L’analisi di Domenico Gallo, magistrato pacifista
di Lucy M. Pole
L’autore del libro, volume breve ma denso, ha un passato professionale come magistrato, quindi è attento all’individuazione obiettiva dei fatti precursori dei conflitti e al rispetto, o meno, della legalità internazionale. In una serie di articoli, interventi in convegni e riflessioni sulla guerra in Ucraina, come sulla guerra in Palestina, ci offre una lettura alternativa, pacifista propositiva, alla narrazione mainstream bellicista che ha permeato l’Occidente dal febbraio 2022.
Con citazioni di personaggi chiave allo sviluppo degli eventi, l’autore demolisce la dicotomia mediatica dei conflitti; la narrazione che pone noi con i buoni e loro con i cattivi; insomma il racconto rassicurante che stiamo facendo solo il nostro dovere, e lo fa con efficacia in relazione ad entrambi i conflitti.
Il primo capitolo riassume le azioni della Nato negli ultimi 25-30 anni; azioni che hanno creato il sottofondo per una nuova guerra fredda, per isolare e umiliare la Russia. “Se la guerra è iniziata il 24/02/2022, la pace ha cominciato a estinguersi molto tempo prima.”
Al tempo della riunificazione della Germania e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, 1991 e 1989 – osserva il magistrato – c’era la reale possibilità di gettare le basi per rapporti di rispetto reciproco tra gli Stati dell’Est europeo e quelli dell’Occidente. Le assicurazioni fatte a Gorbaciov da James Baker, segretario di Stato USA, assieme agli impegni presi dalla Germania, la Gran Bretagna e la Francia nel 1990, durante il processo di unificazione della Germania, dettavano la parola d’ordine: la Nato non si sarebbe allargata neanche un pollice verso est: Not one inch eastward. A quel punto era evidente che l’espansione della Nato, incorporando i Paesi confinanti la Russia, sarebbe stato percepito come una grave minaccia alla sicurezza della stessa Russia. Perciò l’idea propizia, all’epoca, era di lasciare un corridoio di Paesi neutrali.
Purtroppo, solo pochi anni dopo, nel 1997, l’Alleanza Atlantica ha iniziato a rimangiarsi la promessa: la Polonia, la Repubblica Ceca e l’Ungheria sono stati inglobati dalla Nato e ad oggi sono 13 in tutto gli Stati dell’Europa dell’Est che vi hanno aderito, nonostante le assicurazioni del contrario. L’autore riflette: “Con la scelta che gli Usa hanno imposto alla Nato nel luglio del 1997, il treno della storia è stato deviato su un altro binario, verso un percorso che ci ha sempre più velocemente allontanato dall’orizzonte del 1989.”
L’americano George Kennan, teorico del contenimento del blocco socialista, scriveva sul New York Times, a febbraio 1997, che la decisione di espandere la Nato in questo modo era il più grave errore del post guerra fredda. Sullo stesso tono, l’ex ministro degli Esteri, Lamberto Dini, in un’intervista del marzo 2022, sosteneva dalla sua esperienza che la Russia non avrebbe mai accettato di avere delle basi Nato lungo il confine ucraino. Intanto gli Stati Uniti per anni hanno continuato ad armare l’Ucraina, coprendosi – assieme all’Europa – di buona parte della responsabilità del conflitto, secondo il ministro.
Ancora, l’autore indica le parole rivelatrici del segretario Nato, Stoltenberg, quando racconta del rifiuto da parte Nato di firmare la bozza di trattato inviata da Putin nel 2021, in cui chiedeva di smobilitare le basi Nato nei Paesi entrati a far parte dopo il 1997 e di impegnarsi a non allargare più l’Alleanza. Il rifiuto di dialogare su questa proposta russa è in sostanza l’ultima goccia di una serie di provocazioni, confermato anche, come cita il magistrato, da Benjamin Abelow, autore americano, in Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina (Fazi 2023).
“La sciagurata avventura militare di Putin, che ha varcato il Rubicone la mattina del 24 febbraio 2022, [costituisce] una risposta del tutto prevedibile, e perciò prevenibile, a una trentennale storia di provocazioni alla Russia, cominciate durante la dissoluzione dell’Unione sovietica e proseguite, in un crescendo inarrestabile, fino all’inizio del conflitto attuale.”
In nome della lotta al terrorismo, della difesa della democrazia e dei valori dell’Occidente, si violano gli stessi valori che si vorrebbero difendere. L’autonomia e l’autodeterminazione del popolo della Crimea sono state a lungo negate e dal referendum del 2014, l’Ucraina ha condotto una guerra sanguinosa contro il popolo russofono della penisola.
