L’Italia non valorizza i propri giovani
di Alessia Fondelli
«A partire sono principalmente i giovani – e tra essi giovani con alto livello di formazione – per motivi di studio e di lavoro. Spesso non fanno ritorno, con conseguenze rilevanti sulla composizione sociale e culturale della nostra popolazione. Partono anche pensionati e intere famiglie, in molti casi chi lascia il nostro Paese lo fa per necessità e non per libera scelta, non trovando in Italia un’occupazione adeguata» – Sergio Mattarella.
Dopo la pandemia sempre più Italiani sono partiti, soprattutto dal Nord Italia, alla volta prevalentemente dell’Europa, mentre gli italiani del Sud hanno affollato gli spazi lasciati vuoti al Nord. Tra il 2021 e il 2022 più di 80mila giovani di età compresa tra i 18 e 34 anni sono “scappati” all’estero. Le principali destinazioni sono UK, Germania e Francia.
Secondo quanto riportato dalla Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana “Dal 2006 al 2022 la mobilità italiana è cresciuta dell’87% in generale, del 94,8% quella femminile, del 75,4% quella dei minori e del 44,6% quella per la sola motivazione di “espatrio”.
“Una mobilità giovanile che cresce sempre più – spiega il dossier – perché l’Italia ristagna nelle sue fragilità, e ha definitivamente messo da parte la possibilità per un individuo di migliorare il proprio status durante il corso della propria vita accedendo a un lavoro certo, qualificato e abilitante (ascensore sociale); continua a mantenere i giovani confinati per anni in “riserve di qualità e competenza” a cui poter attingere, ma il momento non arriva mai. Il tempo scorre, le nuove generazioni diventano mature e vengono sostituite da nuove e poi nuovissime altre generazioni, in un circolo vizioso che dura da ormai troppo tempo”.
Ma cerchiamo di capire ancora meglio.
Cosa cercano i giovani, la cosiddetta “Generazione Z”, dal mondo del lavoro? Perché ancora troppo spesso cercano fortuna all’estero?
Dividiamo innanzitutto i tipi di giovani che emigrano: ci sono, da una parte, i laureati che non trovano soddisfazione dalla prima occupazione post laurea in Italia e non si sentono appagati per i lunghi anni di studio percorsi, e dall’altra i ragazzi che si buttano subito nel mondo del lavoro, ma che a causa di tasse troppo alte e stipendi troppo bassi si ritrovano molto spesso in uno stato di malcontento, dovendo pagare bollette, affitto e spese necessarie con tutto lo stipendio, e forse nemmeno gli basta.
Prendendo il primo caso, uno stage per 600, o anche fosse 1000 Euro mensili, è quello che viene proposto nella maggior parte dei casi. Mentre in Germania e Francia le retribuzioni di partenza sono nel range di 30-40mila Euro annuali, raggiungendo in alcuni casi già i 45mila di retribuzione lorda al primo impiego sulla Germania.
Il fenomeno quindi merita urgentemente un approfondimento scientifico istituzionale. Solo studiando a fondo il problema in primis, possiamo poi cercare di ideare e sperimentare soluzioni per invertire la tendenza.
É ciò che sostiene anche il capo dello stato: “Il nostro Paese, che ha una lunga storia di emigrazione, deve aprire una adeguata riflessione sulle cause di questo fenomeno e sulle possibili opportunità che la Repubblica ha il compito di offrire ai cittadini che intendono rimanere a vivere o desiderano tornare in Italia.”
Ed il problema principale è che ne parliamo poco, mentre sentiamo parlare, ormai tutti i giorni, di immigrazione clandestina che coinvolge i Paesi del sud dell’Europa da parte di masse di persone in cerca di una vita migliore che si spostano dall’Africa, dal Bangladesh, dal Pakistan.
Forse sarebbe opportuno che qualcuno dei nostri leader politici cominciasse a porsi qualche domanda; potrebbero commissionare un’indagine conoscitiva sulle motivazioni che portano un giovane italiano alla decisione drastica di lasciare il proprio Paese per andare a cercare fortuna all’estero.
Nel mio piccolo ho provato a raccogliere online qualche testimonianza di ragazzi italiani che hanno emigrato all’estero.
