Come la Libia blocca le migrazioni
di Ettore Vittorini
Nel suo viaggio lampo a Tripoli, il presidente del Consiglio, Draghi, ha voluto consolidare i rapporti tra Italia e Libia, già resi buoni nel 2008 dal governo Berlusconi quando Gheddafi fu accolto a Roma con tutti gli onori. Il nostro Premier di allora gli baciò addirittura la mano senza far caso a una fotografia che il dittatore teneva appuntata sul petto. Era la foto dell’eroe libico Omar al-Mukthar che si era battuto contro la dominazione italiana. Catturato dal generale Graziani, fu fatto fucilare dal governatore Badoglio nel 1931. Gheddafi con quel ritratto voleva ricordare il periodo dell’occupazione del suo Paese da parte degli italiani dal 1911 al 1943. I governi liberali e poi fascista, dovettero subire a lungo una guerriglia che fu soffocata con bombardamenti, con i gas asfissianti e la creazione di campi di concentramento per le popolazioni berbere che vennero decimate dalle malattie e dalla fame. Ufficialmente ci furono 100 mila morti.
L’incontro di Roma con Berlusconi fu fruttuoso per gli investimenti italiani in Libia e per il freno che quel Paese si era impegnato a porre sugli espatri dei migranti verso le nostre coste. In cambio Gheddafi ottenne nuove motovedette per la guardia costiera, sovvenzioni per i cosiddetti campi di accoglienza e la promessa della costruzione di un’autostrada lunga più di 2.000 Km che, attraversando tutta la Libia, sarebbe arrivata sino al confine egiziano. Avrebbe seguito il tracciato della via Balbia, fatta costruire da Italo Balbo, governatore della colonia dopo Badoglio.
I buoni rapporti con l’Italia si congelarono dopo la rivolta tunisina dei gelsomini che si estese anche in Libia e portò alla morte di Gheddafi e in seguito alla guerra civile conclusasi, come sembra, pochi mesi fa col governo unitario del Premier Dbeilbah.
Draghi si è ben guardato dal ripetere i salamelecchi berlusconiani, ma ha elogiato la Guardia costiera libica. Ha detto testualmente: “Noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa per i salvataggi e nello stesso tempo noi aiutiamo e assistiamo la Libia”. Probabilmente al nostro Capo del governo, preso dai problemi dell’Italia, è sfuggita la situazione dei migranti relegati nel Paese che ha visitato. Forse nessuno del suo staff gli ha ricordato il vero comportamento degli equipaggi della Guardia costiera composti da bande armate, da trafficanti, da militari sbandati di un esercito nazionale ormai inesistente. Ci ha pensato l’Italia a finanziarli e addestrarli. La Libia, come la Turchia, ha usato le proprie coste per prendere soldi dall’Europa e dall’Italia. Le motovedette non hanno mai salvato nessuno, hanno invece catturato i fuggitivi sui gommoni per riportarli nei lager, per usarli come schiavi, torturarli, per chiedere il riscatto ai parenti, per ucciderli. Insomma il nostro Draghi ha elogiato dei pirati la cui crudeltà è ben nota.
Le azioni di queste bande, le condizioni dei campi in cui vengono ammassati i rifugiati sono state denunciate dall’Alto Commissariato dell’Onu e da tante organizzazioni umanitarie. La Corte dell’Aja ha aperto un’inchiesta sul comportamento dei libici. Gli accordi con la Libia appartengono a governi precedenti, anche di centro sinistra, che hanno dovuto sottostare ai ricatti prima di Gheddafi e poi dei capi delle bande armate, per tacitare quella parte della nostra opinione pubblica che ha paura delle invasioni di migranti, dell’arrivo di povera gente che vede nell’Italia e nell’Europa luoghi di salvezza dalla miseria, dalla fame e dai soprusi. I finanziamenti sono serviti più che altro a tenere lontane le azioni terroristiche dai nostri giacimenti in Libia e a preservare le politiche energetiche.
Il comportamento dell’Italia, e dell’Europa, verso Paesi come la Libia e altri del mondo musulmano, esprime un grave segno di debolezza, di arrendevolezza, di sottomissione a un ricatto continuo sulla pelle di migliaia di migranti che non vogliamo accogliere. In questo modo si permette l’arroganza di governi fantoccio o di dittature come quella turca. Ne è un esempio la diatriba sull’accoglienza ricevuta dalla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, durante la visita al Presidente turco Erdoğan, per rinnovare l’accordo sui migranti. Era con lei anche il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel. Ebbene, nel salone del colloquio c’erano soltanto due poltrone sulle quali si sono seduti i due uomini, mentre von der Leyen è stata fatta accomodare a distanza su un divano posto di traverso. Di fronte, su un identico divano, il Ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu. Secondo l’autocrate e bigotto ’sultano’ turco la donna non era degna di sedere al lato dei due uomini. Alla conferenza stampa di giovedì Draghi ha definito Erdoğan un dittatore, aprendo così un incidente diplomatico. I turchi affermano che il loro presidente è stato eletto col 51% di voti. Bisognerebbe vedere come si sono svolte le elezioni.
Che cos’altro ci si può attendere da un capo di Stato come Erdoğan, che ha soffocato la democrazia del suo Paese e stravolto le politiche mediorientali; che considera il Mar Egeo una sua proprietà e lo infesta con navi da guerra come facevano un tempo i pirati dell’impero Ottomano? L’Europa deve cambiare politica nei confronti dei dittatori, grandi e piccoli, che occupano i Paesi al di là del Mediterraneo (vedi anche l’Egitto). La sua debolezza delude quella parte di opinione pubblica che ha fede nello sviluppo dell’Unione e rafforza coloro che ne vogliono la fine.
Sabato,10 aprile 2021 – N° 11/2021
In copertina: Migranti in transito sostenuti da UNHCR. Foto ©Laura Sestini/Archivio Ishtar Immagini.