Il brutto spettacolo per la scelta del Capo dello Stato
di Ettore Vittorini
Nelle elezioni presidenziali di molti anni fa, nel 1964, ci vollero 21 scrutini per eleggere il Presidente Giuseppe Saragat; nel ’71 il suo successore, Giovanni Leone, venne eletto dopo 23. Eppure quelle elezioni non provocarono la suspence, il caos e la montagna di commenti, pareri, supposizioni, intrighi, manifestatisi nei giorni scorsi per la scelta del nuovo Presidente, conclusasi – dopo “appena” otto sedute – col ritorno rassicurante per il Paese, di Sergio Mattarella.
Rispetto ai tempi passati, il fenomeno che ha creato maggior sconcerto è stato quello della deprimente spettacolarizzazione che ha accompagnato la settimana delle votazioni. I protagonisti sono stati i leader dei partiti che hanno dato il peggio delle loro strategie, seguiti dai rispettivi “peones” che facevano a gara per comparire davanti ai teleschermi esprimendo pareri inutili e spesso contrastanti. Infine la massa delle comparse, i giornalisti che inseguivano i politici più o meno importanti, per “rubare” loro qualche parola in più da inserire nei loro reportage o da trasmettere ai direttori e ai conduttori dei talk show televisivi. E di questi ce ne sono stati tanti, noiosi e inconcludenti. Erano molti gli “esperti” – noti e sconosciuti – chiamati per ingannare il tempo che passava tra una elezione e l’altra.
Di fronte al caos mediatico i cittadini sono rimasti frastornati: non sapevano cosa stesse accadendo e se si sarebbe arrivati alla scelta di un presidente autorevole al di sopra delle parti. Alla fine Sergio Mattarella ha dovuto interrompere il trasloco nella sua abitazione privata per rientrare al Quirinale. Comparso in televisione subito dopo l’elezione, ha pronunziato poche parole: “Le condizioni lo impongono, il dovere prevale sulle attese personali”. E così due personaggi autorevoli – il Presidente e il premier Mario Draghi – sono tornati al “lavoro” per aiutare il Paese a uscire dal caos. Dopo il giuramento di giovedì di fronte al Parlamento, il suo discorso è stato da vero garante della Costituzione e di padre della Patria.
Nel corso della settimana elettorale i politici hanno fatto una pessima figura; la destra si è spaccata e lo stesso è accaduto per i “progressisti” 5stellati. Matteo Salvini che voleva imporre un “suo presidente”, ha continuato a subire una sconfitta dopo l’altra “sparando” nomi di candidati – spesso a loro insaputa – senza consultarsi con gli alleati. Alcuni commentatori affermano che l’unica a uscire bene dalla “battaglia” elettorale sia stata Giorgia Meloni, altri che il vero vincitore sia stato il leader del PD Enrico Letta il quale dopo i suoi silenzi e i tentativi mancati di riunire per un confronto i responsabili di tutti i partiti, ha contribuito maggiormente alla rielezione di Mattarella.
La crisi della destra – che però secondo i sondaggi ha ancora un forte appoggio popolare – dipende soprattutto dalla mancanza di identità che caratterizza i tre partiti che la compongono. Al loro interno mancano i quadri dirigenti, persone preparate che possano fornire idee per le battaglie politiche. Nella contesa presidenziale e nella scelta di un valido candidato non sono stati capaci di fornire nomi accettabili: hanno presentato Berlusconi che si è ritirato dalla contesa dopo una lunga serie di telefonate ai grandi elettori che hanno avuto esiti negativi; poi, come con i numeri del lotto, Salvini si è inventato candidature immediatamente respinte anche dai suoi alleati. Rimarrà alla storia la presentazione come candidata di Elisabetta Belloni che ha definito “una donna ma in gamba”, commettendo una discriminazione verso la donna in genere. Il partito della Meloni, risultato il più forte nella terna della destra, al di là degli appelli al popolo, quale linea politica propone?
Gli stessi errori sono stati commessi dalla destra alle elezioni amministrative dello scorso anno nella scelta dei candidati alla guida delle Regioni e dei di Comuni – Roma, Milano e Napoli in testa – decidendo all’ultimo momento su personaggi sconosciuti.
Questo vale anche per l’altro fronte – il Movimento 5Stelle – divenuto il primo partito più votato alle elezioni del 2018 grazie alla politica del “waffa” portata avanti dal comico Beppe Grillo. Il risultato attuale è la frammentazione interna del movimento e la “guerra” tra Luigi Di Maio – attuale Ministro degli Esteri fantasma – e l’ex premier Giuseppe Conte, un “non politico” venuto dall’Università, che ha ottenuto durante il suo secondo mandato dei buoni risultati.
Contrariamente agli altri partiti, il PD ha una classe dirigente preparata, ma che da tempo ha perso i contatti con i cittadini. Il segretario Enrico Letta e i suoi collaboratori nella direzione devono spiegare agli elettori e a sé stessi che cosa intendono per “Sinistra”.
Sabato, 5 febbraio 2022 – n° 6/2022
In copertina: piazza del Quirinale a Roma – Foto: Wolfgang Moroder – Licenza CC BY-SA 3.0