Dalla Siria dei mercenari ai mercati esteri
di Nancy Drew
Sono sempre più numerose le denunce per le reiterate violenze e gli abusi perpetrati sulla popolazione civile del cantone di Afrin e nell’area di Aleppo – in Siria di Nord-Est – a causa dell’invasione da parte dell’esercito turco, attraverso l’operazione ‘Ramoscello di Olivo’ messa in atto a gennaio 2018.
Una successiva operazione militare – del 9 ottobre 2019 – attraverso un improvviso attacco aereo dei Turchi, che da giorni manovravano uomini e mezzi entro i propri confini territoriali, e la conseguente invasione dei territori di Serê Kaniyê, Tell Abyad, Qamislo e Ain Issa nella provincia di Raqqa (sul fronte orientale della regione a maggioranza curda – operazione Barış Pınarı Harekâtı, traduzione dal turco Operazione Sorgente di Pace), portò all’istituzione della safe-zone e al controllo della M4, la strada di grande comunicazione più importante del territorio, a seguito di accordi tra Turchia e Usa, con la supervisione dei russi. Per ironia della sorte la safe-zone rimane uno dei punti più pericolosi della regione, a causa delle numerose milizie filo-jihadiste che vi circolano indisturbate occupando interi centri abitati, dai quali la popolazione tenta di fuggire, senza sapere dove rifugiarsi https://www.theblackcoffee.eu/la-rete-mercenaria-di-violenza-e-di-abusi-dello-stato-turco/.
Se nessuno, giovani o anziani, può eludere gli espropri e le detenzioni arbitrarie – relativamente alle quali si riferisce anche di supplizi e torture – chi soffre di più della situazione che si è evoluta nel tempo, sempre in peggioramento, sono le donne, target preferito dei vari gruppi di mercenari jihadisti, coadiuvanti le operazioni a fianco dei militari turchi.
Subito dopo il repentino attacco dell’ottobre 2019, proprio lungo la M4, fu barbaramente trucidata e mutilata – da un gruppo di mercenari – insieme all’autista e ad altri passeggeri, Hevrin Khalaf, segretaria del partito Futuro Siriano. La giovane donna era un punto fermo per i diritti delle donne in Siria di Nord-Est e per un futuro democratico della politica siriana, facile e ambito obiettivo dei miliziani salafiti.
Durante i tre anni trascorsi dalla prima invasione turca, sono stati riscontrati migliaia di casi di stupro, rapimenti e matrimoni forzati con i jihadisti, a danno di donne – principalmente giovani ma non solo – ed è stata scoperta perfino una prigione sotterranea dove erano arbitrariamente detenute e denudate almeno una ventina di donne, alcune delle quali con i figli piccoli. Per mano dei gruppi mercenari – nelle città e nelle campagne delle zone invase dalla Turchia – le donne sono esposte quotidianamente a violenze di ogni genere. La situazione è denunciata anche dall’organizzazione locale per i diritti umani e il Centro di documentazione sulle violazioni in Siria del Nord.
Ancora più grave è l’ultima denuncia di Rozîn Mihemed – rappresentante del Ministero delle Donne nella regione dell’Eufrate – la quale afferma che dopo l’occupazione dell’area di Afrin, le donne sono state prese volutamente di mira, come strategia militare. Rapite ed esposte a stupri, e a ogni tipo di abuso, non pare esserci differenza tra ciò che hanno subito a Raqqa o nell’area Yazida in Iraq, durante il Califfato Islamico, e ciò che attualmente soffrono in questa regione.
Secondo la politica curda (la notizia è riportata da SkyNews Arabia), ciò che accadde alle donne yazida rapite dai mercenari dell’Isis e vendute nei mercati di Mosul e di Raqqa, sta accadendo alle donne di Afrin, in altri mercati esteri. Non ci sarebbe differenza tra i mercenari di base ad Afrin rispetto a quelli interni al Califfato Islamico. Sono le medesime unità miliziane sotto altri nomi e sigle.
In pratica, si afferma che numerose donne rapite nella regione di Afrin – via Turchia – finiscono nei mercati di schiavi in Libia e Qatar, con l’accordo dei due governi, libico e turco, unitamente al Qatar. Le donne sono rapite in Siria di Nord-Est – nelle aree occupate – e da lì trasferite in Libia e detenute nelle prigioni di ‘espiazione’, dove sono regolarmente sottoposte ad aggressioni fisiche e sessuali. Secondo la stessa fonte, un altro mercato destinato alle donne sequestrate è quello della vendita illegale di organi – per mano di gruppi malavitosi. Ancora oggi migliaia di donne yazida risultano disperse, dopo sei anni dai rapimenti di massa compiuti dal Califfato Islamico nel 2014. Anche per le donne rapite nella regione di Afrin il destino rimane sospeso e, solitamente, non se ne hanno più notizie.
Le donne in Siria di Nord-Est sono coloro che hanno dato avvio alla rivoluzione di genere, combattendo in prima linea – per auto-difesa – contro i mercenari dell’Isis, e ricoprendo importanti incarichi di co-presidenza nell’amministrazione della Confederazione democratica della Siria di Nord-Est.
Al di là del fatto che le donne sono bottino di guerra in ogni conflitto, una tra le motivazioni principali per cui sono sottoposte a continua violenza, da parte dei mercenari salafiti nell’area curdo-siriana, è quella di spezzare la volontà di emancipazione di genere, con l’obiettivo di indebolire anche la parte maschile della società locale ai fini dell’occupazione dei territori, attraverso le regole della legge coranica più severa. Per intimorire e soggiogare la popolazione, o nel migliore dei casi spingendola all’abbandono delle loro case.
Rozîn Mihemed afferma che le donne di Afrin – mentre tre anni fa erano libere di costruire la loro vita indipendenti dalla tradizione patriarcale – al contrario, oggi, non possono permettersi neanche di affacciarsi più da sole alla porta di casa.
Sabato, 16 gennaio 2021
In copertina: Proteste contro le sparizioni e le violenze sulle donne. Foto AfrinPost-english.