Il regime ungherese di Orban e l’Italia
di Ettore Vittorini
Madeleine Albright – segretario di Stato USA ai tempi della presidenza Clinton – durante una lezione alla Georgetown University dove insegnava, chiese ai suoi studenti: ”Credete che un movimento fascista potrebbe attecchire negli Stati Uniti?” Uno di loro le rispose: “Certo che potrebbe. Perché siamo troppo sicuri del contrario” *(nota1).
Albright lo scrisse nel suo saggio ”Fascismo, un avvertimento” e la risposta dell’allievo a quella domanda si concretizzò anni dopo con l’avvento di Trump e l’assalto al Campidoglio compiuto da suoi sostenitori dopo la sconfitta della rielezione del leader repubblicano alla presidenza. Veniva confermata la premonizione della Albright che affermava: “Un giorno gli americani si ritroveranno in uno Stato semifascista”.
Certamente quegli avvenimenti non sono da mettere sullo stesso piano del vero Fascismo impadronitosi dell’Italia 100 anni fa con la marcia su Roma, preceduto dalle distruzioni delle case del popolo, delle sedi sindacali, dagli assassinii degli oppositori, il tutto con la complicità attiva delle forze dell’ordine dei governi e di Casa reale.
Il postfascismo di oggi è diverso, più insinuante e graduale nella sua scalata. L’esempio è quello dell’Ungheria di Viktor Orbán dove il premier – eletto “democraticamente” – ha imposto una lunga serie di leggi liberticide.
La democrazia ungherese definita “illiberale”, in dieci anni ha stretto un cappio sempre più stretto intorno alla libertà del Paese attraverso un consenso elettorale manipolato dal governo. Anche nella Russia di Putin si vota, sappiamo in che modo e conosciamo bene la fine che fanno gli oppositori. Le maniere di Orbán sono meno violente di quelle del collega russo, ma ugualmente efficaci.
Prima di tutto il premier ha investito miliardi per controllare totalmente il mondo della cultura: le università, l’editoria – imponendo leggi liberticide sulla stampa – i centri di ricerca, i think tank. In economia, le banche – costringendo quella del banchiere filantropo George Soros a trasferirsi all’estero – le grandi aziende, sono controllate dai suoi oligarchi. La giustizia ha perso la sua indipendenza attraverso leggi che la sottopongono al controllo del governo. Sono stati compromessi molti diritti con provvedimenti presi contro l’aborto, la comunità Lgtbq, i profughi, i migranti, i Rom e gli ebrei.
Per tutte queste violazioni dei diritti umani e delle libertà liberal-democratiche, il Parlamento europeo ha votato una serie di dure sanzioni contro l’Ungheria ottenendo la maggioranza di 433 voti contro 123. Tra questi ultimi hanno votato in favore di Orbán anche gli eurodeputati italiani della Lega e di Fratelli d’Italia.
Su questa posizione Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno gettato la maschera “moderata” dietro la quale nascondono le loro vere aspirazioni, ricevendo dure critiche da una gran parte dei media e dal mondo politico di centro sinistra. I due leader si sono giustificati affermando che Orbán è stato “sempre eletto democraticamente”. È una giustificazione che fa acqua da tutte le parti: anche Putin e il turco Recep Tayyip Erdoğan sono saliti al potere in seguito a elezioni, ma dopo se lo sono accaparrato attraverso leggi e sistemi antidemocratici.
Nella breve campagna elettorale italiana ormai conclusa, i partiti antifascisti hanno dato poco peso al pericolo cui andrebbe incontro il Nostro Paese in caso di vittoria delle destre. Gran parte degli elettori lo ignora. Molti, stanchi dei precedenti governi, oggi puntano sull’unico partito che era all’opposizione, dopo aver scelto in passato il PD di Renzi, poi i 5Stelle e la Lega. Insomma cercano il miracolo dal nuovo, accontentandosi di promesse impossibili da mantenere nella realtà e di pochi messaggi semplici e diretti accompagnati da quei motti che nella storia hanno distinto l’ ascesa al potere delle destre.
Quello più noto “Credere, obbedire, combattere” fu coniato da Mussolini ma la Meloni non è arrivata a quel punto. Si è limitata a pronunciare “Dio, patria e famiglia”, termini che riportano al tradizionalismo più reazionario. Forse non sa che quelle tre parole simboleggiavano la falange spagnola del generalissimo Franco; del regime di Pinochet in Cile insieme ad “Autorità, ordine e giustizia”, termini che indicavano uno dei regimi più crudeli del dopoguerra. E non si deve dimenticare la “rivoluzione socialista” in URSS che nascondeva tra l’altro i genocidi commessi da Stalin e compari.
La leader di Fratelli d’Italia, al di là dei suoi motti non solo giustifica e appoggia Orbán ma – certa della vittoria elettorale di domenica – si augura che il partito confratello spagnolo di estrema destra “Vox”, vinca alle elezioni che si svolgeranno il prossimo anno in Spagna.
In uno dei talk show pre-elettorali è intervenuto il filosofo francese Bernard- Henry Lévy il quale in una breve intervista su Rai3 ha attaccato duramente la destra che sta dilagando in Europa chiamando in causa anche i popoli che la sostengono.
Alla domanda se la sinistra fosse colpevole dello slittamento a destra degli elettori, il filosofo ha risposto: “Basta con questo luogo comune. Sono i popoli che fanno le scelte senza riflettere”. Per quanto riguarda l’Italia, ha ricordato le vittorie elettorali di Berlusconi, le promesse mai mantenute e i voti ottenuti anche quando veniva colpito dalla giustizia; ha sottolineato che Salvini da anni era in contatto con il Cremlino e stava per compiere un viaggio a Mosca pagato dall’ambasciata russa di Roma.
È un richiamo alla gente che prima di seguire un qualunque demagogo deve riflettere e non affidare la sua partecipazione democratica all’istinto e alle simpatie del momento.
Nota 1: Federico Fornaro, Il collasso di una democrazia
Sabato, 24 settembre 2022 – n° 39/2022
In copertina: foto di UngheriaNews