Le folle dimenticano e si lasciano condurre dai ‘pifferai’
di Ettore Vittorini
Circa vent’anni fa il telegiornale della BBC – la televisione britannica di Stato – ‘aprì’ il notiziario con un servizio su Berlusconi, il quale aveva affermato di essere ‘l’unto del Signore’.
Quella autoproclamazione del Premier italiano – ancora in carica – venne diffusa anche dai giornali italiani, ma non dalle TV, strettamente controllate dal potere berlusconiano.
Il Cavaliere spiegò quella sua frase aggiungendo: “C’è qualcosa di divino se si viene scelti dalla gente”. Già in passato Don Giussani – leader di Comunione e liberazione – lo aveva definito ‘l’uomo della Provvidenza’.
Lasciando perdere i celestiali riferimenti, Berlusconi aveva ragione sulla opinione della gente nei suoi confronti perché – nonostante fosse accerchiato dalle indagini della magistratura e lo Stato da lui governato si avviasse verso la bancarotta – godeva ancora del favore della maggioranza dell’opinione pubblica. E questo è un mistero spiegabile con difficoltà.
Si trattava forse di populismo, un termine dai molti significati, utilizzato con estrema frequenza. L’enciclopedia Treccani lo definisce come “una tendenza a svalutare forme e procedure della democrazia rappresentativa, privilegiando modalità di tipo plebiscitario e la contrapposizione di nuovi leader carismatici a partiti ed esponenti del ceto tradizionale”.
E sappiamo chi sono questi leader carismatici. Rispetto a Berlusconi Salvini ha osato meno, ricorrendo soltanto alla Madonna di Medjugorje e baciando ogni tanto il crocefisso.
Nel passato quei termini ecclesiastici vennero appioppati a un altro personaggio della recente storia d’Italia: Benito Mussolini.
Dopo i Patti lateranensi del 1929, Papa Pio XI in persona lo definì “l’uomo della Provvidenza”, ponendo fine in questo modo alle ultime resistenze della Chiesa contro il regime fascista.
La sinistra non esisteva più. Soltanto Don Sturzo e De Gasperi – tra i politici cattolici più noti – osarono criticare quella celebrazione, e ne subirono le conseguenze: il primo fu mandato in esilio negli Stati Uniti; il secondo fu costretto a vivere e a lavorare in Vaticano per evitare rappresaglie del regime. Mussolini era ormai il padrone dell’Italia e godeva del favore di una gran parte degli italiani i quali, come sosteneva Ennio Flaiano, “vanno sempre in aiuto del vincitore”.
Il populismo mussoliniano raggiunse il culmine nel ‘36 con la conquista dell’Etiopia.
Il carisma del Duce si sviluppò non tanto tra la classe operaia o i contadini del Sud, ma soprattutto tra la piccola borghesia impiegatizia attratta dalle parate attorniate da scenari di cartapesta, dalle palestre, dalla ginnastica del sabato fascista, dalle parole “ordine, devozione, disciplina fino al sacrificio, credere, obbedire e combattere”.
L’alta borghesia industriale e agraria non aveva bisogno di accodarsi alle acclamazioni, dal momento che era stata l’artefice della nascita del fascismo attraverso i grossi finanziamenti al movimento che prese il potere con la marcia su Roma e col terrore soffocò le opposizioni.
Ne fu complice anche la classe politica liberale – trasformista – ormai al tramonto e incapace di risolvere i gravi problemi della nazione.
C’era stato ai primi del Novecento un rinnovamento sociale grazie alla politica di Giolitti, ma la partecipazione italiana alla Prima Guerra Mondiale aveva bloccato il cammino del Paese.
Dopo il conflitto divamparono gli scontri sociali che videro per protagonisti gli operai e i contadini. Guidati dal partito socialista, dai sindacati e influenzati anche dalla rivoluzione bolscevica che aveva posto fine all’impero zarista, chiedevano la fine dello sfruttamento e condizioni migliorative del lavoro. Il governo liberale, spaventato dalla rivoluzione bolscevica nella Russia degli Zar, rispondeva con la repressione agli scioperi, all’occupazione delle fabbriche e alle marce dei contadini.
