La “buona condotta” ridurrebbe il numero dei detenuti
di Laura Sestini
In Italia, il sovraffollamento carcerario è una grave questione che nessun governo pare intenzionato ad affrontare in maniera adeguata, e certo non di facile soluzione se l’atteggiamento giudiziario è principalmente criminalizzante invece che preventivo ed educativo; se le misure alternative risultano sui manuali giudiziari ma non nella realtà dei fatti; se c’è sovrabbondanda di provvedimenti in custodia cautelare; se, con il recente Decreto Caivano (Decreto-legge 15 settembre 2023, n.123), si portano in carcere minori di aree socialmente degradate, e non slo del sud Italia, invece di programmare dei progetti pedagogici per quei giovani che, casualmente, o per disgrazia, o genealogia familiare sono cresciuti in tali zone. Dove era lo Stato quando questi giovanissimi compievano rapine o stupri di gruppo, invece di andare a scuola come altri loro coetanei? Si aprono gli occhi, e sempre più spesso si tengono volontariamente chiusi, salvo poi agire in emergenza quando “ci scappa il morto”, che nel caso di Caivano erano reiterati stupri di un gruppo di minorenni, ai danni di due bambine di 10 e 12 anni.
Il nuovo Decreto Sicurezza “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario” (1660), attualmente al Senato dopo essere stato approvato alla Camera, non introdurrà nessuna soluzione migliorativa in materia carceraria, anzi aggraverà lo stato delle cose e porterà altri rei dietro le sbarre, poiché includerà una decina di nuovi reati, tra i quali il divieto di dissenso, anche se pacifico. A compensazione verrà ampliato l’organico degli agenti penitenziari.
Se gli istituti di pena nazionali per adulti non sono mai stati un fiore all’occhiello del Belpaese, la Corte europea per i Diritti Umani (CEDU) ce lo rammenta intimando di osservare l’art. 27 della Costituzione Italiana – da tempo sta tramontando anche il modello virtuoso del carcere minorile, che per decenni ha funto da esempio anche in Europa, poiché si sta incanalando nel percorso mainstream della criminalizzazione dell’individuo e della pena, come unico progetto rieducativo, sottraendo sempre più i programmi socio-pedagogici, tantoché il D.legge Caivano permette di incarcerare i diciottenni, o sotto i 21 anni, negli istituti di pena ordinari. Da tenere di conto che nei carceri per minorenni, al pari delle prigioni per gli adulti (circa il 30 per cento nella media nazionale), ci sono anche molti minori stranieri. L’inasprimento o l’aggiunta di nuove pene non “correggeranno” la devianza di questi ragazzi, o giovani adulti, procureranno solo ulteriori sofferenze e maggiore sovraffollamento delle celle, oltre alle recidive.
Una proposta interessante contro il sovraffolamento carcerario, nel tentativo di alleggerirlo, era stata elaborata, con la collaborazione del Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito e dell’associazione Nessuno tocchi Caino, dal deputato Roberto Giachetti, presentata il 7 settembre 2020: “Disposizioni in materia di liberazione anticipata di cui all’articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354.”.
Il Covid19 aveva creato nelle carceri situazioni ancora più disastrose di sempre, rispetto alle già malsane quotidianità; difatti, nel marzo 2020 gran parte degli istituti di pena italiani entrarono in rivolta, e dopo giorni di violenze, ed atti valutabili come tortura, si conclusero con un totale di 13 decessi tra i detenuti. Tuttora in corso il processo contro un nutrito gruppo di agenti di polizia penitenziaria, ma anche dirigenti e operatori del settore medico, del penitenziario di Santa Maria Capua Vetere, una struttura divisa tra padiglioni di massima sicurezza e casa circondariale, quest’ultima dove sono detenute le persone in attesa di giudizio o quelle condannate a pene inferiori ai cinque anni, o con un residuo di pena inferiore ai cinque anni.
Chiusa la parentesi più acuta del Covid, dopo Commissione Giustizia della Camera, la proposta di legge 552 di Giachetti è stata presentata al Senato nel novembre 2022.
La proposta di legge di Giachetti depositata tra il primo e secondo lockdown, riportava le seguenti motivazioni:
La pandemia da COVID-19 tuttora in corso ha determinato nelle nostre carceri una situazione drammatica per le persone che vi sono ristrette.
Dal 23 febbraio 2020, la popolazione detenuta: ha visto la sospensione pressoché integrale delle attività trattamentali, ricreative e di studio; ha patito l’interruzione dei colloqui in presenza con i propri familiari; ha riscontrato serissime difficoltà ad accedere alle cure mediche e alle visite esterne; ha fatto i conti con le esasperanti lentezze dei tribunali e degli uffici di sorveglianza – già cronicizzate a causa di patologiche carenze di personale e di risorse – esplose a seguito delle cautele imposte dal virus, dallo smart working che non consente agli operatori e ai cancellieri di consultare i fascicoli e di procedere alla loro revisione, dai divieti di accesso senza prenotazione alle cancellerie dei magistrati per gli avvocati difensori; è stata spettatrice impotente di fronte alle tragiche notizie e all’allarme sul pericolo rappresentato dalla dilagante pandemia diffusi dai media attraverso continue informazioni e immagini, trovandosi nella totale impossibilità di difendersi, in condizioni endemiche di sovraffollamento, da un virus che impone quale unica cautela utile il distanziamento sociale; ha, in ultima analisi, espiato una pena diversa e più grave e afflittiva di quella ordinaria connotata, quest’ultima, dal diritto a un trattamento penitenziario coerente con il disposto dell’articolo 27 della Costituzione: una detenzione mai contraria al senso di umanità e comunque finalizzata alla rieducazione e al reinserimento del condannato.
