La compagnia teatrale bolognese in tournée tra Bali, India e Nepal
di Laura Sestini
Dopo il lungo periodo di restrizioni a causa del virus, finalmente anche il mondo del teatro e dello spettacolo torna per le antiche strade delle rappresentazioni in presenza e delle interazioni dirette con il pubblico.
Instabili Vaganti, la compagnia bolognese composta da Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola, dopo le serie di teatro in video realizzate nel biennio scorso, attualmente stanno percorrendo un lungo tour in Estremo Oriente – tra Bali, Giava, India e Nepal – per portare in scena i loro nuovi artefatti, trasposizioni dal video e rivisitazioni in chiave etnica.
Dopo Dante Beyond Borders, per commemorare il 700° dalla morte del grande Poeta fiorentino, ecco che a Jakarta – capitale dell’isola di Giava in Indonesia – nasce Shadow of Dante, ancora un approfondimento sull’Inferno di Dante, con la prima internazionale nell’affascinante teatro Salihara di Jakarta. Il viaggio in estremo Oriente – fisico e metaforico – attraverserà ampi spazi geografici, caratterizzati da grandi differenze politiche, religiose e culturali.
Lasciamo ad Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola la narrazione diretta sulle loro esperienze professionali ed umane.
Una nuova tournée della Compagnia in estremo Oriente si svilupperà durante tre mesi ed aggiungerà un altro capitolo all’ampio progetto Beyond borders iniziato in concomitanza con le restrizioni dei lockdown nel 2020. Che effetto suscita tornare scena, in presenza a tutti gli effetti per un periodo così lungo?
Anna Dora Dorno/Nicola Pianzola: – Con Beyond Borders sentiamo di essere entrati in una fase nuova del nostro lavoro come Compagnia, dettata forse dal periodo storico che abbiamo vissuto e che stiamo ancora vivendo. Il bisogno, più che quello di tornare sulla scena, di fronte ad un pubblico, è quello di incontrare “l’altro”, su quella scena. La particolarità di questo lungo tour è forse quella di contemplare dei tempi, non solo di rappresentazione e di circuitazione da una città all’altra, ma di creazione e co-creazione, di ricerca, di dialogo interculturale. Condividere la scena con artisti internazionali con una forte tradizione performativa alle spalle per sperimentare tra i linguaggi e creare qualcosa di unico da restituire ad un teatro pieno è l’emozione più grande, il segno distintivo di questo tour in Asia. Fermarsi a parlare con gli spettatori in una città dove arrivi per la prima volta, rispondere alle loro domande, essere ripagati degli sforzi fatti dalla loro gratitudine, ti fa sentire subito parte di quella cultura e “a casa” in ogni angolo remoto del pianeta.
Prima tappa a Bali, con un nuovo episodio sull’Inferno di Dante Alighieri, tra danzatori tradizionali e il teatro delle ombre balinese. Shadow of Dante, la trasposizione teatrale degli episodi in video di Dante Beyond borders#Indonesia, lascerà nuove impronte del viaggio del sommo Poeta nell’aldilà, e soprattutto oltre i confini mentali e fisici alla scoperta di nuove dimensioni?
Il viaggio del Sommo Poeta in Asia continua alla scoperta di interessanti connessioni con opere letterarie quali il Mahabharata, per esempio. Il filo conduttore tra la precedente produzione con l’India e questa nuova opera è proprio la cultura induista permeata di ritualità e dimensione ultraterrena. Le nostre giornate di lavoro iniziano con il danzatore Made Suteja che compie delle offerte allo spazio di lavoro, bruciando incenso e posizionando piccoli contenitori di foglie di palma contenenti fiori e cibo all’ingresso della sala di lavoro a Bali Purnati, un suggestivo spazio in legno immerso nella giungla balinese, o del teatro Salihara di Jakarta, dove abbiamo debuttato. E’ questo gesto che segna l’inizio del viaggio nell’aldilà e che permette al teatro di riscoprire una propria ritualità. Le ombre, termine col quale Dante indica spesso le anime che incontra nel suo viaggio, diventano quelle del Wayan (teatro delle ombre), e le figure demoniache che torturano i dannati calzano le maschere del Topeng (la danza in maschera balinese). Il topos dell’eroe che discende negli inferi, presente anche nella cultura indonesiana e ben raffigurato nella pittura e nell’arte locale, ci permette di stabilire la tensione drammatica e la linea poetica che riesce a far dialogare corpi e culture così diversi.
