Primo annuncio: la fine della deforestazione dell’Amazzonia
di Marco Balzi
Il Brasile ha voltato pagina. Luiz Inácio Lula da Silva è stato rieletto Presidente dopo una tribolata campagna elettorale che ha visto riaffiorare i fantasmi dell’intervento militare e smascherato la drammatica realtà delle “milizie” che controllano manu militari alcune grandi comunità popolari.
Oggi l’opinione pubblica internazionale, insieme a quella brasiliana, si chiede come sia potuto accadere che alle precedenti elezioni Jair Bolsonaro, un ex capitano dell’esercito, populista di estrema destra, violento e irrispettoso delle regole democratiche, abbia potuto conquistarsi la fiducia della maggioranza degli elettori del più grande Paese dell’America Latina.
La risposta è complessa e dipende sostanzialmente da due fattori: il quadro internazionale di quattro anni fa, quando Trump era presidente degli Stati Uniti e le caratteristiche peculiari del sistema politico brasiliano.
Il tentativo di Trump – in questo alleato di Putin – di scardinare l’Unione Europea, ma anche di creare un fronte composto da “democrature” in grado di gestire politiche economiche aggressive e di controllare i movimenti democratici, trovò in Bolsonaro un alleato prezioso e disposto a tutto.
Molto sinteticamente, la recente storia del Brasile ha visto succedersi tre Presidenti prima di Bolsonaro: Lula da Silva (2003/2011), Dilma Roussef (2011/2016 – mandato cassato per impeachment), Michel Temer (2016/2018 – subentrato come sostituto di Roussef in quanto Vice Presidente eletto).
Già dal secondo mandato di Dilma Roussef, ma soprattutto durante la presidenza Temer, iniziarono gli attacchi contro Lula, che a quel punto avrebbe potuto essere rieletto poiché godeva sempre di un fortissimo credito personale, soprattutto per i due grandi progetti che aveva promosso e avviato da Presidente: Fome Zero – un progetto governativo attuato dal presidente Lula nel 2003 con l’obiettivo di sradicare la fame e l’estrema povertà in Brasile – e Bolsa Familia – un programma di welfare realizzato dal Governo per fornire aiuti finanziari alle famiglie brasiliane in stato di povertà, che garantivano la scolarizzazione dei figli e provvedevano alla loro salute. Il Governo si adoperò concretamente anche per la preservazione della foresta amazzonica.
Gli attacchi sempre più pressanti, da più parti si dice suggeriti e orchestrati dalla Cambridge Analytics di Steve Bannon, allora stratega e consigliere senior di Donald Trump, si incentrarono su accuse di arricchimento illecito contro Lula e i suoi famigliari lanciate per manipolare l’opinione pubblica contro i Governi del Partito dei Lavoratori di cui il presidente era il leader.
L’attacco più noto e articolato, indelebile nella memoria dei brasiliani, fu l’accusa a Lula di aver avuto in dono, per favori concessi ad una grande impresa, un attico di tre piani nella cittadina turistica di Guarujà, la spiaggia chic dei ricchi. Poi si rivelò come una fake news.
Il figlio maggiore, invece, fu fotografato a bordo di una lussuosa Lamborghini dorata e il commento asseriva che mentre molti brasiliani soffrivano la fame il figlio del Presidente se la spassava nel lusso di Punta de l’Este, nota località turistica in Uruguay.
In realtà il figlio di Lula stava partecipando all’inaugurazione di un punto vendita di auto di lusso ed era stato invitato a provare l’auto, ma a San Paolo.
Nessuna accusa personale è stata mai provata, ma ciò non impedì al giudice Sergio Moro, attraverso l’inchiesta “Lava Jato” – Autolavaggio – dichiaratamente ispirata a Mani Pulite, di aprire un’indagine su Lula e altri politici di primo piano che sfociò nel suo arresto e nel conseguente impedimento a presentarsi come candidato per ottenere il mandato presidenziale del 2018/2022.
Casualmente Sergio Moro veniva nominato ministro della Giustizia della Presidenza Bolsonaro appena insediata.
