Gli armamenti del Paese dipendono dalla Russia
di Simona Vittorini
Dall’inizio delle ostilità, l’India ha chiesto la “cessazione immediata della violenza” e ha espresso il proprio sostegno per la ripresa dei negoziati diplomatici e il dialogo, ma si è rifiutata di condannare all’ONU la Russia per l’invasione dell’Ucraina.
La risposta cauta di New Delhi ha sorpreso molti. Nelle sue ripetute astensioni si è trovata in compagnia di Paesi come gli Emirati Arabi Uniti, il Pakistan e la Cina – non certo i suoi partner strategici più importanti. Perché questa riluttanza nel deplorare le azioni della Russia in Ucraina? In realtà, questo comportamento non è nuovo.
In altre occasioni, la potenza sud-asiatica si è spesso astenuta dal votare simili risoluzioni in difesa del rispetto della sovranità e l’integrità territoriale degli stati indipendenti.
A giustificazione per le recenti astensioni, il governo Modi ha inoltre più volte ricordato alle Nazioni Unite che la sua priorità “massima” è l’evacuazione dei cittadini indiani. Un voto di sostegno alle risoluzioni avrebbe messo in pericolo la vita di circa 18000 studenti che si trovavano ancora in Ucraina, la sorte di alcuni dei quali è rimasta incerta solo fino a qualche giorno fa.
Non si può dimenticare che la Russia è un partner strategico di lunga data. Al di là dell’intervento a fianco dell’India durante la guerra di liberazione del Bangladesh e del sostegno politico offerto a New Delhi sulla spinosa questione del Kashmir – territorio conteso col Pakistan – il Paese dipende da essa per bilanciare la Cina, con cui è impegnato in un conflitto a bassa intensità sul confine nord-orientale.
Mosca è anche il primo fornitore di armi dell’India. Più della metà degli aerei da combattimento delle forze armate indiane e tutti i carri armati sono russi. Alcune stime calcolano che la dipendenza di New Delhi dalle forniture belliche riguardi addirittura l’85% del sistema d’armamento. Ad accentuare la dipendenza strategica c’è anche il patto decennale di cooperazione per la difesa firmato dai due Paesi poco prima della fine del 2021, che include la vendita di sistemi missilistici terra-aria S-400 del valore di 5,43 miliardi di dollari e un accordo per la produzione di oltre 600.000 fucili d’assalto AK-203, per rafforzare le sue capacità di difesa contro la Cina.
In confronto, gli Stati Uniti forniscono solo il 10% degli armamenti. Sebbene New Delhi e Washington si siano avvicinate parecchio negli anni della presidenza Trump, ampliando la loro cooperazione economica e politica, gli USA hanno storicamente privilegiato il Pakistan. Oltre all’assistenza tecnica e militare, Islamabad ha ricevuto da Washington 10 miliardi di dollari di forniture militari tra il 1950 e il 2020. Questo non ha fatto altro che aumentare negli anni la diffidenza di New Delhi nei confronti della potenza più grande del mondo.
Oltretutto, la politica estera indiana continua ad essere dominata dalla “dottrina Nehru” del non-allineamento, e dall’ottenimento di una autonomia strategica volta a garantire l’indipendenza diplomatica di fronte alle pressioni delle superpotenze mondiali. Recentemente, New Delhi ha espresso la propria reticenza ad impegnarsi pienamente nell’alleanza strategica Quad guidata dagli Stati Uniti per timore di diventare un alleato subordinato di Washington.
Ma al di là del supporto militare e strategico, la Russia sta anche aiutando il Paese nella sua espansione ambiziosa nel settore dell’energia nucleare: le due nazioni hanno firmato un accordo di vasta portata nel 2017 che prevede la costruzione di un impianto di 6.000 MW a Kudankulam – sei reattori nucleari – con la possibilità di costruirne una dozzina in più nei prossimi 20 anni. Le due potenze hanno anche accettato di espandere la loro cooperazione nucleare in Paesi terzi.
A questo si devono aggiungere i problemi economici che la guerra causerà alle catene di approvvigionamento globali di petrolio greggio, olio da cucina e fertilizzanti e che avrà importanti ripercussioni per i consumatori indiani. Il Paese del Sub-Continente infatti importa il 76% del suo fabbisogno di olio di girasole dall’Ucraina e il 10-12% di fertilizzanti dalla Russia, l’Ucraina e la Bielorussia.
A differenza dei Paesi dell’UE, di Israele e della Cina, il voto di astensione indiano non è stato accompagnato da tentativi concreti di mediazione, nonostante le ripetute conversazioni telefoniche tra Modi e Putin di questi ultimi giorni. La mancanza di iniziativa diplomatica rischia di minare le relazioni con i partner europei e di suscitare forti dubbi a Washington. All’inizio della settimana scorsa è emerso che il presidente Biden, in un telegramma inviato ai suoi diplomatici all’estero, abbia chiesto loro di dire alle controparti indiane che la loro ‘neutralità’ sulla questione ucraina equivale ad un supporto tacito a Mosca.
È chiaro che New Delhi sta cercando di bilanciare i principi di rispetto per la sovranità e l’integrità territoriale – principi inderogabili per una nazione nella quale parti del territorio sono contese – con il suo desiderio di non intaccare la partnership con Mosca che si è fatta sempre più stretta e necessaria soprattutto in vista delle crescenti tensioni indo-cinesi sul confine orientale. Se i rifornimenti russi venissero meno, tutto il sistema di difesa indiano rischierebbe di bloccarsi e il Paese diventerebbe vulnerabile alle pressioni cinesi.
Sabato, 19 marzo 2022 – n° 12/2022
In copertina: Vladimir Putin e Narendra Modi durante il summit di dicembre 2021 – Foto: Pmindia.gov.in