Siria di Nord-Est: dove le donne vivono libere dalla tradizione patriarcale
di Laura Sestini
Di guerra in Siria non si sente accennare molto, offuscata dalla pandemia, che purtroppo colpisce anche quei luoghi già martoriati da oltre nove lunghi anni di guerra civile e assedio da più fazioni; periodo in cui la violenza sui civili è stata efferata e indiscriminata, perpetrata non solo dai miliziani jihadisti, nella miriade di differenti gruppi, dove il Califfato Islamico risultava il più spietato, ma anche dal Governo siriano di al-Assad, senza dimenticarsi le forze militari delle nazioni straniere, quale la Turchia (alleato Nato), la Russia, che ha bombardato indiscriminatamente sui civili, mentre appoggia l’esercito siriano a liberare l’area di Idlib dagli ultimi jihadisti, e per concludere, gli Stati Uniti che, hanno sì sostenuto le SDF, le forze militari costituite dai Curdi e dagli altri gruppi etnici in Siria di Nord-Est contro l’Isis, ma anche – al momento per loro più opportuno – stretto accordi con la Turchia e la Russia, istituendo una safe-zone proprio nelle regioni a maggioranza curda sotto il controllo turco – nemico numero uno dei Curdi.
Di guerra siriana non si scrive più, ma il conflitto continua a bassa intensità, soprattutto nelle aree ‘conquistate’ dalle forze militari turche e i mercenari al seguito.
Ma nonostante il caos che tutte le guerre portano con loro, e nonostante tutti gli ostacoli incontrati, in Siria di Nord-Est si sono compiuti due miracoli rivoluzionari.
Per quanto riguarda la macro area geografica della parte Nord-orientale della Siria, e ispirandosi alle linee politico-filosofiche di Abdullah Öcalan, leader politico detenuto dal 1999 in Turchia, è stata istituita la Confederazione Democratica Autonoma della Siria del Nord e dell’Est, un patto sociale di autogoverno dal basso – inclusivo trasversalmente dei gruppi etnici, le lingue e i credo religiosi del territorio – che rifiuta lo stato-nazione e il capitalismo, con un occhio di riguardo all’ecologia e all’emancipazione femminile – organismo che si auto-descrive come un’amministrazione fondata sul pluralismo e il decentramento del potere.
All’interno di ciò che si può senz’altro definire una rivoluzione sociale, considerando il contesto non ancora pacificato e i non sempre facili rapporti tra gruppi etnici differenti, che qui risultano numerosi (Curdi, Arabi, Siriaci, Assiri, Armeni, Turcomanni e altri), le donne hanno realizzato a loro volta, la propria rivoluzione di genere – con un rinnovamento dei ruoli che non trova confronti in tutta l’area mediorientale – conquistando diritti e realizzando progetti dedicati esclusivamente alla parte femminile della società che, finora, in gran parte, era destinata ai lavori domestici e alla cura della famiglia.
Tra le iniziative di maggiore spicco in ambito femminile, oltre alle Academie, dove si imparano i propri diritti, l’autodifesa o semplicemente a leggere, scrivere, o una nuova attività lavorativa è nato Jinwar – il villaggio delle donne.
Inaugurato a novembre 2018, e simbolicamente il 25, Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, è un luogo nato dal nulla, con case costruite di mattoni di terra e paglia dalle donne stesse che hanno deciso di trasferirsi qui, per vivere in piena armonia con i cicli della natura e per realizzare una vita libera e autodeterminata, per sottrarsi al sistema patriarcale.
Le donne di Jinwar – tra le quali molte sono qui con i figli piccoli – giungono da esperienze diverse, spesso molto dolorose a causa delle violenze della guerra, e hanno istituito un sistema di vita collettivo dove tutte lavorano per la piccola comunità, puntando all’autosufficienza energetica e alimentare e all’aiuto reciproco. Dal 2018 è stata aperta una scuola interna e si sta lavorando per aprire un ambulatorio sanitario – Şifa Jin – per la salute di donne e bambini, basato sui principi della medicina naturale, servizio che vorrebbe allargarsi anche alle abitanti che risiedono nei villaggi vicini. Dopo l’attacco turco di invasione a ottobre 2019, (comprensivo della fake-safe-zone), tutta l’area e Jinwar sono maggiormente in pericolo a causa delle incursioni dei mercenari jihadisti a seguito della Turchia, ma le donne che vi risiedono sono concordi nel rimanere a difesa del villaggio, che è la loro stessa vita, vissuta con ideale di libertà, di rivoluzione di genere e di auto-difesa.
Tra gli ultimi progetti, sono stati istituiti dei corsi di lingua curda per le donne adulte – che spesso non hanno mai ricevuto neanche la formazione di base, prima della guerra – e per i bambini, che qui crescono liberi nella natura e con i principi di rispetto sociale ed educazione ecologica.
A Jinwar c’è un allevamento di pecore che forniscono lana per gli indumenti invernali, rigorosamente fatti a mano. A questo proposito è stato ideato un laboratorio sulla lavorazione di questo pregiato elemento – dalla tosatura degli animali, alla filatura, alla realizzazione di manufatti da indossare o per abbellire la casa – quali i tappeti prodotti al telaio.
Nel 2019, in Italia era stato attivato un crowdfunding per sostenere il progetto di Şifa Jin, conclusosi con una importante raccolta fondi da destinare a Jinwar.
La Rivoluzione delle donne, è appena iniziata, ma procede con determinazione.
Sabato, 8 maggio 2021 – n°15/2021
In copertina: Jinwar – il villaggio delle donne – Foto: Courtesy©Jinwar (tutti i diritti riservati)