Avendo impedito al concorrente più accreditato di partecipare alle elezioni, Bolsonaro ha poi costruito attorno alla propria candidatura un blocco sociale il cui collante era il rifiuto qualunquistico della politica, la diffusa paura della microcriminalità, la liberalizzazione dello sfruttamento dell’Amazzonia, la rinuncia ad ogni limitazione di misure contro l’inquinamento ambientale, i privilegi concessi a militari e forze dell’ordine, la dichiarata fede no vax..
Per quanto riguarda l’Amazzonia il neopresidente Lula nella sua prima uscita all’estero, con la partecipazione alla Conferenza dell’ONU sul Clima di Sharm el Sheiikh – dove è stato acclamato – ha annunciato l’immediato blocco della deforestazione.
Il secondo fattore che occorre considerare per spiegare la vittoria di Bolsonaro nel 2018 è il discredito di cui gode buona parte del personale politico brasiliano. Inoltre, a fianco di Bolsonaro si schierarono le “milicias”, associazioni nate per proteggere gli abitanti delle favelas dai soprusi dei narcos, ma che presto sostituirono i trafficanti nel ruolo di oppressori della popolazione esigendo tributi e voti nel più tipico stile mafioso.
Il primo dicembre 2021 le condanne per corruzione a carico di Lula e di altri politici, incluso l’ex Presidente Temer, furono annullate consentendo a Lula di uscire dal carcere e presentarsi come candidato alle presidenziali con gli esiti che tutti noi conosciamo.
Due esempi per cercare di spiegare il livello di corruzione nella politica brasiliana: lo scandalo del mensalão – lo stipendione – e la tragicomica vicenda della raffineria di Pasadena.
Il nome mensalão si riferisce a un corrispettivo mensile di denaro che sarebbe stato corrisposto in maniera occulta a membri del Congresso Nazionale a Brasilia.
Secondo le accuse a suo tempo mosse al governo Lula e confermate da alcuni parlamentari, sarebbero stati corrisposti ad alcuni deputati compensi occulti mensili – pare intorno ai 12 mila dollari al mese – perché venissero votati progetti che stavano particolarmente a cuore all’esecutivo tra cui “Fome Zero” e “Bolsa Familia” che altrimenti, a causa della frammentazione dei partiti e del loro appoggio altalenante al Governo, non sarebbero stati approvati.
Nel mese di agosto 2005 il presidente Lula ha tenuto un discorso televisivo alla nazione chiedendo scusa alla popolazione per lo scandalo che aveva colpito il suo Governo.
La rivelazione dello scandalo ebbe un enorme riflesso sull’opinione pubblica, ma non quanto lo scandalo legato all’acquisto nel 2006 della raffineria di Pasadena da parte di Petrobras, società pubblica, quando il Presidente del CdA era Dilma Roussef, futura capo dello Stato.
La raffineria, acquistata un anno prima dalla belga Astra Oil per 42.5 milioni di dollari, fu rivenduta alla Petrobras per complessivi 1.2 miliardi.
Ovviamente la super fatturazione servì per creare fondi, gestiti dal Partito dei Lavoratori (PT), destinati a comprare consenso al Congresso Nazionale e per realizzare le riforme nel Paese, ma indubbiamente anche per tacitare i dirigenti della Petrobras, testimoni della enormità dell’operazione e i massimi livelli dei partiti di opposizione.
Le indagini portarono nel 2016 all’impeachment di Dilma Roussef, eletta Presidente della Repubblica nel 2011.
Probabilmente il PT e Lula scelsero una scorciatoia per cercare di riformare il Brasile, ma il risultato fu disastroso e l’opinione pubblica manifestò il proprio disappunto scendendo in piazza contro la diffusa corruzione attribuita esclusivamente ai Governi Lula e Dilma.
Da quel momento Bolsonaro iniziò il cammino per la conquista del potere.
Sabato, 19 novembre 2022 – n° 47/2022
In copertina: Luiz Inácio Lula da Silva – fermo immagine da video COP27