La parola a Tiziana Di Biasio, unica donna presente nella RSU Collettivo di Fabbrica – Lavoratori GKN
di Laura Sestini
L’improvviso licenziamento di tutti i dipendenti della GKN Automotive di Campi Bisenzio, in provincia di Firenze, fu postato sulla bacheca sindacale la mattina alle 10 di quel fatidico 9 luglio 2021 per mano di Dario Salvetti e Matteo Moretti – rappresentanti del Collettivo di Fabbrica – che si appellavano urgentemente a tutti i compagni di lavoro per presentarsi ai cancelli, ormai chiusi e presidiati da una decina di grossi bodyguard vestiti di nero, assunti da GKN a salvaguarda dell’entrata. Il trend dei bodyguard – disposti anche ad alzare le mani sui lavoratori – era già stato scattato sullo sciopero dei dipendenti FedEx-Tnt di Peschiera Borromeo e Piacenza, qualche mese prima, dove era apparsa anche la polizia antisommossa.
Il comunicato della direzione di GKN per la chiusura dell’azienda – rivolto a tutti i dipendenti – era stato inviato poco prima per email, un prodotto della digitalizzazione dei mezzi di comunicazione e soprattutto della disumanizzazione del lavoro che – promesso dalla Silicon Valley alle grandi corporazioni industriali – per il prossimo futuro verrà inter-cambiato con automi, molto più veloci e precisi degli esseri umani, nonché impermeabili alle lotte sindacali.
Per tutti fu un forte shock – una batosta – emozioni e sentimenti, speranze frantumate in un attimo, facili da immaginare.
La GKN di Campi Bisenzio era un’azienda a maggioranza di dipendenti uomini; d’altronde il comparto metalmeccanico nella mentalità comune è considerato maschile, nonostante le leggi per la parità di genere. Tra le donne, Tiziana è rimasta l’unica sempre presente nel presidio di occupazione dello stabilimento, mentre un’altra collega con una figlia disabile, si fa vedere sporadicamente.
Tiziana, lei come unica donna nel presidio sindacale ha una grande responsabilità, battersi per i diritti delle lavoratrici…
Tiziana di Biasio – Il primo mese di presidio mi sembrava di vivere in un mondo parallelo. Al risveglio, la prima cosa che pensavo la mattina era di dover andare al lavoro; la chiusura della fabbrica mi sembrava un sogno, qualcosa distaccato dalla realtà. La reale presa di coscienza è arrivata con il mancato stipendio che la ditta in appalto per cui lavoravo non ha retribuito, perché azienda già fallimentare prima della chiusura totale di GKN. Un fallimento importante – contenente anche una forte evasione fiscale e contribuiva per milioni di Euro. Un’azienda in queste condizioni, che rimane all’interno di una multinazionale odora di bruciato: sede a Milano e modalità in appalto a scatole cinesi, a cui qualcuno ha permesso di rimanere entro GKN.
Le poche donne che fino al 9 luglio 2021 erano dipendenti di GKN – multinazionale di proprietà di Melrose un fondo finanziario londinese che produceva componenti automobilistici di trasmissione e trazione – erano impiegate negli uffici, nella mensa interna e nel settore delle pulizie. In totale circa 30 donne su 422 lavoratori. All’inizio la situazione, senza remunerazione, è stata particolarmente dura; solo ad ottobre sono arrivati dei bonus Covid, equivalenti a circa 700 Euro mensili, per i lavoratori a tempo pieno. Infine con la riforma degli ammortizzatori sociali di inizio 2022, le ditte multiservizi sono rientrate nelle Casse straordinarie ed a maggio verranno distribuite le competenze di gennaio. Periodi lunghissimi senza nessuna entrata. La mancanza di entrate economiche per i lavoratori, ha fatto desistere molti di questi dalla lotta sindacale.
Una volta decisa l’occupazione della fabbrica – subito dopo il licenziamento – le lavoratrici della mensa, dipendenti di una ditta in appalto, sono uscite quasi subito dal contesto di lotta che si è creato, e fortunatamente ricollocate altrove.
Le donne impiegate negli uffici hanno frequentato l’assemblea permanente dei lavoratori solo un paio di giorni, poi non si sono più presentate. Io fui tra le prime dipendenti a raggiungere lo stabilimento, varcando i cancelli con altri colleghi. Da quel momento, ancora dopo un anno di presidio, sono inserita nella rotazione dei turni di occupazione dello stabilimento e membro permanente del Collettivo di Fabbrica. Io ero dipendente di una ditta di facchinaggio e pulizie in appalto, con dieci anni di anzianità. Con la decisione di GKN di delocalizzare sono stata tra le prime lavoratrici a perdere il lavoro.
