La rotta dei Balcani dei migranti che nessuno vuole
di Ettore Vittorini
Viene chiamato la ‘rotta dei Balcani’ quel tragitto che i migranti percorrono per raggiungere via terra l’Europa della ‘libertà e del benessere’. Sono le migliaia di esseri umani che fuggono dai loro Paesi distrutti dalle guerre, oppressi da feroci dittature e colpiti da una atavica povertà. Provengono dalla Siria, dall’Iraq, dal Nord Africa, dall’Iran, dall’Afghanistan, dal Pakistan e da altri luoghi nei quali la vita normale è scomparsa.
L’attraversata del Mediterraneo fino alle coste italiane e spagnole è diventata più pericolosa: dai ‘lager’ libici è più difficile partire e quelli che vi riescono, spesso, non possono più contare dell’aiuto delle navi delle Ong, il cui numero è diminuito. Chi ha più denaro da spendere può contare sui traghettatori che partono dalla Tunisia con imbarcazioni più veloci e sicure.
Il cammino dei migranti attraverso i Balcani parte dalla inospitale Turchia che, nonostante abbia ricevuto nel 2016 dall’Unione Europea sei miliardi di Euro per accoglierli e tenerseli, li lascia passare in Grecia. È un passaggio pericoloso perché la polizia greca li respinge sparando proiettili di gomma e quella turca li rimanda al di là del confine a suon di botte. Il viaggio, già drammatico in partenza, prosegue attraverso la Macedonia, il Montenegro, la Serbia, la Bosnia, e dovrebbe continuare via Croazia, Slovenia e Italia. Il cammino diventa un vero calvario perché si svolge tra Paesi ostili, gli aiuti umanitari molto scarsi e le polizie locali spietate.
L’ultima tappa della marcia di questi disperati è il passo di Velika Kladuša, che segna il confine tra Bosnia e Croazia. Superarlo significa entrare in uno dei 27 Paesi dell’Unione Europea. Ma i croati non li lasciano passare: li cacciano come appestati ignorando che le tessere identificative rilasciate a molti profughi dall’Alto Commissariato per i rifugiati dell’Onu permetterebbero loro di entrare nell’UE. L’accanimento della polizia croata si manifesta in una feroce caccia all’uomo. Gli agenti lanciano cani addestrati; coloro che sono catturati vengono derubati del denaro, dei cellulari, delle scarpe e degli oggetti di valore. Molti picchiati, gettati nei fiumi. Dal 2018 a oggi sono state respinte migliaia di persone: giovani, anziani, donne e bambini. L’accanimento della polizia e dell’esercito croati segue ben precise direttive del proprio Ministero degli Interni.
Pertanto la Bosnia, non ‘europea’, è diventata una specie di purgatorio per i disperati che attendono di entrare, chissà quando, nel ‘paradiso’ della UE. È un purgatorio per modo di dire, perché la permanenza dei profughi è ridotta a una condizione infernale.
Un migliaio di rifugiati viene ospitato nel campo di Miral, nei pressi della cittadina di Velika, gestito dall’Oim – Organizzazione internazionale per le migrazioni – col finanziamento dell’UE. Si tratta di una ex-fabbrica e di una grande tenda forniti di letti e scarsi servizi igienici. La Croce Rossa Internazionale distribuisce tre pasti al giorno e qualche assistenza medica. Ma i problemi sono tanti: il freddo, i soprusi della polizia locale che ostacola l’attività dei volontari e la solidarietà della popolazione di Velika. Inoltre, nel giugno scorso, il campo ha subito un incendio che, secondo le autorità sarebbe stato accidentale. Altri profughi sono sparpagliati nei dintorni, trovando riparo in edifici abbandonati, in case diroccate nei boschi, in ripari costruiti con cartone e plastica.
In Bosnia i campi profughi sono cinque, gestiti dalle Ong internazionali. Il più popolato è quello di Bihać. Il governo di Sarajevo non riesce, o non vuole occuparsene, nonostante i 20 milioni di Euro ricevuti dalla UE. La versione ufficiale è che le amministrazioni locali rifiutano di collaborare.
E l’Europa che fa? Chiude gli occhi di fronte alla sistematica violazione dei diritti dell’uomo; ignora le violenze e le torture organizzate dalle autorità croate, quindi europee. Le violenze sono state denunziate e documentate ripetutamente da Amnesty International e da parlamentari europei, senza ottenere risposte da Bruxelles. L’intervento dell’UE consiste nel rafforzare il controllo delle proprie frontiere e inviare sostegno economico ai Paesi che ‘ospitano’ i migranti. Pochi di costoro riescono a superare il blocco della Croazia e della Slovenia e, arrivati ai confini triestini, vengono respinti dagli italiani.
Tutto questo accade da tanto tempo senza che i media ne diano lo spazio dovuto. Fa più notizia l’emigrazione che arriva dal mare con le centinaia di morti provocate dai naufragi; con le polemiche sui respingimenti e lo scaricabarile tra gli Stati.
La rotta dei Balcani ricorda il film Il cammino della speranza di Pietro Germi. Risale al 1950 e racconta la vicenda di due famiglie siciliane che tentano di emigrare clandestinamente in Francia. La loro guida, che aveva preso 20 mila lire a testa, li abbandona in una stazione del Nord. Gli emigranti, una dozzina di persone, cercano di attraversare da soli, a piedi e tra la neve, le Alpi. Riescono nell’impresa ma in territorio francese vengono bloccati da una pattuglia di gendarmi. Il film finisce bene perché il comandante si impietosisce e li lascia passare. Era soltanto una finzione cinematografica, ma era vero il riferimento a quegli italiani che allora, a migliaia, cercavano un po’ di fortuna all’estero.
Sabato, 13 febbraio 2021 – n° 3/2021
In copertina: nei campi della rotta balcanica. Immagine Caritas Ambrosiana.