considerano il Sinjar abitato dal diavolo, di cui secondo la loro visione salafita gli Yazidi sarebbero adoratori.

Diversamente dalla maggioranza del popolo curdo – di fede musulmana, o in piccola percentuale cristiana caldea – i Curdi-ezida praticano una religione che si rifà allo Zoroastrismo (anche Mazdeismo), un antichissimo credo professato dal profeta e mistico iranico Zarathustra.

In quei giorni del 2014, Il Califfato Islamico – benché non ancora autoproclamatosi ufficialmente – aveva già conquistato vaste aree dell’Iraq, e i suoi mercenari si scontrarono con l’esercito iracheno, i peshmerga del KRG – le milizie della Regione Autonoma Curda Irachena – e contrastati dalla coalizione internazionale a guida Usa, alla quale presero parte anche le forze militari italiane, principalmente a presidio della diga di Mosul sul fiume Tigri.

L’esodo yazida

Nonostante la Regione fosse militarmente presidiata in differenti punti nevralgici, e benché i peshmerga fossero dispiegati a protezione dell’area del Sinjar, le forze islamiste riuscirono a entrare in numerosi villaggi perpetrando una vera e propria pulizia etnica (più fonti adducono la responsabilità proprio ai peshmerga che giorni prima avrebbero disarmato gli Ezidi).

Se la maggioranza degli uomini fu assassinata arbitrariamente sul posto, le donne e i bambini – e tutti coloro che non riuscirono a fuggire prima dell’arrivo dei combattenti islamisti – furono catturati e trasferiti nei mercati di Mosul, e in seguito di Raqqa, per essere venduti come schiavi. Alcune donne – le cui immagini furono trasmesse dai telegiornali di tutto il mondo – furono arse vive in gabbie di ferro sistemate negli spazi pubblici, come monito per chi non professasse l’islam originario e a favore della guerra “santa” islamica contro i popoli empi; molte donne finirono schiave di affiliati o simpatizzanti dello Stato Islamico, nonché di danarosi emiri dei Paesi del Golfo Persico.

A oggi sono state scoperte 65 fosse comuni di curdi-ezida, lasciatesi alle spalle dii mercenari dell’esercito islamista, e ancora qualche migliaiio, tra le circa 7 mila persone, tra donne e bambini rapiti, risultano ancora dispersi.

Tra gli Yazidi, chi ha avuto la fortuna di scampare al genocidio (riconosciuto dall’Onu) – oltre alla sete, alla fame e alla fatica sopportate sulle montagne per dirigersi verso i confini siriani, dove diverse migliaia avevano già trovato preventivamente rifugio – è oggi nella condizione di sfollato e, difatti, circa 400 mila tra loro risultano tuttora presenti nei numerosi campi profughi nella Regione Autonoma Curda Irachena, in Turchia e in Siria di Nord-est a maggioranza curda.

Dopo 10 anni dagli atroci eventi, l’area yazida dello Shengal è ancora da ricostruire e disseminata di IED (Improvised Explosive Device – meccanismi esplosivi improvvisati), lasciati volontariamente dai jihadisti di Daesh nei luoghi conquistati – di cui faticosamente si cerca di fare pulizia per permettere alle famiglie di far ritorno nei luoghi di residenza e lasciare i campi profughi.

Ad esempio di ciò che è accaduto alle donne, di cui moltissime bambine, rapite o acquistate dai fondamentalisti islamici, citiamo la storia di una bambina di 10 anni, schiava per tre anni. Prima di essere liberata nel 2017, dopo la sconfitta di Daesh in Iraq, è passata di mano a otto uomini diversi, uno dei quali – secondo la sua testimonianza – quando si arrabbiava, la trascinava per i capelli su per le scale e poi la sbatteva violentemente contro il muro.

https://www.theblackcoffee.eu/a-caccia-di-mine-disseminate-dallisis-in-pentole-padelle-e-giocattoli/

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Sabato, 3 agosto 2024 – Anno IV – n°31/2024

In copertina: Memoriale dedicato al genocidio yazida a Solagh, Sinjar, Iraq – Foto: Nadia Murad

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