Le misure normative e amministrative disposte (il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, cosiddetto decreto “Cura Italia”); la possibilità di contattare i propri congiunti con chiamate tramite skype o videochiamate si sono rivelate del tutto inadeguate a superare un problema ad oggi insormontabile che vede di nuovo crescente il numero dei ristretti negli istituti di pena.
La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha consacrato il principio della cosiddetta «buona fede» nei rapporti tra il privato e lo Stato, che si traduce nel rispetto delle aspettative legittime: «La Corte ritiene
che un imputato, come il condannato, deve poter aspettarsi che lo Stato agisca in buona fede» (Grande Camera, Scoppola contro Italia, ricorso n. 10249/03, sentenza 17 settembre 2009, paragrafo 139).
In ragione delle cautele imposte dalla pandemia i reclusi hanno visto ledere la loro aspettativa legittima di accesso alle opportunità trattamentali, alla fruibilità delle cure, alla solerte trattazione delle istanze di libertà da parte degli uffici e dei tribunali di sorveglianza, a una vita detentiva non connotata da un’afflizione psicologica peculiare connaturata al rischio della pandemia in condizioni di impossibilità di protezione stante il patologico sovraffollamento e la coatta convivenza in spazi infimi e insalubri in stretta contiguità e promiscuità.
I detenuti hanno, dunque, espiato ed espiano tuttora una pena di specie diversa da quella loro irrogata (articolo 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4
novembre 1950 e resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848) e, indipendentemente dai circuiti detentivi a cui sono assegnati, patiscono un inevitabile isolamento.
L’isolamento costituisce in sé un aggravio di pena. Si consideri che quando l’isolamento diurno (articolo 72 del codice penale) sia indebitamente espiato, le corti territoriali commutano tale periodo detentivo in anni di
carcerazione sofferta (articolo 657 del codice di procedura penale), con ciò dando forza al concetto che il detenuto che patisca tale sofferenza aggiuntiva sia meritevole di ristoro.
Ancora. È risaputo che la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la nota sentenza Torreggiani e altri contro Italia (ricorsi nn. 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 e 37818/10) – adottata l’8
gennaio 2013 con decisione presa all’unanimità – ha condannato l’Italia per la violazione dell’articolo 3 della citata Convenzione del 1950, avendo ravvisato condizioni di vita lesive della dignità umana nei nostri istituti di
pena soprattutto a causa di un sovraffollamento patologico e dell’assenza di spazi vitali adeguati per ciascun ristretto. La Corte europea ha ritenuto di applicare la procedura della cosiddetta «sentenza pilota», tenuto conto
del crescente numero di persone astrattamente interessate in Italia, per offrire una risposta uniforme alle violazioni analoghe eventualmente riscontrate anche nel futuro.
Attualmente, dopo un momento di flessione – che pure non aveva risolto gli annosi problemi di congestione delle nostre carceri – il numero delle persone detenute è tornato a crescere. Il dato è particolarmente allarmante
nella situazione contingente, in rapporto alla pronuncia citata che riconosce la sussistenza di condizioni di reclusione inumane e degradanti non solo a causa del tasso di sovraffollamento, ma anche a causa di condizioni di vita degenerate per carenze trattamentali, igieniche, sanitarie.
Tenuto conto di quanto esposto, in una logica deflativa rispetto al sovraffollamento, resa quanto mai urgente dal rinnovato allarme di contagio da COVID-19, anche in rapporto al contestuale aumento crescente della popolazione detenuta, nonché in un’ottica di necessario ristoro per le persone ristrette che patiscono un’afflizione suppletiva e incolpevole a causa delle numerose restrizioni e contrazioni delle opportunità trattamentali e degli spazi residui di libertà, si propone di introdurre misure straordinarie di liberazione anticipata ai sensi dell’articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354.
All’art 1 della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 54:
1) il comma 1 è sostituito dal seguente: « 1. Al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di sessanta giorni per ogni singolo semestre di pena scontata. A tal fine è valutato anche il periodo trascorso in stato di custodia cautelare o di detenzione domiciliare».
Nel 2024, il ddl Giachetti risulta ancora alla Commissione Giustizia del Senato, e lì è fermo all’ultima assemblea di agosto, quindi non è ancora stato bocciato definitivamente, ma all’ombra dei recenti decreti giustizialisti del governo Meloni non è detta l’ultima parola, e pare andare in senso completamente inverso.
Al contrario questa proposta appare come l’unica, nel panorama politico degli ultimi anni, non certo capace di risolvere in maniera definitiva il sovraffollamento che grava sulla vita carceraria di oltre 60mila detenuti, ma almeno custode di un barlume di speranza per un percorso rivolto ad un rinnovato futuro.
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Sabato, 19 ottobre 2024 – Anno IV – n°42/2024
In copertina: foto di Falco/Pixabay