I colleghi di GKN sono molto bravi ed attivi, la struttura del Collettivo di Fabbrica esisteva già prima del licenziamento: è per questo che poi hanno potuto muoversi più facilmente, anche aiutando altri lavoratori in lotta, come quelli di TexPrint di Prato, a cui portavano sostegno morale ed acqua, mentre erano in sciopero permanente. Per nove anni ho lavorato per la ditta in appalto a GKN, vivendo a 40 chilometri di distanza, mio figlio era piccolo e non potevo permettermi di presenziare a troppe attività sindacali. Una volta trasferitami in zona, ho tutto il tempo di contribuire al presidio. Il Collettivo di Fabbrica ha sostenuto fin da subito anche i lavoratori in appalto; quando si è realizzato il closing con Francesco Borgomeo, la prima cosa che è stata richiesta è stata la nostra internalizzazione in azienda, almeno di coloro che erano a tempo pieno. Dal 9 luglio, con un gruppo delle pulizie, ci siamo occupati di tenere pulito lo stabilimento.
Ritengo che con le lavoratrici, la multinazionale è stata particolarmente brutale. La nostra azienda in appalto contava 40 dipendenti entro la GKN, di cui sei donne; dalla data del licenziamento tutti noi non hanno più ricevuto nessuna remunerazione, né lo stipendio, né altre competenze spettanti. Gli addetti alla logistica hanno potuto accedere agli ammortizzatori sociali e alla cassa integrazione, per cessazione dell’attività; al contrario le addette alle pulizie, inquadrate con CCNL dei multiservizi, fino a fine 2021, avevano solo un fondo di solidarietà.
I dirigenti non sono più tornati in fabbrica dal 9 luglio, neanche per riprendere le loro cose lasciate negli uffici.
La catena di produzione è stata mantenuta attiva per essere riavviata in qualsiasi momento, vero?
T.D.B. – Si, certo. Con Borgomeo è stato redatto un accordo-quadro al MISE – Ministero dello Sviluppo Economico – a gennaio, ed anche se richiesta l’internalizzazione dei servizi in appalto, questa possibilità non è stata presa in considerazione; né le istituzioni, né i sindacati confederali hanno aperto bocca su questo punto. L’accordo però riguarda la priorità di assunzione, a potenziali prossime ditte in appalto, degli ex lavoratori licenziati.
Solo per un piccolo gruppo di sette lavoratori, due stranieri dei carrelli elevatori dell’azienda di logistica dove anche io ho lavorato, sempre presenti al RSU, tre alle pulizie, compresa la signora di cui ho già accennato, e due nella manutenzione, Borgomeo ha firmato un accordo per l’assunzione diretta nella QF entro fine agosto. Allo stato attuale, l’assunzione diretta di alcuni di noi ex in appalto è stata una piccola vittoria, perchè si tratta dei soggetti più deboli, e per il Collettivo è stato un obiettivo raggiunto, anche se al momento è un pezzo di carta come tutti gli altri. Per noi esterni, al contrario, continua la sola cassa integrazione.
E’ già stato reso pubblico cosa andrà a produrre l’azienda?
T.D.B. – La QF, non è una nuova azienda – non una vendita – ma una prosecuzione della GKN per cessione di quote. Attualmente Borgomeo sta cercando di appaltare il servizio delle pulizie, poiché a rotazione tutti i dipendenti, tre giorni al mese ognuno, si occupano della sicurezza dello stabilimento – della guardiania – stipendiati, ed è obbligatorio mantenere la pulizia delle aree comuni all’interno dell’azienda; al contrario questa è tuttora in autogestione, nonostante si sventoli pubblicamente il salvataggio dello stabilimento e dei 422 lavoratori.
Qui è necessario iniziare dalle basi, per esempio attuando un adeguato piano di sicurezza ed igiene, considerando che ancora non siamo usciti dalla pandemia, un punto che dovrebbe stare a cuore della direzione. Se ne parla da mesi, ma tutto rimane fermo. Abbiamo fatto un incontro con un’azienda di Roma, sempre del gruppo Borgomeo, che dovrebbe assumere i sette lavoratori in cassa integrazione ma, in odor di discriminazione, alle uniche due lavoratrici – la mia collega ed io – con il livello più alto di competenze tra il gruppo, ci è stato offerto un contratto di scala inferiore, mentre per gli altri è rimasto tutto uguale, nonostante che in nostra presenza Borgomeo avesse richiesto di assumerci alle stesse condizioni precedenti. Il futuro è incerto, l’azienda è ancora ferma, le armi in mano che abbiamo non sono molte. L’out out è “prendere o lasciare”. Da settembre dovremmo essere internalizzate, ma per pochi mesi ci assumerebbero a livelli inferiori.
