Riflessioni dalla prospettiva palestinese
Redazione TheBlackCoffee
Mentre contemporaneamente porta avanti il genocidio in corso a Gaza, il regime israeliano ha attaccato l’ambasciata iraniana a Damasco, in Siria, il 1° aprile 2024, uccidendo sette funzionari iraniani. Secondo l’Iran, le forze israeliane intendevano prendere di mira l’incontro tra funzionari iraniani e militanti palestinesi per discutere strategie della resistenza a Gaza. In seguito al bombardamento, l’Iran ha promesso di reagire, e lo ha fatto 12 giorni dopo, 13 aprile 2024, con il lancio di oltre 300 droni e missili verso Israele.
Tra il sistema di difesa aerea israeliana Iron Dome finanziato dagli Stati Uniti e il diretto supporto militare da parte di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Giordania, la stragrande maggioranza della serie di lanci iraniana è stata intercettata prima dell’impatto a terra. Poco dopo la missione iraniana, l’ONU ha dichiarato che la questione “può ritenersi conclusa”.
Un passo falso del regime israeliano.
L’ampia scala dell’attacco iraniano e la diversità sia delle armi che dei bersagli, ha costretto il regime israeliano a rivelare la maggior parte delle sue capacità di difesa in tutta la regione, oltre a quelle degli Stati Uniti. Di conseguenza, il governo iraniano è ora in grado di mappare più efficacemente il sistema di difesa antimissilistico di Israele e le installazioni di difesa degli Stati Uniti in Giordania e negli Stati del Golfo. Inoltre, l’Iran ha ora ha un’idea più chiara del tempo necessario alle forze israeliane per preparare la difesa, e di come la società israeliana reagisca a un attacco imminente.
L’Iran sostiene di aver informato sia gli Stati Uniti, sia gli Stati vicini dell’imminente attacco, diversi giorni prima del lancio, dando a Israele tutto il tempo necessario per prepararsi. Pertanto, l’obiettivo dell’operazione non era chiaramente quello di causare danni o vittime diffuse, ma piuttosto quello di acquisire nuove conoscenze tattiche: l’Iran può ora decodificare l’intelligence raccolta il 13 aprile e presentare una contro-minaccia molto più seria in futuro. Gli Stati Uniti e Israele saranno quindi costretti a ridisegnare il loro costoso modello di difesa attuale. Complessivamente, nonostante i media occidentali la inquadrino diversamente, è chiaro che l’attacco iraniano abbia comportato un enorme costo strategico per Israele.
Mentre il primo ministro israeliano Netanyahu e il suo gabinetto vogliono una risposta rapida e aggressiva in cui possono coinvolgere gli Stati Uniti, gli iraniani preferiscono una più lunga guerra di logoramento, che priva Israele della sua capacità di deterrenza e lo rende un alleato costoso per gli altri Paesi della regione. Il genocidio a Gaza ha già ha già creato tensioni interne a vari regimi arabi, e il sostegno sopperito a Israele contro l’Iran, come nel caso della monarchia giordana, non fa altro che esacerbare queste fratture interne.
Per quanto riguarda Gaza, la questione dell’impatto dell’attacco iraniano dipende in gran parte da come gli alleati di Israele risponderanno. I leader statunitensi ed europei, che hanno chiarito che non sono interessati a una guerra regionale, potrebbero usare la sconsideratezza di Israele come un’opportunità per esercitare maggiori pressioni su Netanyahu per un cessate il fuoco, e una descalation regionale.
Al contrario, se Israele riuscirà a riformulare l’attuale contesto come parte di una guerra fredda tra Israele e l’Iran, gli Stati Uniti potrebbero concedergli più spazio per continuare le sue atrocità a Gaza. Indipendentemente dalla posizione degli Stati Uniti, resta la possibilità per il gabinetto di guerra israeliano di inasprire i toni con l’Iran, in quanto ciò serve agli interessi politici di chi è al potere e potrebbe essere l’ultimo tentativo di reimporre
un quadro di deterrenza politica che è andato in frantumi il 7 ottobre.
Le dinamiche regionali sono in evoluzione.
Presupporre che gli attacchi iraniani al regime israeliano siano stati solo teatrali è sottovalutare l’importanza di questa recente escalation. L’Iran ha preso di mira con successo almeno una base aerea israeliana e ha costretto le forze israeliane ad esaurire le risorse difensive chiave in un momento di carenza di munizioni a livello globale. Ancora più significativo è il fatto che la risposta iraniana indica un grave crollo della deterrenza statunitense e israeliana in Medio Oriente. Tale strategia si è storicamente basata sul presupposto che la semplice minaccia della potenza militare statunitense fosse sufficiente a scoraggiare il confronto con i suoi alleati. È dalla guerra del 1973 che questa strategia si è incrinata in modo così significativo.
