La stentata vittoria dei repubblicani di Trump
di Ettore Vittorini
Quando ancora il conteggio dei voti nelle elezioni americane di mezzo termine si avvia lentamente verso la conclusione, un risultato è già evidente: la “valanga rossa” dei repubblicani che avrebbe dovuto sommergere il Partito democratico è stata bloccata. Qualche giorno prima del confronto, durante un comizio, il presidente Joe Biden aveva dichiarato: “Per tutti noi sarà in gioco la democrazia”.
Era da anni che il pericolo per le istituzioni democratiche americane non veniva prospettato con tanta convinzione se non quando proveniva dall’esterno, cioè dal comunismo sovietico che oggi non esiste più. Erano i tempi del maccartismo e del super potere della FBI di Hoover, quando scrittori, registi, attori, erano messi al bando e accusati pretestuosamente di comunismo, perché osavano criticare il potere di allora.
Un altro vero pericolo interno della destra si era affacciato ancora prima, negli anni Trenta ai tempi del presidente F. Delano Roosevelt, quando il movimento America First – termine ripreso oggi da Donald Trump – accusava di comunismo lo stesso presidente e la moglie Eleanor che percorreva gli Stati Uniti in aiuto dei nuovi poveri colpiti dalla grande crisi del ’29.
Uno dei leader di quel movimento, apertamente filonazista e sostenuto anche dal Ku Klux Clan, era Charles Lindbergh, il trasvolatore atlantico che prima della guerra si recava spesso in Germania per “studiare gli sviluppi dell’aeronautica tedesca” e nel frattempo andava a rendere omaggio a Hitler del quale diceva: “È un grande personaggio che ha fatto un gran bene per la Germania”. I repubblicani gli proposero di presentarsi alle elezioni contro il democratico Roosevelt, ma Lindbergh rifiutò, consapevole del fatto che la politica non era il suo mestiere.
Questa volta invece la democrazia americana è stata messa realmente in pericolo dai negazionisti del voto, quella massa popolare che continua a sostenere che Biden non è il vero presidente, che le elezioni del 2020 erano state truccate a svantaggio del rivale Trump. Ed è costui il capo di una assurda protesta portata all’estremo con l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio del 2021; sempre lui adesso continua ad arringare la folla dei suoi sostenitori.
Ma i risultati delle elezioni di midterm hanno deluso le sue aspettative. I repubblicani hanno guadagnato pochi seggi alla Camera dei rappresentanti, i conteggi sono ancora in corso e il ballottaggio in tre Stati del 6 dicembre deciderà la maggioranza in Senato dove per ora gli eletti sono 48 democratici contro 49 repubblicani.
Trump, con la conquista della Camera per pochi voti è il vero sconfitto in queste elezioni: la sua “valanga rossa” non ha trionfato, anzi è stato messo all’angolo dai suoi elettori che ai candidati a lui fedeli ne hanno preferito altri più affidabili. Ne è un esempio Ron De Santis – 44 anni – eletto a grande maggioranza governatore repubblicano della Florida, che viene definito dai suoi sostenitori il “Trump intelligente”, perché oltre e nonostante sia un severo antiabortista, acerrimo nemico del mondo dei “gay” e dell’immigrazione, viene ritenuto un bravo e molto carismatico uomo politico, tanto che, nel suo Stato, ha avuto il massimo appoggio persino dagli elettori latinoamericani. Se Trump ripresenterà la propria candidatura alle elezioni presidenziali del 2024, sarà probabilmente De Santis il suo avversario alla nomination repubblicana con l’appoggio di buona parte del partito.
D’altra parte, la tenuta dei democratici è dovuta in larga misura ai giovani, soprattutto alle donne che si sono ribellate alla “guerra” contro l’aborto decretata dalla Corte Suprema. Tra le nuove generazioni covano le proteste che molti anni prima portarono avanti i loro nonni contro l’establishment di allora.
Ebbero inizio nel settembre del 1964 nell’Università di Berkeley, quando gli studenti manifestarono contro le autorità che avevano vietato l’uso delle strutture del campus per attività sociali e politiche. Ci furono assemblee, volantinaggi, occupazioni per arrivare allo sciopero generale di tutte le grandi università americane.
La protesta si estese alla questione dei diritti civili, contro la segregazione razziale e la guerra in Vietnam, tutti temi che infiammeranno l’America del dopo Kennedy, per poi dilagare in Europa col “maggio francese” del ’68 che quasi contemporaneamente verrà seguito dalle rivolte della gioventù di altre nazioni democratiche del continente, Italia compresa.
A quei tempi l’America rappresentava il faro di nuove esperienze – nonostante la sua politica estera fosse sempre repressiva – per la gioventù europea degli anni Sessanta. E non solo per le proteste sociali ma anche per il nuovo tipo di cultura: la letteratura, l’arte, la musica, il cinema.
Per tutti questi motivi le parole di Biden sul pericolo della democrazia nel suo Paese, hanno preoccupato in Europa coloro che ricordano l’America dei “vecchi tempi” e molti giovani di oggi attenti a quel passato da cui hanno molto da imparare.
Approfondimenti sulla protesta all’Università di Berkeley: http://texts.cdlib.org/view?docId=kt009n973m&doc.view=entire_text
https://berkeleyplaques.org/e-plaque/mario-savio/
Sabato, 12 novembre 2022 – n° 46/2022
In copertina: Mario Savio, di origine siciliana, fautore del Free Speech Movement di Berkeley, parla agli studenti – Foto: (1964) AP