Dante Beyond borders ha suscitato quale tipo di approccio tra gli interpreti locali, che sicuramente hanno una visione della morte/vita, dell’aldilà, differente dagli occidentali? Come si amalgamo le due culture per la elaborazione teatrale?
Sia con gli interpreti indiani che balinesi il primo approccio non è stato semplice, forse perché la ritualità connessa alla morte è molto forte, presente, e già di per se performativa. Di conseguenza trasporre sulla scena il suggestivo immaginario dantesco legato alla vita che irrompe nel regno dei morti non è stato immediato. E’ come se il performer che entra in scena fosse un intruso: “Chi è colui che senza morte vaga per lo regno della morta gente?”. Abbiamo lavorato a rafforzare la nostra dimensione terrena in quanto presenza sulla scena, umanità, corpo in vita, prediligendo un approccio molto fisico, cercando allo stesso tempo l’altro da sé, l’ultraterreno, la trasfigurazione, grazie ad elementi quali la maschera, le ombre, il video, nel rispetto della diversità delle culture dei performer. Ciascun attore ha trovato un corrispettivo del viaggio ultraterreno nella propria cultura letteraria o di tradizione orale: nelle storie narrate attraverso le danze e il teatro delle ombre durante le rappresentazioni nei templi, come nel repertorio di danze classiche, vivendo il viaggio dantesco come un processo necessario: scendere nelle tenebre per riscoprire la luce.
Valicando altri confini geografici e spirituali, si ricomincia sempre dall’inizio sulla suggestione della morte, dei peccati da espiare, l’inferno (inteso anche come terreno) e la dimensione post mortem, oppure si ritrovano delle similitudini in tutti i popoli?
Le similitudini sono molte ed è soprattutto grazie alla letteratura antica e all’arte che riescono ad essere individuate, diventando così elementi di ricerca e lavoro con i diversi interpreti. Quello che facciamo prima di iniziare il lavoro con gli attori di una determinata cultura è immergerci in quella cultura, partecipare a performance, cerimonie, assistere agli insegnamenti e capire come una tradizione viene trasmessa ai giovani, talvolta giovanissimi performer. Questo ci aiuta ad intravedere il bagaglio poetico e immaginifico del performer, a capire quali archetipi possono guidare il lavoro e generare un incontro. L’equilibrio tra il bene e il male, i riti di purificazione, il viaggio dell’eroe, l’approccio al divino, sono solo alcuni dei temi che ci hanno permesso di esaltare le differenze culturali che rendono uniche le nostre culture e che proprio grazie alla diversità permettono di generare un incontro.
In tour la Compagnia porta ben cinque spettacoli diversi, dall’Indonesia al Nepal. In India il cult pluripremiato “Made in Ilva” festeggerà il decimo anniversario dal debutto, per poi proseguire fino a Katmandu, la capitale nepalese, dove si svolge l’unico festival teatrale internazionale della nazione himalayana, il NITfest.
Dobbiamo confessare che neanche prima della pandemia abbiamo affrontato una tournée così lunga e articolata, soprattutto per il numero di spettacoli, tra nuove co-produzioni e lavori in repertorio che stiamo portando in giro. La ricerca interculturale sul Sommo Poeta continua a svilupparsi non solo grazie alle repliche della co-produzione italo indiana sostenuta degli Istituti di cultura di Mumbai e New Delhi, Dante Beyond Borders, che ha debuttato lo scorso anno in India, è stata presentata quest’anno in Italia ed ora fa il suo ritorno in India sia a Ahmedabad che a New Delhi, ma anche e soprattutto per il nuovo capitolo italo indonesiano, The Shadow of Dante, co-prodotto con l’Istituto Italiano di cultura di Jakarta e che nella capitale indonesiana ha debuttato ad inizio tournée. A questi due spettacoli si aggiungono il nostro cavallo di battaglia “Made in Ilva” giunto alla sua terza tournée indiana e che per la prima volta verrà presentato al pubblico nepalese, “Lockdown memory”, che introduce il pubblico al progetto internazionale Beyond Borders raccontandone la genesi, ed una nuova co-produzione italo indiana proprio sui temi del progetto, che segna l’inizio della nuova fase di ricerca biennale a Beyond Borders con nuovi partner, grazie al rinnovato sostegno del Ministero della cultura mediante la nuova edizione 2022-2024 del bando Boarding Pass Plus.
