lunedì, Settembre 16, 2024

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Iraq: gli estremisti sciiti tentano di tornare alla legge coranica sul diritto di famiglia

Un emendamento alla Legge 188 sullo status personale che comprometterebbe l’intera società irachena

di Laura Sestini

Dalla fine di luglio, l’opinione pubblica irachena è coinvolta in una controversa battaglia a causa di un “emendamento” sulla legge del Diritto di famiglia varata nel 1959. Se attuato, questo emendamento danneggerà le donne, i bambini e le famiglie, indebolirà la coesione sociale e minerà la società e l’autorità dello Stato.

Nel 1959, l’Iraq aveva adottato la Legge 188 sullo status personale. La nuova legge prevedeva un unico codice che regolamentava gli affari familiari dei musulmani. La Legge 188 fu redatta da giuristi ed esperti costituzionali e supervisionata da studiosi della religione islamica.

Poiché nell’Islam non esiste un’unica legge coranica universale, nel 1959 gli esperti avevano selezionato ciò che era più adatto alla società irachena contemporanea e che avrebbe garantito a donne e bambini maggiori diritti e tutele all’interno della famiglia, attingendo alle scuole della Shari’a di quattro correnti sunnite e dello sciismo duodecimano. La legge eliminò l’arbitrarietà dello status familiare, unificando il Paese sotto un unico codice di governo e applicando le stesse regole a tutte le famiglie musulmane.

Per garantire la coerenza della giurisdizione sugli affari familiari, tutti i matrimoni dovevano essere contratti davanti a un giudice all’interno del sistema giudiziario statale, e il matrimonio al di fuori dei tribunali fu criminalizzato. L’età del consenso era fissata a 18 anni; la poligamia – sebbene non vietata – era strettamente condizionata e gli articoli riguardanti la custodia dei figli, l’eredità e gli alimenti garantivano il benessere dei bambini e delle donne. Diverse modifiche alla legge nel corso degli anni hanno fornito ulteriori tutele e maggiore equità negli affari familiari.

Nell’estate del 2004, poco dopo il crollo del regime Ba’ath e prima della ratifica di una Costituzione permanente alcuni esponenti religiosi sciiti chiesero l’abrogazione della Legge 188 e il ritorno alle leggi religiose della Shari’a.

All’epoca, le donne irachene portarono avanti una campagna contro questo movimento regressivo che non solo risultava dannoso per il loro benessere ma anche per la società in generale. L’intensa attività di contestazione delle donne irachene e il sostegno degli uomini, tra cui avvocati, giudici, accademici, scrittori e altri, ebbero successo solo parzialmente. Nella Costituzione del 2005, i religiosi intransigenti sriuscirono a inserire un articolo che minava tale legge.

L’articolo 41 della Costituzione afferma: “Gli iracheni sono liberi di impegnarsi riguardo al proprio status personale in base alla propria religione, setta, credo o scelta, e questo sarà regolato dalla legge”. Negli anni successivi, l’articolo 41 sarebbe stato invocato ripetutamente per annullare la Legge 188 e sostituirla con le differenti regole della Shari’a delle quattro sette sunnite e delle sette sciite duodecimane. In diverse occasioni la questione fu sollevata in Parlamento. Ogni volta, gruppi di donne, sostenitori e attivisti hanno mobilitato una controcampagna. Ogni volta, il Parlamento iracheno ha abbandonato la proposta.

Tuttavia, l’attuale parlamento, eletto nell’ottobre 2021, è dominato da parlamentari sciiti intransigenti che rappresentano potenti partiti sciiti e gruppi di milizie. A luglio, i parlamentari sciiti conservatori hanno affermato che la legge 188 era in conflitto con le loro convinzioni religiose e con la libertà garantita dalla Costituzione, citando nuovamente l’articolo 41. Hanno introdotto quello che hanno definito un “emendamento” che, se approvato, adistruggerebbe la Legge 188 e verrebbe sostituito con le molteplici e non codificate norme della Shari’a.

Con questo emendamento verrebbe annullato il ruolo dei tribunali come regolatori e supervisori del welfare familiare. Secondo tutti i rami della legge della Shari’a, i chierici possono officiare matrimoni e divorzi senza registrarli presso i tribunali. Pertanto, invece della coerenza, prevedibilità e universalità della Legge 188, i chierici possono assumere il controllo del welfare familiare. I coniugi, soprattutto le donne, saranno soggette ai capricci interpretativi dei singoli chierici. Di conseguenza, le tutele e i diritti attualmente concessi alle donne diverranno precari e gravemente compromessi.

La Legge 188 vieta la poligamia se non sotto condizioni esplicite e limitate, compreso il consenso della prima moglie e di un giudice. Secondo le leggi della Shari’a, non è richiesto il consenso della prima moglie. In effetti, un uomo non ha bisogno di rivelare i matrimoni, creando così il caos nelle reti di parentela e nella distribuzione dell’eredità.

