Da 113 anni figli e nipoti vivono nelle baracche
di Ettore Vittorini
In Italia più di 6 mila terremotati dimenticati sono in attesa di avere un’abitazione decente. Ma non si tratta di quelli delle Marche e dell’Umbria – è ancora troppo presto per costoro, secondo la macchina dello Stato e della burocrazia – e nemmeno di quelli dell’Irpinia del 1980 o di quelli del Belice del 1967. Parliamo invece delle migliaia di cittadini di Messina i cui nonni e bisnonni scamparono al catastrofico terremoto del 1908, proprio quello di 113 anni fa che uccise 80mila persone nella città siciliana e 20mila a Reggio Calabria e dintorni, distruggendole per il 90%.
La prima scossa di magnitudine del 7,2 % della scala Richter e della durata di 37 secondi, colpì alle 5 e 20 del 28 dicembre portando distruzione nelle città dello Stretto. Pochi minuti più tardi un’ondata di tsunami concluse la nefasta azione della natura. Quand’ero bambino, mio nonno – ex dipendente delle Ferrovie a Siracusa – mi raccontava di essere stato tra i primi a portare soccorso agli scampati di Messina; della città che non esisteva più; del crollo delle caserme che aveva ucciso gran parte dei membri delle forze dell’ordine, dei militari, dei marinai; degli ospedali cancellati; della disperazione di chi era scampato alla strage. Con lui c’era l’amico e anche collega Gaetano Quasimodo, padre di Salvatore, il poeta Premio Nobel.
Il questore fu trovato privo di vita sotto le macerie della sua abitazione; anche il prefetto era stato sepolto dal crollo ma ne uscì indenne il giorno dopo. Il sindaco, rimasto illeso, vagò come impazzito tra le macerie per due giorni. Si salvò Gaetano Salvemini a quel tempo professore di Storia all’Università di Messina, ma morirono la moglie, i cinque figli e la sorella, mentre lui riuscì ad aggrapparsi alla ringhiera di un balconcino.
I sopravvissuti furono accolti in tendopoli, nelle vetture e nei carri merce provenienti da Siracusa e da Palermo; i feriti trasportati a bordo delle navi della flotta imperiale russa ancorata nel porto di Augusta, che immediatamente dopo il terremoto aveva raggiunto Messina. Nella città fu eretto un monumento ai marinai dello Zar che si prodigarono nei soccorsi sin dall’inizio della sciagura.
Nei mesi successivi, mentre cominciava la ricostruzione, furono erette migliaia di baracche per ospitare i profughi. Lo Stato promise alla popolazione che le avrebbero abitate per poco tempo, ma – come accade ancora ai nostri giorni – i tempi furono lunghi e tante le polemiche sull’inefficienza dei vari governi che seguirono. Soltanto una parte dei terremotati trovò una casa, gli altri – rimasti ancora nelle baracche – furono cancellati dalla memoria dei politici e della burocrazia.
E dopo più di un secolo seimila abitanti di Messina continuano a vivere in posti malsani, privi di fognature e di acqua corrente, tra montagne di rifiuti. Sono persone ormai rassegnate, dimenticate dalla Storia, dallo Stato e dalla maggior parte dei media. Le baracche si trovano negli stessi luoghi in cui nacquero ed oggi sono circondate da nodi autostradali, capannoni industriali e palazzoni abitati dai più fortunati. Sono distribuite in due quartieri che prendono il nome di Giostra e di Taormina, termini decisi da qualche burocrate del passato che forse voleva fare dell’ironia paragonandoli a un luogo di divertimenti e alla famosa città turistica che dista pochi chilometri da Messina.
A riscoprire quella gente abbandonata è stato il New York Times, con una recente inchiesta ripresa dal settimanale italiano Internazionale. Anche la pandemia del Covid ha contribuito a riportare nell’attualità quell’ultracentenario problema col diffondersi in modo allarmante nei due quartieri, preoccupando le autorità.
Lo Stato ha finalmente deciso lo stanziamento di 100 milioni di Euro per la costruzione di appartamenti destinati ai terremotati e nell’attesa che arrivino soldi e progetti, il Comune di Messina ha trovato nuove abitazioni per trecento famiglie. Entro tre anni le baraccopoli dovrebbero essere completamente eliminate. La Ministra per il Sud Mara Carfagna aveva dichiarato alcuni mesi fa: “Un Paese europeo come il nostro non può tollerare situazioni come quella di Messina”. E chi può darle torto?
Sabato, 27 novembre 2021 – n° 44/2021
In copertina: strada di Messina distrutta dal terremoto – Immagine d’archivio di dominio pubblico