Il lavoro ha un linguaggio universale: Made in Ilva è una opera tratta dalla cronaca Italiana, che denuncia lo scempio che un grande stabilimento industriale può perpetrare sulla salute dei lavoratori e nella città che lo ospita, malgrado le lotte per mantenere quel posto di lavoro, che alternativa non ce n’è.
Made in Ilva ha compiuto in questi dieci anni un continuo viaggio dal particolare all’universale, dando voce, attraverso la storia dei lavoratori dell’acciaieria tarantina, a tutti quei lavoratori che purtroppo ancora oggi continuano a vivere nell’eterno ricatto, nella scelta obbligata tra salute e lavoro. Se a Taranto si continua a lottare per cercare un’alternativa, in molti luoghi del pianeta in cui abbiamo presentato lo spettacolo, quell’alternativa non esiste e quel ricatto è cucito sulla pelle dei lavoratori. Il “nostro operaio” che cerca di resistere al processo di brutalizzazione è diventato uno status symbol per i molti lavoratori e spettatori che abbiamo incontrato nei nostri tour e che in quell’operaio, eroe contemporaneo, si sono da subito riconosciuti, raccontandoci a loro volta le proprie storie e denunciando condizioni di lavoro rischiose, precarie e alienanti.
Il Nepal non brilla per i diritti dei lavoratori, tant’è che negli ultimi mesi ci sono state molte manifestazioni nella capitale, contro la povertà dilagante e la corruzione dei politici. Si potrebbe immaginare di grande impatto sociale l’esibizione teatrale, ma difficilmente le classi più povere frequentano i teatri. Come inviare loro il messaggio contenuto in Made in Ilva?
Il Nitfest è un festival nuovo che nasce dalla volontà degli artisti teatrali nepalesi di portare esperienze internazionali e di innovazione in Nepal, e che fa pertanto scelte coraggiose, puntando su spettacoli con temi sociali e politici, in grado di suscitare riflessioni e innescare cambiamenti. Non a caso il tema di questa seconda edizione del festival è legato al teatro come strumento di cambiamento e celebrazione di diversità. Già nel 2019 il Festival aveva scelto il nostro Desaparecidos#43, riconoscendo nella vicenda messicana di Ayotzinapa, parte della tragica storia del Nepal che purtroppo conta i suoi molti “Desaparecidos” durante la guerra civile. Made in ILVA, ancora una volta, diventa un’occasione per affrontare una problematica tutta locale, quella delle condizioni in cui verte la maggior parte dei lavoratori nepalesi, attraverso una vicenda italiana, così lontana eppure così vicina. L’aspetto positivo del Festival è anche quello di riuscire a raggiungere le classi meno abbienti, e di portare a teatro un pubblico eterogeneo, permettendo così a noi artisti di consegnare il nostro messaggio anche a quegli spettatori che non avrebbero altre occasioni di fruire di esperienze culturali internazionali di alto livello.
Il tour è sostenuto dagli Istituti Italiani di cultura di Jakarta, New Delhi, Mumbai, dal MIC e da ATER Fondazione.
Per approfondire: https://www.theblackcoffee.eu/dante-beyond-borders/
https://www.theblackcoffee.eu/lockdown-memory-2/
Sabato, 19 novembre 2022 – n° 47/2022
In copertina: una scena di Shadows of Dante – Foto: Instabili Vaganti (tutti i diritti riservati)