Con quale scopo di risparmiare – per una Spa – poche centinaia di Euro, importanti invece per il lavoratore, visti tutti i rincari? Purtroppo il lavoro delle pulizie è poco considerato: “il primo marocchino che trovi per strada lo metti al lavoro”, sono queste le espressioni dei datori di lavoro sugli addetti del settore.
A fine maggio uno ‘strano’ soggetto si presentò allo stabilimento… Chi era, chi rappresentava?
T.D.B. – Questo episodio, entro il Collettivo di Fabbrica, ha fatto calare ancora di più la fiducia su Borgomeo. QF è acronimo di Quattro Effe: fiducia, futuro, fabbrica, Firenze, ma in realtà noi riponiamo poca fiducia nelle sue parole. Dopo diversi mesi in cui i grandi discorsi di salvataggio e propaganda si sono sprecati, la fabbrica ancora la gestiamo noi. Sono stati fatti colloqui individuali con i lavoratori, con la scusa di fare una mappatura delle competenze. Tutto ciò esisteva già. Noi crediamo, invece, che ci siano altri scopi dietro queste manovre, probabilmente per capire davvero chi sono queste persone e come poterle ‘usare’. Chi sono questi 422 scalmanati che danno filo da torcere alla nuova gestione ed alle istituzioni?
Borgomeo ci ha presentato inizialmente un progetto per la produzione di macchinari destinati all’industria farmaceutica, che poi è stato sostituito ad aprile con un nuovo progetto su un motore elettrico per auto, qualcosa che non ci sembra neanche troppo innovativo, visto il monopolio della Cina, ma sul quale non esiste ancora un piano industriale.
Da marzo ci incontriamo per il piano industriale – su cui QF, inizialmente, avrebbe dovuto fare da ponte per un’altra azienda – accompagnando anche i 422 lavoratori in quella direzione. Azienda che al momento non esiste, non ci sono altri investitori o acquirenti. E’ stato messo tutto sulla carta, presentato un timing project al Ministero con accordi firmati, ma di fatto non si muove nulla, sforando la scadenza del 31 marzo da diversi mesi.
Nel mentre ci ritroviamo in fabbrica soggetti provenienti dallo stabilimento GKN di Vigo in Spagna e di Brunico, giunti qui per visionare i contenitori dei pezzi prodotti in azienda, poiché ogni sede produce oggetti diversi. Il materiale viaggiava tra i diversi poli dentro imballaggi specifici, di proprietà delle differenti sedi, contrassegnati con colori diversi, secondo Spagna, Slovenia, Polonia ecc. Ce ne sono moltissimi qui a Campi Bisenzio, ed ognuno deve riprendersi i propri. La scusa per venire a ‘farci visita’ è stata questa. Una volta dentro lo stabilimento, le persone – presente anche Borgomeo – si sono messe a fare i conti di quanti camion vorrebbero per portare via tutte le attrezzature e i macchinari. Lo ‘strano’ personaggio era spagnolo, probabilmente un dirigente della logistica di Vigo. La RSU ha chiesto spiegazioni, ma Borgomeo ha risposto a Dario Salvetti che non ne sapeva niente: quelle persone non le conosceva. La risposta è, naturalmente, non credibile. Una menzogna spudorata. Vuole davvero fare qualcosa Borgomeo per questa azienda? E’ davvero interessato, oppure è solo un prestanome di Melrose, inviato qui a svuotare lo stabilimento?
Infine c’è stato un incontro alla Regione Toscana, dove la proprietà QF avrebbe dovuto presentare altri investitori. La Regione rappresenta il Comitato di Proposta e Verifica – richiesto al Mise dal Collettivo di Fabbrica GKN – presieduto dall’assessore Valerio Fabiani, il Comune di Campi Bisenzio e la Città Metropolitana di Firenze, che deve vigilare sull’operato di Borgomeo, e gli accorda fiducia.
Devono uscire i macchinari per far posto ai nuovi? Per noi RSU, macchinario esce, macchinario entra – parallelamente – altrimenti non se ne parla. Fin dai primi momenti di presidio allo stabilimento – il 9 luglio 2021 – è stata nostra volontà di ‘non far uscire uno spillo’, finché non è tutto chiaro e firmato. Melrose ci ha provato e non c’è riuscita, lo abbiamo dimostrato con le 40 mila persone scese con noi in piazza il 18 settembre a Firenze.
