Abbiamo tutto per imparare ma teniamo la schiena troppo rigida per poterlo fare
di Giorgio Scroffernecher
Intorno ai miei trent’anni ho avuto la fortuna e l’onore di seguire gli insegnamenti di un Maestro di arti marziali di notevole qualità. Il suo nome era (è morto nel 2012) Yoji Fujimoto, VIII dan di una disciplina meravigliosa che si chiama Aikido, termine che significa, circa, la via armoniosa dell’energia.
Fujimoto era un uomo di bellissima presenza che impreziosiva ulteriormente l’Aikido che muove tutte le dinamiche in senso sferico: non ha tecniche di attacco ma solo di trasformazione dell’attacco altrui in un cerchio che alla fine si annulla in immobilità impotente dell’aggressore.
Una volta accadde che invece di ordinare gasshō – un inchino da seduti sui talloni, seiza, fino a portare la fronte tra le mani appoggiate sul tatami – per poi procedere con la lezione, il Maestro chiese a tutti i presenti di tornare dove erano state lasciate le ciabatte, per controllare se queste fossero tutte posizionate parallele, ordinate e con la parte posteriore a contattato col tatami sul quale eravamo saliti. Tutti eseguimmo in silenzio l’operazione provvedendo laddove necessario, tornando poi al proprio posto e, ad occhi chiusi, aspettammo l’indicazione di gasshō per inchinarci e poi iniziare la sessione.
A noi occidentali può sembrare un eccesso, un gesto ossessivo di un nipponico fanatico o almeno mal integrato dalle nostre parti. Invece per me quella fu una lezione molto apprezzata e mai dimenticata. Il significato è chiaro: sei in un dojo, il luogo sacro della pratica che inizierà solo dopo un momento di silenzio meditativo di centratura, seguito dal gasshō rituale. Il rispetto per te stesso, per i tuoi compagni, il maestro e per il luogo deve essere totale e luminoso fin dall’ingresso nel dojo -il luogo della via. Poi tutto finirà con gasshō, nuovamente, per condividere silenziosamente anche la gratitudine.
Mi è tornato in mente questo episodio quando ho visto la foto di Hajime Moriyasu, allenatore della squadra giapponese, profondamente inchinato in Saikeirei al centro campo dello stadio di Al Janoub di Doha, per comunicare a tutti i presenti in suo segno di grande rispetto e gratitudine dopo aver perso ai rigori la partita contro la Croazia che li ha eliminati dai Mondiali di calcio Qatar 2022.
Un gesto perfettamente coerente con quello dei tifosi giapponesi che sempre hanno lasciato gli spalti occupati durante le partite solo dopo aver ripulito tutto, e a quello degli atleti che hanno lasciato gli spogliatoi puliti come sempre, ma, dopo l’ultima partita, anche con una serie di origami da loro stessi realizzati e un cartello con la parola ”Grazie!” scritta in arabo e in giapponese, naturalmente nel modo più appropriato perché nella lingua nipponica la parola grazie può essere scritta e detta in ventun modi, secondo i significati particolari di quella gratitudine specifica.
Sorprendente, no? Eppure, questa cultura e comportamenti non sono di marziani in visita da noi, ma di uomini e donne di questo tempo e di questo pianeta.
Pensate a quanto possono insegnare a tutti noi e al nostro ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara per il quale «E’ l’umiliazione il fattore fondamentale per la crescita della personalità e per educare i ragazzi alla cultura del rispetto».
La filosofia Zen, cui fa riferimento la cultura giapponese, anche per gli obiettivi segnati dal nostro ministro, applica principi ben diversi, anzi diametralmente opposti che partono prima di tutto dal rispetto dell’individuo che si vuole educare, prosciugando il suo ego con nobile umiltà.
Il maestro Fujimoto che mi invita a mettere in ordine le mie ciabatte prima di iniziare la lezione, insegna rispetto per l’ordinarietà con la sua valorizzazione.
Spesso diciamo ai nostri figli – e a noi stessi – «Sei speciale, nessuno è come te!», invece l’allenatore Hajime Moriyasu profondamente chinato e grato per la sconfitta appena subita ci dice: “sono ordinario e grato a tutti voi, ordinari come me e tutti meritevoli di un rispetto straordinariamente sentito”.
A questo proposito Osho Rajneesh nel suo modo diretto e illuminante disse che «L’uomo dello Zen è molto ordinario, straordinariamente ordinario. Non finge di essere speciale, è gentile per natura. È molto umano, completamente umano. La sua umanità è magnifica, intensa, assoluta. Non avanza pretese di sacralità e poiché non ha pretese, è sacro. Irradia verità, irradia il divino, ma in profondo silenzio, senza alcuna dichiarazione. È una benedizione per il mondo».
Sabato, 10 dicembre 2022 – n° 50/2022
In copertina: Hajime Moriyasu – Foto: profilo Fb/Japan Live