Come il linguaggio costruisce pensieri
di Katya Libyahovska
Una torre la cui cima tocchi il cielo, avrebbe dovuto mostrare cosa siano capaci di costruire gli uomini quando collaborano uniti dalla stessa idea, comunicando nella stessa lingua.
Ecco, quest’idea audace, che oltretutto ci ricorda ancora una volta della mania di grandezza che l’uomo porta con sé dall’Antichità, non sarebbe particolarmente piaciuta a Dio. Per impedire, dunque, l’impresa degli uomini, l’artefice dell’universo avrebbe fatto sì che questi iniziassero a parlare lingue diverse, e di conseguenza non capirsi più tra di loro. Così la costruzione della famosa Torre di Babele non si sarebbe mai completata, poiché gli uomini si sarebbero sparsi nei diversi angoli del mondo… o almeno in questo modo hanno provato a spiegarsi la nascita delle lingue molti secoli fa.
Tralasciando la credibilità del mito, vorrei farvi notare un’altra cosa – in questa, come anche in altre storie simili, la diversità delle lingue è vista sempre come una punizione, una barriera. Ma se invece provassimo a vederla come un’immensa risorsa culturale e creativa che rende il nostro mondo così interessante?
Se di una cosa possiamo essere certi, è il fatto che le lingue nascono in primis per servire gli uomini, sono niente più e niente meno che un mezzo che aiuta a sopravvivere nel proprio territorio. Ogni lingua, infatti, rispecchia le abitudini, le tradizioni, i pensieri e tutto ciò che circonda il popolo che la usa. I Giapponesi per esempio riconoscono vari tipi di pioggia e di conseguenza nella loro lingua esistono numerose parole per distinguere questo fenomeno – dalla pioggia notturna, la pioggia di iniziò estate, alla pioggia rinfrescante una volta ogni dieci giorni, la pioggia invernale ghiacciata, ed altre sfumature di essa.
Gli Eschimesi invece hanno una varietà di termini per riferirsi alla neve, tra cui la neve che cade, il cumulo di neve, la neve sul terreno, ecc. Affascinante, no? E come se guardassero il mondo con occhi diversi.
Allo stesso tempo l’affermazione rimane valida anche al contrario, ovvero il modo in cui pensiamo, vediamo e percepiamo il mondo è determinato dalla lingua che usiamo. Non a caso spesso si dice che chi parla più lingue ha più differenti personalità. E sono sicura che lo potrete confermare anche voi.
In uno dei suoi discorsi sulla piattaforma TED, la professoressa di Scienze cognitive Lera Boroditsky spiega il collegamento tra lingua e pensiero, illustrandolo con curiosi risultati di alcune sue ricerche, tra cui uno studio sul popolo aborigeno Thaayorre, in Australia.
Nella lingua di questo popolo, chiamata Kuuk Thaayorre, non esistono parole per dire destra e sinistra, si usano invece soltanto i punti cardinali -Nord, Sud, Est e Ovest. E quindi a seconda della loro posizione la gamba destra per esempio sarebbe chiamata la “gamba a Sud-ovest”.Oppure per chiedere a qualcuno di spostarsi a sinistra gli si direbbe di spostarsi a “Nord-est”.
Inoltre, per salutare qualcuno non esiste una parola simile al semplice ciao, si dovrebbe piuttosto dire In che direzione stai andando? E ovviamente per rispondere bisognerebbe usare sempre i punti cardinali. In pratica per scambiare due parole devi sapere perfettamente dove ti trovi e dove stai andando. La precisone delle direzioni è fondamentale per la vita e la sopravvivenza di questa tribù e non sorprende il fatto che le persone che ne appartengono abbiano sviluppato uno spiccato senso di orientamento grazie al loro idioma.
Risulta anche che il genere grammaticale delle parole definisce il modo in cui descriviamo e vediamo certi oggetti. La parola ponte, per esempio, in Tedesco è grammaticalmente femminile, per cui i tedeschi tendono a descrivere i ponti come belli o eleganti – lessico stereotipico al femminile, mentre in lingue come l’Italiano o lo Spagnolo, dove la parola ponte è di genere maschile, allo stesso oggetto si associano aggettivi come forte o lungo, considerati, appunto, maschili.
Ci sono lingue come l’Inglese che sono incentrate sulla persona che compie una determinata azione piuttosto che sull’azione stessa; infatti in questa lingua un verbo non ha senso se usato da solo, bisogna sempre specificare chi è che agisce e questo stabilisce un mindset quasi egocentrico dove il sé è l’elemento più importante di conseguenza tutto il resto gli gira intorno.
Nella lingua araba invece non esiste il verbo avere, ma si traduce come presso di me, vicino a me. È un senso di appartenenza completamente diverso, la cui esistenza ci ricorda che non possediamo né gli oggetti, né le persone che abbiamo intorno e tutto ciò che pensiamo ci appartenga, in realtà è solo vicino a noi.
Un altro concetto che varia a seconda della lingua e quindi della cultura, è il tempo. Per chi parla Inglese il tempo è considerato come una cosa lineare, precisa, come se gli eventi che accadono fossero dei punti posizionati uno dopo l’altro sulla stessa linea. Infatti chi parla la lingua anglosassone, usa espressioni come lungo tempo o tempo corto e tende ad essere molto più preciso nel definirlo e di conseguenza dà più valore alla puntualità. In molte altre lingue invece il tempo è piuttosto misurato come una quantità che si può espandere o stringere. In Italiano o Spagnolo infatti si direbbe molto o poco tempo, che è una misura meno precisa, per cui l’idea della puntualità è un po’ più astratta. Eh sì, forse proprio per questo siamo spesso in ritardo.
Questa è solo una piccola parte della miriade di differenze culturali che ogni lingua rispecchia, ed è anche il motivo per cui una lingua artificiale, senza radici culturali – come l’Esperanto – non è riuscita a conquistare il mondo e diventare universale per tutti.
La bellezza della diversità linguistica sta nel fatto che ci rivela quando sia creativa, flessibile e ingegnosa la nostra mente. Pensate che esistono circa 7mila lingue diverse, ciascuna delle quali è un universo. E ne potremmo inventare molte di più, siamo noi a dargli vita e tenerle vive, ma purtroppo tendiamo sempre di più a sottrarle. Molte lingue stanno scomparendo ed è stimato che nei prossimi 100 anni metà di quelle che esistono oggi non ci saranno più. Ma perché rinunciare alla ricchezza espressiva che abbiamo ereditato per sostituirla con qualcosa di universale?
Invece di vederle come ostacoli, impariamo a scavalcare queste barriere immaginarie, viaggiando, studiando, essendo curiosi di scoprire universi diversi, facendo conoscere al contempo, agli altri, anche la nostra di cultura, il nostro ambiente attraverso la nostra lingua.
Iniziamo questo viaggio preservando noi stessi, per non perdere la bellezza, che è la diversità dei pensieri.
Sabato, 24 giugno 2023 – n°25/2023
In copertina: La Torre di Babele – Pieter Bruegel Il vecchio (1563) – Dominio pubblico