Vediamo cosa hanno da raccontarci. –
Marco, 25 anni, romano: “Ero stanco del mio lavoro, che seppure era migliore di quello che molti miei coetanei facevano, era precario e davvero non mi soddisfaceva. Ma non era tutto. Ero stanco dell’Italia, della sua burocrazia e dei politici che con stipendi da capogiro non risolvevano mai nulla. Ero stanco del traffico, delle buche, della fila alla posta, dei mezzi pubblici. Ero stanco perché c’era sempre qualcosa da pagare. così come ero stanco del fatto che spesso, pur lavorando sodo, non avevo i soldi per farlo. Ero stanco che nonostante ci provassi, riuscivo sempre a trovare lavori poco appaganti con contratti a scadenza. Ero stanco di tutto. Ci ho messo un po’ di tempo a capire che quella non era nemmeno la reale realtà di Roma. Proprio così. Era la mia percezione delle cose e non l’esatta realtà. Volevo qualcosa che nella Capitale non riuscivo a trovare o forse a vedere. Ero veramente stufo di tutto e avevo bisogno di cambiare aria. E questo è il motivo che mi ha spinto ad andare a vivere a Londra (Fonte: ViaggiIn).”
E molti ragazzi rimangono comunque moltissimo legati all’Italia, nonostante questo, non ci vivono.
Aurora, 22 anni, studia architettura a Berlino: “In Germania io mi sento a casa, ne amo l’idea stessa, la trovo splendida e perfetta. Non capisco proprio come non possa piacere. Sono profondamente orgogliosa di vivere qui, almeno quanto sono certa che l’Italia sia il Paese più bello che ho visto finora.” (Fonte: Elle)
C’è, però, chi è rientrato dall’estero per tornare in Italia.
Giovanni ha vissuto 20 anni all’estero, tra vari paesi “L’idea che all’estero tutto funzioni sempre meglio è francamente irricevibile”- spiega. Per Giovanni gli italiani all’estero “si sono sempre distinti, grazie anche alla flessibilità mentale che ci permette di gestire ambienti eterogenei, con una capacità di ascolto superiore ai tedeschi o anche ai francesi. Certo, l’Italia non è un paradiso, tra la pesantezza della burocrazia e le difficoltà dei cittadini, a far valere i propri diritti”. Però ad ogni ritorno ho visto il Paese migliorato, e ho sempre trovato difficile capire gli Italiani che si lamentavano pensando che all’estero tutto fosse sempre e comunque migliore. Quando ero molto giovane – continua Giovanni – anche io la pensavo così, ma col tempo, l’età e forse anche l’esperienza, ho imparato ad apprezzare tante cose dell’Italia che non sempre appaiono o sono considerate nelle statistiche sulla qualità della vita.”
Se dovesse dare un consiglio ai giovani, Giovanni direbbe proprio di viaggiare, cercare di pensarsi cittadini europei fin da subito. “Tanto lo sappiamo già che a casa si sta sempre meglio. L’Italia – conclude – è un grande Paese, come lo sono gli altri Paesi che ci circondano.“ (Fonte: Il Fatto Quotidiano)
Ma è un cane che si morde la coda perché tutti questi giovani talenti, soprattutto neolaureati, potrebbero far crescere l’Italia attraverso l’innovazione e potrebbero contribuire ad uscire dalla crisi economica, demografica, educativa e occupazionale con cui da troppo tempo conviviamo. L’Italia, tuttavia, non riesce a valorizzarli.
Chi termina gli studi, infatti, sente l’esigenza di mettere in pratica ciò che ha imparato e di apprendere qualcosa in più, di lavorare in un ambiente stimolante, con colleghi all’altezza e risorse che offrano una prospettiva di carriera.
L’Ocse stima che i laureati italiani con un’età compresa tra i 25 e i 34 anni guadagnano solo il 10% in più rispetto ai loro coetanei con un diploma. Al contrario, i laureati italiani tra i 55 e i 64 anni beneficiano di guadagni tra i più alti d’Europa (65%). È quindi possibile ribadire ancora una volta che gli anziani vengono valorizzati penalizzando i giovani, nonostante abbiano lo stesso titolo di studio. Si parla di un grosso problema, considerando che per ogni Euro speso in educazione, l’Italia ne spende 3,5 in pensioni.
Inoltre, secondo l’Ocse, l’Italia ha il più alto gap educativo tra emigrazione e immigrazione: dal nostro Paese escono gli italiani con un buon percorso di studi e arrivano stranieri che hanno studiato meno. Ciò risulta essere dannoso per l’economia, poiché mancano coloro che potrebbero portare innovazione a livello tecnologico, ingegneristico e scientifico; ci si concentra invece su attività più semplici come la ristorazione, il turismo e l’edilizia.
È arrivato il momento che il nostro Governo faccia qualcosa per incentivare il rimpatrio.
Sabato, 8 aprile 2023 – n°14/2023
In copertina: foto di Dimhou/Pixabay