Lo Sciismo consente anche quello che viene chiamato “matrimonio a termine” (Mut’a/Nikah Movaqat), una forma di matrimonio temporaneo dotato di contratto firmato dai due sposi, che può teoricamente durare da un’ora a più anni, rendendolo una forma di prostituzione autorizzata. Questa istituzione matrimoniale viene officiata da rappresentanti religiosi e non sono legalmente registrati. Sotto la Mut’a, la donna riceve una dote ma ha molti meno diritti che in un matrimonio formale. I matrimoni Mut’a non sono riconosciuti dalla Legge 188, eppure si sono moltiplicati a partire dal 2003, poiché gli uomini hanno sfruttato le donne impoverite da guerre, conflitti interni, sfollamenti e alla disperata ricerca di sostegno economico.

Secondo la Legge 188, infine, le domande di separazione e divorzio devono essere presentate in tribunale e secondo condizioni e procedure definite. Il divorzio sotto la Shari’a non ha regole coerenti e uniformi. I diritti delle donne divorziate sono uniformemente meno equi rispetto alla legge nazionale e variano tra le correnti religiose.

Anche i bambini perderanno protezione se verranno applicate le leggi della Shari’a. La Legge 188 concede alle madri l’affidamento dei figli fino all’età di 10 anni, con possibile estensione fino a 15, anche se la madre si risposa. In alcune sette, la legge della Shari’a concede la custodia al padre quando il bambino ha appena due anni e sempre, immediatamente, se la madre si risposa.

Ma il più famoso degli abusi è il cambiamento dell’età del matrimonio. Mentre la Legge 181 fissa 18 anni come età minima per il matrimonio e più bassa solo in casi eccezionali, la Shari’a delle sette sunnite e sciite stabilisce l’ammissibilità al matrimonio durante la pubertà. I religiosi anziani hanno affermato che la pubertà per le ragazze inizia a nove anni. Questo particolare rischio ha causato una protesta nazionale, nel timore che le giovani ragazze vengano vendute da famiglie delle comunità più povere per grandi doti, per risolvere controversie familiari o per ingraziarsi i leader della comunità.

La molteplicità delle leggi della Shari’a, con interpretazioni variabili, non codificate e talvolta eclatanti all’interno e tra le sette, significa che donne e bambini saranno soggetti a sentenze diversificate e arbitrarie, ed esposti ad abusi senza la capacità dello Stato di potergli fornire protezione.

Gruppi per i diritti delle donne, attivisti uomini e donne, accademici giuristi e leader politici si sono mobilitati contro il tentativo di svuotare la legge 188 e ripristinare le leggi della Shari’a. Hanno organizzato manifestazioni, rilasciato dichiarazioni e petizioni. Un sondaggio elettronico informale condotto su quasi 62.000 iracheni ha mostrato che il 73,2% degli intervistati si è fermamente opposto all’emendamento.

L’emendamento proposto non danneggerebbe solo le donne e i bambini, ma la società nel suo insieme ed è un indicatore di una regressione intenzionale alle condizioni pre-statali. L’emendamento non ha un consenso nazionale, né è stato presentato nel dibattito nazionale. Un ritorno alla legge della Shari’a comprometterebbe la Costituzione, che sancisce l’uguaglianza dei cittadini, e minerebbe la supremazia dello Stato e della magistratura nel sostenere le leggi della Nazione. Rafforzerebbe il settarismo e frammenterebbe ulteriormente la società irachena in un momento in cui la coesione sociale e l’integrazione sarebbero necessarie.

A un livello più profondo, è sintomatico di uno sforzo continuo e guidato politicamente da parte degli estremisti sciiti per rafforzare l’identità settaria a scapito dell’identità nazionale e imporre la volontà e l’ideologia dei gruppi sciiti estremisti sull’intera società irachena.

La reazione della società civile è stata molto significativa, con gruppi e attivisti per i diritti delle donne scesi in piazza in segno di protesta. Attivisti dell’organizzazione Women’s Freedom in Iraq (OWFI) si sono riuniti in piazza Tahrir a Baghdad, portando cartelli con scritte “No al matrimonio minorile” e “L’era del la schiavitù femminile è finita”. Yanar Mohammed, presidente di OWFI, ha accusato i politici di utilizzare queste leggi “arcaiche” per distrarre dai loro obiettivi, le carenze parlamentari, inclusa la corruzione dilagante.

Fonte: Rend Al-Rahim, diplomatica irachena negli Stati Uniti e “Sociologia dell’Islam – Religione e politica” di Renzo Guolo

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Sabato, 31 agosto 2024 – Anno IV – n°35/2024

In copertina: Naziha al-Dulaimi (1923-2007), pioniera del movimento femminista iracheno, cofondatrice e presidentessa della Lega delle Donne Irachene, prima donna ministro nella storia dell’Iraq e del mondo arabo – Foto: Faizal 1904 – CC BY-SA 4.0

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