Nazionalismo e psicosi dell’invasione
di Laura Sestini
La xenofobia non ha confini geografici né temporali. E’ attuale oggi quanto nei secoli passati, ovvero da quando esistono i movimenti migratori internazionali soprattutto per la ricerca di lavoro, ma anche sugli spostamenti forzati di popolazioni per ragioni politiche e molte altre motivazioni.
Le prime datazioni di migrazioni per migliorare le proprie condizioni economiche si danno per certe in Occidente intorno al 1450, ancor prima della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo. In Cina, già durante la dinastia Ming risultano grandi masse di contadini che si spostano internamente al territorio imperiale per la ricerca di lavoro stagionale.
Le migrazioni legate al lavoro, ambulante, per competenze tecniche, stagionale, maschile e femminile erano già presenti molto prima delle rivoluzioni industriali del XVIII e XIX secolo, un lungo arco di tempo descritto come ancien regime.
La psicosi dell’invasione degli autoctoni è un refrain ciclico, dipendente dal contesto economico del momento, e dalle politiche dei flussi migratori da parte degli Stati-nazione. La nascita del sentimento nazionalista, unitamente all’apparato di difesa e la chiusura dei confini dei neo Stati del XIX secolo era, uno dei fattori principali che generava la xenofobia, il cui significato è avversione indiscriminata nei confronti degli stranieri e di tutto ciò che proviene dall’estero.
Prima della nascita degli Stati-nazione, gli imperi o le società feudali riuscivano più facilmente a tenere insieme gruppi eterogenei di soggetti, trasversalmente a etnia e ceto sociale. Ciò non toglie che il razzismo, che si alimenta di xenofobia, e viceversa, esista da tempi immemori, per senso di superiorità dei bianchi sugli altri colori di pelle; razzismo e xenofobia si riscontrano anche tra popoli di medesima carnagione, per esempio dei cittadini del Nord Italia nei confronti di coloro che arrivavano dal Sud in cerca di lavoro durante il Secondo dopoguerra. Storia non troppo lontana, che oggi si ripete con coloro che arrivano dal Sud del mondo in generale.
I tempi attuali, non meno del passato, sono imbevuti di xenofobia, che talvolta si esprime violentemente, con esiti drammatici, come nel caso dell’omicidio di Willy Monteiro Duarte da parte dei due fratelli Marco e Gabriele Bianchi, accaduto tra calci e pugni a Colleferro, in provincia di Roma nel 2020. Ma potremmo anche citare Sacco e Vanzetti, accusati di un omicidio mai commesso, finiti sulla sedia elettrica nel 1927 per paura degli attivisti politici, e dei comunisti, che potevano destabilizzare lo Stato, in questo caso gli Stati Uniti, dove gli stranieri erano visti come sovversivi. O ancora la morte nel 2018 di Soumaila Sacko, bracciante agricolo e sindacalista di origine maliana, freddato con un colpo di fucile a Vibo Valentia in Calabria, da un agricoltore locale che si sente padrone della fabbrica abbandonata in cui lo trova.
La xenofobia tra lavoratori è radicata in ogni storia di migrazione.
La tragedia dettata dal sentimento nazionalista e xenofobo che accadde nel 1893, a danno di una decina di italiani, lavoratori stagionali nelle saline più grandi d’Europa, a Sud della Francia – ad Aigues Mortes – narra una delle molteplici storie di violenza contro i migranti.
L’omicidio si perpetrò in massa, da un numero indefinito di colleghi di lavoro delle vittime a cui si unirono molti popolani della cittadina alla foce del Rodano, che gridavano “morte agli Italiani”.
Negli ultimi decenni del XIX secolo gli antagonismi tra locali e lavoratori stranieri erano diventati sempre più numerosi in Francia, per le dinamiche di identità nazionale, sentimento che mosse il braccio degli assassini, causato dai contrasti tra gli operai francesi e italiani impiegati a cottimo nel duro lavoro delle saline, partendo da reiterati battibecchi a posteriori, anche di anni, fino a finire in rissa il 16 agosto del 1893. Una zuffa differente dalle altre.