Questo cambiamento nella geopolitica non deve essere preso alla leggera. L’attacco iraniano, combinato con
il blocco Houthi del Mar Rosso e ai continui attacchi di Hezbollah a Israele, dimostrano che è in atto un rimescolamento del potere armato nella regione. Questa dinamica è il culmine di quasi due decenni di addestramento e di avanzamento delle capacità di questi gruppi, al punto da costituire una minaccia reale
per il regime israeliano e per gli interessi globali nella regione.
I Palestinesi sono inevitabilmente parte di questo cambiamento. Quando Hamas ha riorientato per la prima volta la sua strategia verso la produzione di missili propri, questi sono stati derisi come primitivi e inefficaci.
Quasi due decenni dopo, tuttavia, questi missili si sono evoluti in una sofisticata minaccia strategica per Israele.
L’importanza di questa progressione non è stata immediatamente percepita attraverso un’improvvisa utilità militare, ma piuttosto è diventato chiaro nel tempo, grazie alla capacità di Hamas di adattare continuamente le proprie tattiche di resistenza. Dovremmo comprendere l’attacco dell’Iran attraverso una lente simile: non è stato un fine in sé, ma l’inizio di una nuova fase di volontà di confrontarsi con il regime israeliano alla luce del calo di potenza degli Stati Uniti.
L’attacco ha anche messo a nudo lo stato attuale delle cose in tutta la regione, mettendo in evidenza
le posizioni degli Stati arabi che hanno normalizzato le relazioni con Israele. Così facendo, l’Iran ha efficacemente trafitto la vuota retorica dei regimi arabi che negli ultimi sei mesi hanno espresso parole di solidarietà nei confronti di Gaza, mentre al tempo stesso hanno allacciato legami più stretti con Israele dietro le quinte. Queste nuove alleanze dovrebbero anche contribuire a dissipare le nozioni identitarie della politica in Medio Oriente e a ridisegnare le dinamiche regionali per quello che sono realmente: una lotta fra tra coloro che sono investiti nell’imperialismo e nel colonialismo e coloro che lottano per la liberazione.
La distrazione dal genocidio di Gaza è quanto accade.
L’attacco altamente coreografato dell’Iran ha ottenuto esattamente ciò che si prefiggeva, guadagnando
informazioni preziose sulle capacità di difesa aerea israeliane, americane e regionali, costando a Israele e ai suoi benefattori statunitensi oltre 1 miliardo di dollari in una sola notte, dimostrando la dipendenza di Israele dagli Stati Uniti e erodendo ulteriormente l’immagine di invincibilità militare di Israele. In questo modo, l’Iran ha anche inviato un chiaro messaggio che i suoi droni e missili possono causare danni molto più gravi se lanciati senza preavviso, pur mantenendo una finestra aperta per la de-escalation.
È importante capire che il 13 aprile l’Iran ha agito per i propri interessi, non in risposta al massacro di oltre 33.000 palestinesi da parte di Israele. Non c’è dubbio che l’attacco iraniano abbia già distolto l’attenzione dal genocidio di Israele a Gaza e soffocherà temporaneamente le crescenti richieste di condizionare o tagliare gli
aiuti militari a Israele. In effetti, non è stata prestata molta attenzione ai rapporti sulle forze israeliane
che hanno aperto il fuoco contro i Palestinesi nel nord di Gaza solo poche ore dopo la conclusione dell’attacco iraniano. Nel frattempo, Israele sfrutterà questa opportunità per raddoppiare la sua posizione vittimistica di “Davide contro la regione di Golia”, nonostante sia un egemone militare regionale armato di forze nucleari. Quindi, se da un lato l’operazione dell’Iran è autoservita, dall’altro ha anche rappresentato una perfetta distrazione dall’assalto genocida a Gaza di Israele e dalle crescenti richieste di sue responsabilità.
Tuttavia, mentre sono cresciute le richieste tagliare gli aiuti militari occidentali, le forniture di armi sono continuate ininterrottamente. La verità è che il cambiamento internazionale, per quanto epocale, è stato poco più che retorica. I Palestinesi continuano a essere massacrati dalle forze israeliane in pieno giorno, con o senza la distrazione globale dell’Iran. Israele ha chiarito la sua determinazione a rispondere agli attacchi di rappresaglia dell’Iran con un’ulteriore escalation. Mentre il Presidente Biden ha insistito sul fatto che le forze statunitensi non parteciperanno a ulteriori attacchi israeliani contro l’Iran, continua a rifiutarsi di imporre linee rosse a Israele.
