La tattica dei bombardamenti sui civili per espandere i confini nazionali
di Laura Sestini
Con l’operazione militare Eagle claw – artiglio d’aquila – la notte del 15 giugno i jet F-16 dell’aviazione turca hanno superato, per l’ennesima volta, i confini nazionali iracheni e del KRG, il governo regionale curdo iracheno, per bombardare in contemporanea tre aree geografiche considerate dalla Turchia area di azione del braccio militante degli affiliati al PKK, organizzazione politica ritenuta terroristica, in primis dalla stessa Turchia e da numerosi altri Stati occidentali, ivi compresa l’Italia.
Le aree in questione risultano la zona montuosa di Qandil all’estremo Nord dell’Iraq, considerato il quartier generale dei partigiani del PKK; il campo profughi di Makhmour, nel deserto più a sud tra Mosul ed Erbil; e l’area dello Shengal, a Nord-est, subito a ridosso del confine siriano, dove vivono gli Yazidi, una minoranza etnica già abbondantemente abusata dalla furia dei mercenari Isis ad agosto 2014, per cui tuttora risultano disperse molte donne e bambini.
Secondo un comunicato dell’agenzia di stampa curda in Italia, numerosi aerei da guerra hanno bombardato 81 località del Kurdistan iracheno, tra le quali le più note risultano le sopra citate.
Per inciso, Makhmour è un centro di circa 13 mila persone divenuto un insediamento stabile su un precedente campo profughi, installato nel 1998 in una località assegnata dall’Onu a migliaia di profughi curdi scappati dalla Turchia a causa degli incendi di oltre 3 mila villaggi e delle violenze perpetrate – durante gli anni 90, ma in realtà da sempre – da parte dei militari turchi, oltre che per la politica governativa oppressiva adottata verso questo popolo, che ha provocato centinaia di migliaia di sfollati.
Gli Yazidi, invece, sono una minoranza curda che si distingue per professare qualcosa di altro rispetto all’Islam e al Cristianesimo, rifacendosi agli insegnamenti del profeta iranico Zoroastro. Tra gli Yazidi divenuti noti al grande pubblico si può citare la Premio Nobel per la Pace 2018 – Nadia Murad – una giovanissima donna rapita dai miliziani dell’Isis durante il raid compiuto nell’area dello Shengal nel 2014, che causò un vero e proprio genocidio, uccidendo gli uomini (disarmati) di interi villaggi, assassinati a sangue freddo sul posto, mentre le donne giovani e i bambini venivano rapiti e smerciati nei mercati del Califfato Islamico come schiavi del sesso o per lo sfruttamento lavorativo. Nadia Murad, infine, riuscì a scappare ai suoi aguzzini (era stata acquistata da un sostenitore della jihad e tenuta segregata in casa, divisa tra lavori domestici e sesso forzato) con l’aiuto di alcuni confinanti, e a raccontare l’orrore che aveva vissuto, arrivando fino ai microfoni delle Nazioni Unite per condividere con il pubblico mondiale le atrocità inflitte ai civili dal Califfato Islamico, in special modo sulle donne.
In Shengal questa volta sono stati colpiti l’ospedale, diverse case di civili e il campo profughi di Sherdasht, con bombardamenti durati diverse ore.
Negli ultimi mesi gli attacchi della Turchia contro il ‘nemico PKK’ nel territorio del KRG (Kurdish Regional Government) a nord dell’Iraq si sono intensificati, in coordinamento con lo stesso governo del Presidente Nercivan Barzani, che in un annuncio ufficiale dichiara: “La presenza dei combattenti curdi non è ammessa nel nostro territorio, fatto grave che mette a rischio i rapporti politici ed economici proprio con la vicina Turchia” – intesi questi come commerciali, ma le reti di dialogo superano senz’altro questo ambito.
Infatti, a conferma di ciò e dei forti legami di complicità tra Turchia e KRG, e nonostante la Turchia affermi, ogni qual volta si appresti a bombardare quel territorio o a perlustrarlo con i droni, che è necessario stanare i terroristi, i comunicati – dai quali attingiamo – riportano che il ‘complotto’ ha radici molto più profonde e lungimiranti.
Tra le numerose informazioni si cita che qualche giorno prima dell’attacco aereo – precisamente l’11 giugno – il capo dell’intelligence turca Hakan Fidan, in un meeting a porte chiuse, abbia incontrato sia una rappresentanza del governo centrale iracheno che di quello regionale curdo per programmare l’attacco.
Dure le critiche agli attacchi aerei, da parte delle organizzazioni civili internazionali curde e yazida, tra i quali risultano feriti e alcuni decessi, ma non sono ancora disponibili dati ufficiali, tanto che anche Nadia Murad chiede in un Twitter l’aiuto della comunità internazionale.
Da qualche tempo la popolazione yazida, lentamente, stava tornando nella propria area – dai numerosi campi profughi dove risiedono dal 2014 – per ricostruire i villaggi distrutti, di cui già 150 famiglie sono arrivate sul posto (ne abbiamo scritto qui: https://www.theblackcoffee.eu/a-caccia-di-mine-disseminate-dallisis-in-pentole-padelle-e-giocattoli/ ).