La vicenda fu molto confusa, e senz’altro contribuirono le bugie dei lavoratori locali che andarono per le strade del paese a raccontare che gli Italiani avevano ucciso dei francesi. La massa popolare si armò di forconi e randelli e partì alla volta della salina.
Dopo le notizie sui giornali, che parlavano impropriamente anche di centinaia di morti, nelle principali città italiane vennero inscenate violente manifestazioni antifrancesi. A Roma fu tentato l’assalto all’ambasciata di piazza Farnese, mentre a Napoli, Torino e Firenze furono distrutti o incendiati beni appartenenti a società d’Oltralpe. In questo contesto i rapporti diplomatici tra l’Italia e la Francia arrivarono ad un punto di rottura.
Il sindaco di Aigues Mortes – Maurice Terras – non cercò di calmare gli animi ma di cavalcare le proteste xenofobe degli operai francesi contro i lavoratori stranieri, prevalentemente piemontesi, liguri e toscani. Il primo comunicato fu affisso sui muri del Paese dopo avere ottenuto che i padroni delle saline, su pressione della folla, licenziassero gli immigrati: «Il sindaco della città di Aigues-Mortes ha l’onore di portare a conoscenza dei suoi amministrati che la Compagnia ha privato di lavoro le persone di nazionalità italiana e che da domani i vari cantieri saranno aperti agli operai che si presenteranno. Il sindaco invita la popolazione alla calma e al mantenimento dell’ordine. Ogni disordine deve infatti cessare, dopo la decisione della Compagnia».
Era allora un momento di crisi economica europea e globale – la Grande Depressione – durata una ventina di anni dal 1873, quando il peso della disoccupazione si faceva sentire ovunque; leggi restrittive di ingresso e azioni violente parvero plausibili per la protezione dei lavoratori autoctoni in ogni paese di immigrazione.
“Pietre enormi vengono lanciate da ogni lato, si è costretti a lasciare sul suolo vittime indifese che dei forsennati con indicibile efferatezza finiranno a randellate ”. Impossibile fuggire o ripararsi dai colpi. La sola via di scampo è rappresentata da una casa, protetta da una cancellata di ferro. Viene chiesto al proprietario di aprire. Quando ci si dispone ad entrare, quest’ultimo, intimidito dalla folla, chiude improvvisamente il cancello. “Allora ci fu un vero e proprio massacro! Come bestie portate al macello, gli italiani si adagiano sulla strada, sfiniti, aspettando la morte, lapidati, storditi, lasciando ad ogni passo uno dei loro”. È questo uno dei momenti del terribile agosto 1893 di Aigues-Mortes. Le parole sono del giudice istruttore che si occupò del processo.
Il numero esatto delle vittime non corrisponde a verità, mai potute realmente quantificare. Dieci erano i corpi all’obitorio e 26 i feriti gravi, ma durante l’attacco molti finirono nel canale che attraversa le campagne e la cittadina di Aigues Mortes, già feriti o tramortiti dalle percosse.
“Lì, al provinciale mercato di lavoro operaio delle Salins du Midi […], affluivano, ovviamente perché richiesti dai padroni locali, gli emigrati stagionali italiani, avvertiti dalla gente come infettanti e infetti invasori” (dal volume di Enzo Barnabà Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes).
Il processo iniziò a dicembre dello stesso anno, tra gli imputati c’era anche un italiano, ma alla pronuncia del verdetto furono tutti assolti.
Il quotidiano londinese The Graphic commentò così la sentenza: “Sulla colpevolezza di ognuno di loro, sia francesi che italiani, non c’era alcun dubbio e nessuno fu stupito dal verdetto più dei rivoltosi stessi. Ma poiché la maggior parte delle vittime della rivolta dello scorso agosto erano italiani, la giuria ha ritenuto di dover mostrare il proprio patriottismo, dichiarando in pratica che per un operaio francese uccidere un concorrente italiano non è un reato.”
Sabato, 10 giugno 2023 – n°23/2023
In copertina: le attuali saline di Aigues Mortes – Foto: Stella B. – Immagine pubblica