La doppiezza degli Stati Uniti – osserva Gallo – si vede chiaramente quando “la vice presidente, Kamala Harris, chiede giustizia sui crimini russi, ma il suo Paese non accetta processi ai suoi militari, per i crimini in Afghanistan e in Iraq, e perseguita i giornalisti come Julian Assange per aver osato rivelarli.”
Significativo è l’articolo che descrive i tentativi (bloccati) di fermare il conflitto in Ucraina. A marzo 2022, in Turchia, un mese dopo l’inizio del conflitto, era stato quasi raggiunto un accordo di pace. Però “Vi è stata un’attività segreta, che si è sviluppata sulla pelle del popolo ucraino e degli altri popoli europei per sventare la pace. I principali indiziati sono gli Usa e la Gran Bretagna, in quanto i principali fornitori di armi all’Ucraina. […] Lo scopo di inserire l’Ucraina nella grande «famiglia atlantica» evidentemente valeva centinaia di migliaia di morti, l’ecocidio dell’ambiente, sofferenze inenarrabili …”
Poi quando arriviamo agli obiettivi finali dell’Ucraina, dichiarati da Zelensky, la vittoria sulla Russia e la “pace giusta”, ovvero smembrare una potenza nucleare e riprendere i territori occupati, compresa la Crimea (di valore strategico irrinunciabile per la Russia), Gallo mette in evidenza il perché non esiste, in nessun caso, la possibilità di una vittoria militare.
Proseguire ad oltranza con l’invio di armi, consapevoli ma indifferenti delle conseguenze prevedibili, porterebbe solo e inevitabilmente ad una escalation del conflitto fino all’uso del nucleare. Porterebbe quindi ad una situazione lose-lose in cui perderemmo tutti.
Attraverso il testo si rivela la profonda umanità dell’autore: “Prima o poi le madri, i padri, i fratelli, le spose chiederanno conto a Zelensky e ai leaders occidentali della vita dei loro cari, sacrificata sull’altare della protervia degli Usa e della Nato. Siamo sicuri che prima o poi Stoltenberg sarà perseguitato da un incubo: vedrà comparire in sogno un esercito di morti che si rialzeranno dal fango delle trincee, con le bende sulle ferite e le divise ancora insanguinate, e gli chiederanno con la voce flebile dei fantasmi: restituiteci la vita di cui ci avete derubato.”
Dunque, riflette il magistrato, come usciamo da questo punto d’impasse, se non si cambia modo di pensare/agire, per il bene di tutti i popoli coinvolti? Per arrivare ad un accordo sostenibile tra la Russia e l’Ucraina, che duri nel tempo, con meccanismi di garanzia per la sicurezza e l’autonomia delle parti, occorre eliminare la sovrapposizione di interessi vitali delle parti. Occorre superare il modello di sviluppo basato sulla disuguaglianza e la sopraffazione.
Infatti, in riferimento alla conferenza di Helsinki del 1975 sulla sicurezza e cooperazione in Europa, scrive: “La visione del futuro può nascere solo (…) dal ripudio di una politica orientata a costruire l’ostilità nei rapporti fra le nazioni, a perseguire la “sicurezza” di una parte (la nostra) a danno dell’altra parte, incrementando le minacce militari e l’assedio geopolitico al “nemico”. Dunque si deve riprendere in mano le trattative già scartate (della Turchia, della Cina, della stessa Russia) e trattare, ad oltranza, per formulare una versione equa per tutti. L’importante però, è rimettere il dialogo al centro e non far prevalere più gli interessi di pochi, delle lobby delle armi, particolarmente degli Stati Uniti e la Gran Bretagna.
Nel capitolo secondo, sul conflitto in Medioriente, con la stessa perspicacia l’autore smonta il castello di bugie sulla guerra contro il popolo palestinese. Le contraddizioni della democrazia israeliana relative sia alla riforma della giustizia voluta da Netanyahu, sia alle pratiche di apartheid nei confronti dei palestinesi sono state denunciate da Gallo molto prima del 7 ottobre.
Anche in questo caso, la verità è stata sacrificata nella narrazione dominante, e da tante testate giornalistiche. La versione dello Stato che deve difendersi da un terrorismo diabolico che minaccia la sua stessa esistenza non sta in piedi. Basti guardare i fatti.
