La lunga marcia del capital-comunismo
di Ettore Vittorini
Chissà cosa pensano oggi della Cina i non più giovani che nel 1968 gridavano per le strade ‘viva Lenin, viva Stalin, viva Mao Tse Tung‘. Lenin, Stalin e il PCUS sono stati ormai cancellati dalla Russia di Putin, mentre la Cina festeggia i 100 anni del Partito Comunista – che nacque il 23 luglio del 1921 – e conserva tuttora un potere ben saldo con 91 milioni di iscritti, pari al 6,6% della popolazione che oggi è di quasi un miliardo e 400milioni di abitanti.
Anche questo grande Paese è cambiato rispetto a un lungo periodo molto burrascoso, pur conservando al loro posto le statue e i ritratti di Mao, come simboli di un passato che nella Cina di oggi non esiste più. Rimane la sua Costituzione che dice: ‘La Repubblica popolare cinese è uno stato socialista guidato dalla classe operaia e basato sulla alleanza tra operai e contadini’. Si tratta di un non senso se confrontiamo il Paese del passato con quello di oggi dove il capitalismo – di Stato e privato – prevale su tutta la società cinese e gli operai e i contadini non sono più i “padroni”, come risulta dalla Costituzione. L’élite e la direzione del partito sono ormai costituite dai “colletti bianchi” che con la loro presenza politica dovrebbero frenare le tendenze ”sfruttatrici e speculatrici” del capitalismo occidentale.
Oggi la Cina è una grande potenza industriale, la seconda nel mondo, con un PIL – prodotto interno lordo – arrivato a due cifre nonostante il Covid. La sua potenza capitalistica si è estesa a tutto il mondo: nei Paesi sottosviluppati – soprattutto in Africa – con grandi opere strutturali come dighe, strade, ferrovie, industrie, usando in gran parte tecnici e manodopera cinesi. La penetrazione è diffusa anche in Occidente attraverso banche, operazioni finanziarie e acquisto di imprese in crisi. Per esempio la casa automobilistica svedese Volvo e la storica MG inglese sono di proprietà cinese e in Italia addirittura la squadra del Milan appartiene a un cittadino di quel Paese.
Non c’è che da meravigliarsi di questo ‘grande balzo’ compiuto dal 1949 – anno in cui il comunismo guidato da Mao prese il potere – dopo decenni di caos nella Repubblica succeduta il 1° gennaio del 1912 al crollo dell’ultra millenario “Impero celeste”. Il periodo repubblicano fu segnato dalla instabilità politica, da guerre intestine tra generali, tra il Kuomintang (partito nazionalista) e i comunisti – che con la Lunga Marcia si nascosero in un angolo impervio del Paese – avvenimenti che provocarono miseria e grandi carestie. Dal 1933 sino al termine della II° Guerra mondiale ci fu la terribile e barbarica invasione dei giapponesi che occuparono più di metà dell’intero territorio.
Nel ’49 il presidente della Repubblica Chiang Kai-shek fuggì nell’isola di Taiwan – Formosa – dove creò un governo indipendente appoggiato e difeso dagli Stati Uniti. La Cina comunista non venne riconosciuta da gran parte degli Stati occidentali e non fu ammessa alle Nazioni Unite dove rimase la rappresentanza dell’isola. Soltanto nel 1971 ci fu lo scambio nel Palazzo di Vetro tra la Nazione comunista e la piccola Taiwan.
Il cammino della Cina verso i primati di oggi ha attraversato molte fasi politiche e sociali. Il primo ‘grande balzo’ in avanti fu voluto da Mao nel 1958 per uscire dall’isolamento e competere con l’Occidente attraverso la rivoluzione industriale, che ebbe scarsi risultati e causò grandi carestie e centinaia di migliaia di vittime.
In seguito a quel fallimento, il presidente Mao, messo in discussione all’interno dello stesso partito, riuscì a riprendere in pieno il potere attraverso la “rivoluzione culturale” del 1964 appoggiata dai comunisti più devoti – tra cui moltissimi giovani e studenti – e stroncò col terrore le “tendenze borghesi” dei dissidenti. Il potere effettivo era passato nelle mani della cosiddetta “Banda dei quattro” cui apparteneva anche Jiang Quing – la quarta moglie del Presidente. Fu un evento drammatico, quasi una guerra civile con centinaia di migliaia di epurazioni ed esecuzioni.
La rivoluzione culturale si esaurì per volere dello stesso Mao e maggior potere venne affidato al primo ministro Chou En-lai, ex-ministro degli Esteri appartenente al vecchio apparato. Costui promosse l’avvicinamento agli Stati Uniti, che iniziò nel 1971 con la “diplomazia del ping-pong”, per giungere alla visita a Pechino dell’anno dopo del Presidente Richard Nixon. Nel frattempo “risorgeva” Deng Xiaoping – ex-membro della direzione del partito – epurato dalla Banda dei quattro, poi riabilitato da Chou En-lai. Con Mao ormai vecchio, salì ai vertici dello Stato con la carica di Capo di Stato Maggiore delle forze armate – una posizione che gli permise di diventare il vero leader cinese. A lui si devono le prime grandi riforme e la modernizzazione, che si svilupparono preservando allo stesso tempo l’unità ideologica del Partito Comunista.
Morto Mao nel ’76, i membri della Banda dei quattro, compresa la vedova del Presidente, furono arrestati e processati. Con Deng Xiaoping, presidente de facto, partì realmente il ‘grande balzo’ in avanti della Cina – che non si è mai fermato sino ai nostri giorni.
Ci fu la drammatica parentesi delle manifestazioni di piazza Tienanmen a Pechino del 1989, che furono in parte frutto delle aperture dovute allo sviluppo del Paese. Studenti e intellettuali manifestarono per maggior libertà, contro la burocrazia e la corruzione. Per alcune settimane la protesta non venne ostacolata, mentre all’interno del partito si fronteggiavano la corrente progressista con quella più ortodossa. Alla fine Deng prese la decisione di porre fine alle manifestazioni e mandò l’esercito che intervenne duramente con un bilancio di centinaia di morti.
Ritiratosi Deng Xiaoping nel ’92, il successore Jang Zemin aprì il partito agli imprenditori rilanciando ulteriormente lo sviluppo del Paese il cui Pil salì al 14%. L’attuale presidente Xi Jinping ha consolidato la potenza commerciale e industriale cinese ponendola allo stesso livello di quella degli Stati Uniti.
Per rispondere agli ex-giovani del ’68 che inneggiavano alla Cina di allora, basterebbe presentare le immagini di oggi: grandi metropoli con milioni di abitanti, grattacieli, strade e autostrade intasate di automezzi e soprattutto una micidiale diffusione dell’inquinamento. Come l’Occidente capitalista, ma con meno libertà.
Sabato, 24 luglio 2021 -n° 26/2021
In copertina: panorama su Shangai – Foto Leslin-Liu