Borgomeo al momento in Regione ha portato un progetto sul motore elettrico, invece proprio con la nuova regolamentazione degli ammortizzatori sociali, per usufruire della nuova Cassa integrazione in transizione per 24 mesi studiata dal Ministero, è necessario un piano industriale concreto. I lavoratori GKN percepiscono la Cassa integrazione ordinaria, in scadenza a giugno. Quanto vogliamo continuare con gli ammortizzatori sociali – soldi dei cittadini – lasciarci assuefare a questi, e farci passare, magari, anche la voglia di lavorare? Poi arriverà la NASPI, sempre dai soldi pubblici. Faremo la fine dei lavoratori BluTec di Termini Imerese – ex Fiat – in cassa integrazione da 11 anni?
Pensiamo che Borgomeo sia in difficoltà, e la GKN voglia realmente indietro i propri macchinari.
Portando progetti in Regione, si spera forse, attraverso l’Ente pubblico, di trovare fondi dal PNNR?
Secondo lei la Regione Toscana è interessata a mantenere attiva la ex-GKN?
T.D.B. – L’attività della Regione nei nostri confronti non è particolarmente dinamica, e non si sbilancia pro lavoratori. Inizialmente ha dimostrato un interesse diverso. Fino al 31 marzo ha continuato ad affermare che fosse una responsabilità rappresentare il Comitato di controllo, che il progetto dovesse andare avanti, che non si doveva creare l’ennesima scatola vuota, salvaguardare 500 posti di lavoro nel territorio, che ‘era con noi’; dopodiché ha riposto tutta la fiducia su Borgomeo, dandogli tempo.
Nel 2023 ci saranno anche le elezioni politiche, un momento particolarmente importante la cui GKN può essere utile argomento di propaganda – i lavoratori come merce di scambio. Merce per il mercato finanziario ed anche per la politica.
A mio avviso GKN doveva essere portata avanti come polo per la mobilità sostenibile, il progetto degli Ingegneri Solidali dell’Istituto Superiore Sant’Anna di Pisa e di altre parti d’Italia. Un progetto che sia per il territorio, il futuro e davvero per l’ecologia. La Regione potrebbe avere un grande ruolo, se ne avesse la volontà.
Per il salvataggio della fabbrica arrivassero davvero i fondi del PNNR, perché elargire finanziamenti ad un industriale-capitalista? Diamoli ai lavoratori i fondi, che possono benissimo gestirsi da soli, in un’ottica di sostenibilità sociale e ambientale. Soldi del popolo che tornano al popolo, per il bene comune. Il lavoratore che si fa ‘classe dirigente’ è forse una visione ‘troppo all’avanguardia’, che fa tremare la politica?
Quale è la sua visione del futuro?
T.D.B. – Il futuro sono i giovani, infatti i cortei del 25 e 26 marzo li abbiamo organizzati con Friday for Future. Se potessi fare una proposta, al posto dell’alternanza-lavoro impiegherei quelle ore da dedicare allo studio dello Statuto dei Lavoratori. Quando parli con i giovani sui diritti sul lavoro, sono tutti contenti di lavorare con le agenzie interinali, e non sanno nulla in materia. Pensiamo al Job’s Act, non si rendono conto della loro precarietà, contenti di avere contratti a termine senza TFR o altri compensi dovuti fino a pochi anni fa.
Essere sfruttati nella produzione o addirittura morire per fare stage nelle aziende, senza piani sicurezza e ritorni economici, è una follia. I ragazzi in età scolare devono studiare. Qui abbiamo avuto una ragazzina nel laboratorio di elettronica, era spaesata, faceva tenerezza, in mezzo a tutti noi adulti, soprattutto uomini. Oppure fare al contrario, inviare operai esperti a fare lezione nelle scuole. Oltretutto, dopo mesi di alternanza-lavoro lo studente viene comunque assunto come apprendista, ma in realtà sa già come lavorare.
Dalla GKN a Coltano, contro la costruzione di una nuova base militare. Dove si incrociano le due cause?
T.D.B. – Con la chiusura di GKN a noi è stato detto che era dovuto perché si va verso la transizione ecologica e quindi il motore a scoppio sta diventando anacronistico.
Il lavoro non può essere separato dalla sostenibilità ambientale, per questo abbiamo sentito la necessità di partecipare alla marcia contro la guerra a Coltano. Guerra, armi, uguale non-ecologia. Ancora cementificazione all’interno di un parco naturale per una base militare, e centinaia di milioni spesi, necessari molto di più in ambito sociale e contro la crisi economica e pandemica.
Sabato, 9 luglio 2022 – n° 28/2022
In copertina: la manifestazione indetta a Firenze dai lavoratori GKN, il 18 settembre 2021 – Foto: Collettivo di Fabbrica GKN (tutti i diritti riservati)