Contemporaneamente i fascisti si erano proclamati come difensori del popolo contro la sinistra ‘sovversiva’ e – predicando di voler riportare l’ordine nel Paese – intervenivano armati per soffocare i movimenti dei lavoratori. Furono ben accolti dai governi liberali le cui forze dell’ordine non intervenivano mai contro le camicie nere e spesso le rifornivano di armi e automezzi. I liberali, con in testa Re Vittorio Emanuele III, ritenevano di poter addomesticare Mussolini coinvolgendolo nella guida dello Stato. Lui se lo prese tutto e se lo tenne per vent’anni. Sulla necessità del fascismo erano d’accordo anche molti artisti e intellettuali di rilievo come, per esempio, il filosofo e senatore del Regno, Benedetto Croce.
Pochi giorni prima della marcia su Roma del ‘22, durante un comizio di Mussolini al Teatro San Carlo di Napoli, Don Benedetto andò ad applaudirlo. Al Senato gli dette il voto di fiducia per la formazione del primo governo fascista e lo votò anche dopo l’assassinio di Matteotti. In una intervista rilasciata al quotidiano fascista Il popolo d’Italia dichiarò che Mussolini “aveva salvato la patria dal bolscevismo”. E così il ‘pifferaio’ in camicia nera si portò dietro tutti gli Italiani conducendoli verso il disastro.
Oggi la stampa e le televisioni parlano spesso di populismo trascurando quasi sempre il comportamento del popolo, delle sue scelte, dei ragionamenti (quando ci sono), insomma dei motivi che lo spingono a essere trascinato passivamente da certi venditori di fumo.
Fermandoci all’Italia, è lecito considerare che dietro i pensieri delle masse esista soltanto il vuoto? Si può fare qualche esempio. Al referendum del 2 giugno del 1946, l’80% dei napoletani votò per la monarchia. Fu un risultato inaspettato soprattutto in quella città che il 27 settembre del ‘43 insorse contro i tedeschi e dopo una battaglia di quattro giorni li costrinse alla fuga. Vinse la popolazione che, con l’aiuto di pochi militari italiani sbandati, era riuscita a cacciare gli invasori. Uomini, donne, ragazzi si sacrificarono per ritrovare la libertà. Sono rimasti famosi gli scugnizzi che assaltavano i carri armati del nemico con le bottiglie molotov.
Eppure tre anni dopo votarono perché il re rimanesse al suo posto. Era stato lui il primo responsabile del disastro italiano, affidando a Mussolini i pieni poteri e firmando la dichiarazione di guerra contro gli alleati.
Il popolo aveva poca memoria storica. Ma anche Benedetto Croce ne era privo perché votò a favore della monarchia.
Passando a poche settimane fa, il primato della totale perdita della memoria è stato offerto da Sant’Anna di Stazzema – in provincia di Lucca – dove alle elezioni regionali Susanna Ceccardi, candidata della Lega, ha ottenuto il 52% di voti.
In quel paese il 12 di agosto del 1944 le SS tedesche – con l’ausilio dei fascisti locali – massacrarono 560 civili tra cui 120 bambini. Quel voto alla Lega è stato legittimo, ma su di esso incombeva un grave episodio riguardante la candidata preferita: la Ceccardi il 25 aprile del 2018 organizzò a Cascina, città di cui era sindaco, una marcia i cui componenti indossavano le divise delle SS.
Alle critiche la prima cittadina rispose: “Io non sono fascista né antifascista”.
Erano a conoscenza di questo episodio i cittadini di Sant’Anna? Non si tratta più di smemoratezza, ma di distruzione della memoria.
In copertina: Mussolini a Napoli nel 1931.