Ma gli attacchi congiunti della Turchia in Iraq e in Siria sono frutto di una campagna militare strategica che mira ad allargare i confini nazionali della Repubblica turca. In particolare dopo l’attacco di invasione in Siria di Nord-est del 9 ottobre 2019, che ha portato all’istituzione di una safe-zone profonda 30 km e lunga circa 400, a controllo turco-russo appoggiata dagli Usa; con la scusa di ripulire i territori yazida in Nord Iraq – che ricordiamo confinare con la parte più orientale della stessa safe-zone – dai militanti PKK, c’è volontà di ostacolare il rientro delle famiglie e mantenere disabitati i villaggi, per continuare una politica di annessione delle aree limitrofe alla Turchia.
Susseguentemente agli attacchi aerei in Nord Iraq, la Turchia sta praticando una politica interna di oppressione verso i politici e i sostenitori del partito pro-curdo HDP, i quali da qualche giorno, dopo che è stata nuovamente arrestata la parlamentare Leyla Güven – alla quale è stata improvvisamente revocata l’immunità parlamentare insieme ad altri rappresentanti di partiti di opposizione all’APK di Recep Tayyip Erdoğan – stanno effettuando una marcia di protesta che intende andare, in due diversi tronconi – da Edirne e Hakkari – verso la sede del governo ad Ankara. Una marcia ‘contro il golpe’ (Em bi hev re ji bo democrazi – Siamo insieme per la democrazia), per protestare contro il commissariamento di 45 dei 65 comuni amministrati dall’HDP dopo le vittorie alle elezioni del 31 marzo 2019 e i 23 sindaci arrestati. Un altro tassello nel processo golpista ormai in atto da parte di Erdoğan, che si ritiene iniziato con la strage di Ankara del 10 ottobre 2015.
Quella di Erdoğan è una persecuzione a tutto campo verso il popolo curdo, che non risparmia – uniformemente al passato – neanche i civili.
Ieri – 15 giugno – la marcia dei sostenitori dell’HDP è stata fermata dalle forze dell’ordine turche, il diritto di manifestare annullato, e numerosi manifestanti arrestati.
Parallelamente, a Erbil (Hewler) – il capolouogo della Regione Autonoma Curda Irachena – almeno 25 persone che stavano protestando contro i bombardamenti aerei di fronte alla sede delle Nazioni Unite, sono state arrestate dalla polizia locale Asayish.
Gli attacchi aerei turchi si sono insinuati nel territorio Nord-iracheno nonostante la chiusura dello spazio aereo a causa della pandemia da Covid-19, gli accordi internazionali, e un documento ufficiale del 2018 dell’HPG per il ritiro dei militanti del PKK dall’area di Shengal e di Makhmour – qui giunti a protezione del popolo yazida e dei profughi curdi-turchi durante l’invasione violenta del Califfato Islamico tra il 2014 e il 2017, che è stato sconfitto (sulla carta ma non sul terreno) solo tre anni fa.
Il co-presidente Muhammad Abdullah del Partito Libertà del Kurdistan (un movimento politico curdo-iraniano con base a Erbil) – movimento che porta avanti una campagna separatista per una nazione interamente curda – in un comunicato afferma che lo Stato turco ancora una volta ha dimostrato tutto il suo vero razzismo e l’ostilità verso il popolo curdo: “Lo Stato turco bersaglia i curdi in qualsiasi luogo siano. Lo stato di debolezza del governo regionale del Kurdistan del Sud, i problemi economici e politici, nonché le differenze di vedute tra i partiti politici regionali hanno creato un vacuum, e proprio a causa di questo rimane passivo circa gli attacchi che colpiscono la nostra gente. La causa di questi attacchi è responsabilità del Governo Autonomo Regionale, che ha aperto le proprie mani agli attacchi stessi”.
Lo stesso HPG, in un comunicato a seguito dei bombardamenti, ha confermato che le Forze Popolari di Difesa non si trovano nelle aree colpite dagli aerei turchi, sottolineando che lo Stato turco cerca di giustificare le sue intenzioni commettendo massacri sui civili curdi, con il pretesto di colpire i siti del PKK.
Anche le associazioni Yazidi non hanno mancato di rilasciare comunicati di sdegno sugli attacchi indiscriminati che la Turchia compie in Shengal. Dai campi profughi in Siria di Nord-Est l’Unione Yazida e l’Unione delle donne Yazida, dal Cantone di Afrin, hanno descritto l’azione turca nei campi profughi di Shengal e Makhmour come uno ‘sciopero di tutti gli accordi internazionali’, denunciando il silenzio della comunità internazionale, l’Organizzazione per i diritti umani e le Nazioni Unite, nei confronti dei crimini compiuti dalla Turchia.
Inoltre, per concludere – e chissà che sia una coincidenza o un messaggio subliminale (o anche la sigla dell’accordo) – l’aquila (Operazione artiglio d’aquila appunto) è un emblema molto caro ai curdi iracheni, tantoché è lo stemma della Regione Autonoma del Kurdistan iracheno, riportato talvolta al centro della bandiera regionale.
In copertina: Bambini yazida nel campo profughi di Sherdasht. Foto di ©Afshin_Ismaeli.