“È innegabile – scrive – che non sia una guerra solo contro Hamas, dopo più di 30mila morti, (ad oggi 50,000 ndr) dei quali il 70% donne e bambini; bombardamenti indiscriminati; privazioni di acqua, luce, gas, comunicazioni; per tacere – per non tacere – delle violenze compiute in Cisgiordania e del regime alle quali sono soggetti i Palestinesi in Israele”.
Per quanto l’attacco compiuto da Hamas il 7 ottobre possa essere classificato come terrorismo, persino come un crimine contro l’umanità, non si può negare che esista un popolo oppresso e uno Stato oppressore.
“La parola genocidio è troppo pesante per essere utilizzata a cuor leggero, anche perché sovente è strumentalizzata dalla politica e quindi banalizzata. Tuttavia, se l’obiettivo perseguito è quello della guerra per distruggere Gaza, identificata come il male assoluto, la condotta di Israele, anche in senso tecnico-giuridico, rientra nel concetto di «genocidio», come definito dalla Convenzione Onu del 9 dicembre 1948.”
Anche in questo caso, in nome di valori assoluti, la sicurezza, la lotta al terrorismo, la difesa della democrazia, si ostinano a mandare armi e finanziamenti per bombardare appunto, anche obiettivi civili: ospedali, campi profughi – violando gli stessi valori, la stessa legge internazionale, che si vorrebbero difendere. La sicurezza e il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, oppresso e perseguitato, anche attraverso la confisca dei terreni in Cisgiordania, non trovano spazio nei calcoli degli Stati Uniti e l’Europa.
L’autore fa notare l’assurdità e l’impossibilità dell’obiettivo di Israele: la distruzione totale di Hamas. Se i combattenti si mescolano alla popolazione civile, nemmeno con la morte di migliaia di donne e bambini, per prendere i militanti di Hamas, sarà garantita la sicurezza di Israele. I superstiti, quei fanciulli sopravvissuti, divenuti un po’ più grandi, non saranno tentati di vendicare i loro fratelli e familiari uccisi dal fuoco israeliano? Il governo Netanyahu crede che non ci saranno ritorsioni, compiuti contro obiettivi ebrei magari un po’ ovunque, per non parlare del coinvolgimento degli altri paesi arabi tradizionalmente difensori della Palestina?
Il “nostro” magistrato offre proposte percorribili di soluzioni durature e soddisfacenti, oltre il cessate il fuoco necessario come spazio nel quale progettare un intervento delle Nazioni Unite. “La Striscia di Gaza deve essere sottratta al controllo di Israele” e affidata “ad una missione civile e militare delle Nazioni unite” che “dovrebbe promuovere la creazione, in attesa di una soluzione definitiva, di una sostanziale autonomia e autoamministrazione della Striscia di Gaza”.
Ma c’è anche una terza guerra in atto proprio in Italia, alla quale Gallo non manca di dare attenzione. L’autore si riferisce alla ‘guerra’ condotta contro le persone migranti, diventati il nemico pubblico e colpevolizzati di tutto il disagio divampante nella società. Le politiche di esclusione ai titolari del diritto all’asilo – come le politiche di delocalizzazione del problema, spostare i migranti con tutti i loro diritti e i loro bisogni fuori dai confini italiani – sono esempi della politica repressiva contro un esercito sbarcato con solo i sandali ai piedi. Conviene al governo Meloni esternalizzare il problema, cioè deportare le persone migranti, contro il diritto internazionale, in Paesi dove finiscono in mano a dittatori senza scrupoli.
Riferendosi al nesso tra Democrazia e Pace, relativo sia alla politica interna che a quella internazionale, Gallo, mette sempre al centro il dialogo. Inoltre indica il nesso opposto, quello tra Autoritarismo e Guerra, e fa notare i pericoli che porta il vento di sovranismo in Europa. Senza dimenticare che la democrazia, per essere sana e robusta, deve poggiare sull’equilibrio dei poteri, tra legislativo ed esecutivo, con l’indipendenza del potere giudiziario, per la tutela dei diritti di tutti, soprattutto dei soggetti più deboli e vulnerabili come le persone migranti.
Il “magistrato pacifista” conclude con un augurio sentito: che la tempesta perfetta, con le guerre che infuriano e il vento sovranista che soffia, non ci faccia abbandonare allo sconforto e alla depressione. Auspica, anzi, che la gravità della situazione ci dia la spinta per ritrovare nuovo spirito ed energia inaspettata, per creare un grande movimento di Pace, una coscienza collettiva, dotata della consapevolezza del ripudio della guerra.
Sabato, 6 luglio 2024 – Anno IV – n° 27/2024
In copertina: immagine parziale della copertina del volume