A prescindere dagli avvertimenti di Biden, è altamente improbabile che gli Stati Uniti lascino Israele da solo a gestire un futuro attacco contro l’Iran o una successiva difesa. Ciò che è chiaro è che Israele coglierà l’attuale escalation regionale come un’opportunità per distrarre il mondo dalla sua campagna genocida a Gaza mentre gli Stati Uniti continueranno a non faranno nulla per fermarla.
L’Iran, è il capro espiatorio di Netanyahu.
Per Netanyahu, combattere contro l’Iran era l’unica cosa che poteva salvarlo da una quasi sicura fine politica.
Mentre il genocidio di Gaza infuria, l’esercito israeliano non è in grado di raggiungere il suo obiettivo dichiarato: lo sradicamento di Hamas e la restituzione degli ostaggi. Questo, in aggiunta al fatto che deve affrontare importanti accuse di corruzione e la schiacciante opposizione interna alla sua leadership, rende Netanyahu al massimo della sua pericolosità. Il primo ministro israeliano ha costruito per anni la sua carriera politica sulla paura dell’Iran e delle sue capacità nucleari tra il pubblico israeliano. A livello internazionale, il regime israeliano si è a lungo posizionato come baluardo occidentale contro l’Iran e ha legato la sua sicurezza a quella della civiltà occidentale. Netanyahu ha anche sfruttato relazioni tra Palestina e Iran per giustificare la continua oppressione di Israele sul popolo palestinese nel suo complesso. Si tratta di una narrazione che ha preso piede soprattutto dall’inizio dell’attuale genocidio.
Quindi, nel processo di analisi della leadership israeliana, è importante evitare la trappola del capro espiatorio di Netanyahu. In effetti, molti lo stanno facendo con fervore, attribuendo la colpa del genocidio e dell’escalation con l’Iran al primo ministro in carica. Questa accusa è stata sostenuta soprattutto dai liberali occidentali,
tra cui il senatore statunitense Bernie Sanders, che ha guidato l’accusa contro “la macchina da guerra di Netanyahu”. Tali appelli sono stati ripresi in tutta Europa, con leader che inquadrano il genocidio di Israele come un progetto di Netanyahu. Netanyahu stesso è senza dubbio un criminale di guerra, che dovrebbe essere chiamato a rispondere del suo ruolo nel genocidio in corso contro i Palestinesi di Gaza.
Ma concentrarsi solo su di lui significa ignorare l’intero apparato che ha permesso al regime israeliano di continuare in modo così violento e senza sosta.
La “macchina da guerra” che Sanders e altri hanno erroneamente attribuito al primo ministro israeliano è un sistema ben oliato che è stato messo a punto da numerosi leader israeliani molto prima che Netanyahu salisse al potere. Si tratta di una struttura indipendente da qualsiasi individuo in particolare, radicata nella disumanizzazione e l’annientamento dei Palestinesi, che va ben oltre il regime militare stesso. Ecco perché, senza sorpresa, un recente sondaggio ha rivelato che l’88% degli Ebrei israeliani pensa che il numero di Palestinesi uccisi a Gaza sia giustificato, e circa il 43% ritiene che l’esercito non usi abbastanza potenza di fuoco.
Ciononostante, il capro espiatorio di Netanyahu persiste alla luce della recente escalation con l’Iran, con alcuni che riducono il bombardamento dell’ambasciata iraniana da parte del regime israeliano al “guerrafondaio Netanyahu”. Questo approccio è una caratteristica piuttosto prevedibile della politica liberale occidentale, che spesso si basa sull’individuazione dei problemi sistemici. Di conseguenza, si tratta di una tattica conveniente che serve a nascondere la realtà che l’attuale genocidio e la guerriglia di Israele sono il risultato di un violento progetto coloniale sionista. Serve anche a proteggere attori statali terzi dalla complicità nel genocidio e nell’instabilità della regione.
Se possono dare la colpa a un solo uomo, l’unica soluzione necessaria è la sua cacciata.
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Fonte originale: Al Shabaka – The Palestinian policy network – con il contributo di Fadi Quran, Fathi Nimer,Tariq Kenney-Shawa, Yara Hawari
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Sabato, 20 aprile 2024 – Anno IV – n°16/2024
In copertina: vista di Teheran – Foto: Marco/Pixabay