sabato, Dicembre 21, 2024

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Dieci anni fa il genocidio del popolo yazida

Ancora oggi molte donne rimangono disperse

di Laura Sestini

Sono passati già 10 anni da quel terribile 3 agosto 2014, quando venne compiuta l’abominevole strage di civili appartenenti alla popolazione degli Ezidi/Yazidi (secondo la dizione linguistica), la minoranza curda che risiede(va) nei monti della regione nord-irachena dello Shengal (dizione curda), a ridosso del confine siriano.

Durante quel torrido agosto, pochi giorni dopo la conquista da parte del Califfato Islamico della città irachena di Mosul e giusto qualche giorno prima che Abu Bakr al-Baghdadi – la guida carismatica dell’esercito di islamisti radicali – proclamasse il quartier generale del Califfato nella città siriana di Raqqa, un’orda di mercenari legati al jihad (lo sforzo, anche di natura violenta contro gli infedeli) avviato da Daesh/Isis, dal centro-ovest dell’Iraq invase le aree sacre del popolo yadiza sui Monti Sinjar (dizione araba).

I jihadisti dello Stato Islamico considerano il Sinjar abitato dal diavolo, di cui secondo la loro visione salafita gli Yazidi sarebbero adoratori.

Diversamente dalla maggioranza del popolo curdo – di fede musulmana, o in piccola percentuale cristiana caldea – i Curdi-ezida praticano una religione che si rifà allo Zoroastrismo (anche Mazdeismo), un antichissimo credo professato dal profeta e mistico iranico Zarathustra.

In quei giorni del 2014, Il Califfato Islamico – benché non ancora autoproclamatosi ufficialmente – aveva già conquistato vaste aree dell’Iraq, e i suoi mercenari si scontrarono con l’esercito iracheno, i peshmerga del KRG – le milizie della Regione Autonoma Curda Irachena – e contrastati dalla coalizione internazionale a guida Usa, alla quale presero parte anche le forze militari italiane, principalmente a presidio della diga di Mosul sul fiume Tigri.

L’esodo yazida

Nonostante la Regione fosse militarmente presidiata in differenti punti nevralgici, e benché i peshmerga fossero dispiegati a protezione dell’area del Sinjar, le forze islamiste riuscirono a entrare in numerosi villaggi perpetrando una vera e propria pulizia etnica (più fonti adducono la responsabilità proprio ai peshmerga che giorni prima avrebbero disarmato gli Ezidi).

Se la maggioranza degli uomini fu assassinata arbitrariamente sul posto, le donne e i bambini – e tutti coloro che non riuscirono a fuggire prima dell’arrivo dei combattenti islamisti – furono catturati e trasferiti nei mercati di Mosul, e in seguito di Raqqa, per essere venduti come schiavi. Alcune donne – le cui immagini furono trasmesse dai telegiornali di tutto il mondo – furono arse vive in gabbie di ferro sistemate negli spazi pubblici, come monito per chi non professasse l’islam originario e a favore della guerra “santa” islamica contro i popoli empi; molte donne finirono schiave di affiliati o simpatizzanti dello Stato Islamico, nonché di danarosi emiri dei Paesi del Golfo Persico.

A oggi sono state scoperte 65 fosse comuni di curdi-ezida, lasciatesi alle spalle dii mercenari dell’esercito islamista, e ancora qualche migliaiio, tra le circa 7 mila persone, tra donne e bambini rapiti, risultano ancora dispersi.

Tra gli Yazidi, chi ha avuto la fortuna di scampare al genocidio (riconosciuto dall’Onu) – oltre alla sete, alla fame e alla fatica sopportate sulle montagne per dirigersi verso i confini siriani, dove diverse migliaia avevano già trovato preventivamente rifugio – è oggi nella condizione di sfollato e, difatti, circa 400 mila tra loro risultano tuttora presenti nei numerosi campi profughi nella Regione Autonoma Curda Irachena, in Turchia e in Siria di Nord-est a maggioranza curda.

Dopo 10 anni dagli atroci eventi, l’area yazida dello Shengal è ancora da ricostruire e disseminata di IED (Improvised Explosive Device – meccanismi esplosivi improvvisati), lasciati volontariamente dai jihadisti di Daesh nei luoghi conquistati – di cui faticosamente si cerca di fare pulizia per permettere alle famiglie di far ritorno nei luoghi di residenza e lasciare i campi profughi.

Ad esempio di ciò che è accaduto alle donne, di cui moltissime bambine, rapite o acquistate dai fondamentalisti islamici, citiamo la storia di una bambina di 10 anni, schiava per tre anni. Prima di essere liberata nel 2017, dopo la sconfitta di Daesh in Iraq, è passata di mano a otto uomini diversi, uno dei quali – secondo la sua testimonianza – quando si arrabbiava, la trascinava per i capelli su per le scale e poi la sbatteva violentemente contro il muro.

https://www.theblackcoffee.eu/a-caccia-di-mine-disseminate-dallisis-in-pentole-padelle-e-giocattoli/

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Sabato, 3 agosto 2024 – Anno IV – n°31/2024

In copertina: Memoriale dedicato al genocidio yazida a Solagh, Sinjar, Iraq – Foto: Nadia Murad

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