Appelli accorati al perdono di Donald Trump
di Laura Sestini
Il 4 gennaio 2021 la Westminster Court di Londra – presieduta dalla giudice Vanessa Baraitser – dovrà emettere il verdetto a proposito dell’estradizione verso gli Stati Uniti del fondatore di WikiLeaks – Julian Assange.
Detenuto nella prigione di massima sicurezza HM Belmarsh di Londra da circa 20 mesi – in precarie condizioni di salute – Julian Assange, dopo aver portato alla luce e divulgato (a partire dal 2010) migliaia di documenti segreti a proposito delle guerre statunitensi in Iraq e Afghanistan, attualmente rischia di finire nelle mani del cosiddetto Deep State per essere giudicato su 17 imputazioni a carico – riguardanti il reato di spionaggio e di divulgazione di atti militari secretati – che prevedono condanne fino alla pena capitale.
Il caso legale di Julian Assange è molto controverso e, per le modalità in cui si è sviluppato ed è trattato, si può ritenere unico al mondo. In effetti l’imputato non ha commesso alcun reato nel Regno Unito; ciononostante, in terra britannica è detenuto senza aver compiuto crimini, e qui sarà decisa la sua eventuale estradizione – richiesta dagli Usa a seguito delle rivelazioni di WikiLeaks che hanno portato alla luce le atrocità commesse dai militari statunitensi contro migliaia di civili in Iraq e Afghanistan.
Un caso legale molto discutibile, tantoché numerosi avvocati e parlamentari britannici hanno chiesto la sua scarcerazione, unendosi agli appelli di molte organizzazioni di giornalisti e attivisti per i diritti umani di tutto il mondo, ivi compresa l’Australia – madrepatria del whistleblower – che, formalmente e da subito, si è schierata a favore dell’estradizione e del linciaggio mediatico.
Le lunghe vicissitudini legali del giornalista australiano si protraggono dal 2012, ovvero da quando trovò rifugio presso l’ambasciata ecuadoriana di Londra per evitare l’estradizione in Svezia (dato che, già allora, il timore di essere spedito forzatamente negli Stati Uniti era ben fondato), concessa dalla Corte britannica a seguito di due denunce per stupro di altrettante ex-amanti svedesi di Assange (va specificato che per stupro in Svezia si intendeva, nel caso di Assange, e secondo le leggi vigenti in quel Paese, l’avere avuto rapporti sessuali consensuali senza l’uso del preservativo). L’accusa di stupro, molto traballante fin dall’inizio, è stata archiviata dalla Procura scandinava nel 2017 – per l’impossibilità a svolgere il processo, data l’assenza dell’imputato – e, nel 2020, l’imputazione è definitivamente decaduta per mancanza di elementi accusatori certi.
Chissà quale sarebbe stato il corso della storia personale di Assange se l’ambasciata ecuadoriana non gli avesse improvvisamente revocato l’asilo politico ad aprile 2019 – a seguito dell’elezione del nuovo Presidente Lenin Moreno nel 2017, politico nel quale Julian Assange non aveva troppa fiducia (mentre WikiLeakes denunciava che lo stesso aveva fatto ricorso a un paradiso fiscale offshore). Secondo il New York Times (e, in Italia, La Repubblica), Moreno avrebbe ritirato la protezione del suo Paese nei confronti di Assange in cambio di sconti sul debito. Oltre la protezione di rifugiato gli fu revocata la cittadinanza da parte del Paese latinoamericano.
Non solo. Si permise che la polizia londinese irrompesse nel territorio ‘neutrale’ dell’ambasciata ecuadoriana, per trascinare a forza Assange nelle stanze buie della Belmarsh Prison – e da allora recluderlo in totale isolamento. L’arresto fu motivato dal fatto che, nel 2012 – quando Assange chiese asilo politico presso l’ambasciata dell’Ecuador – il giornalista avrebbe violato i termini per la libertà su cauzione concessagli nel 2010, relativamente alle accuse di stupro di cui sopra (e oggi ormai decadute). Per questo reato fu condannato dalla giustizia britannica al massimo della pena – circa un anno (termine scaduto a maggio 2020), di cui una parte prevista agli arresti domiciliari.
Julian Assange, però, a maggio non è stato scarcerato. Qual è il motivo per questa ulteriore persecuzione da parte della Gran Bretagna, se egli non ha commesso altri reati nel Paese? Se è dovuto che la Gran Bretagna debba rispondere all’alleato statunitense – rispetto alla richiesta di estradizione formulata da quest’ultimo – e debba, quindi, emettere sentenza relativa (ma ci sarebbe da chiedersi se non sarebbe più corretto che giudicasse il caso il Parlamento inglese), il fatto che il detenuto non sia stato liberato al termine della pena comminata e già scontata è, invece, in totale violazione della stessa legge e delle normative sui diritti umani. Non è necessaria molta immaginazione per ipotizzare che Assange sia tuttora detenuto – arbitrariamente – per timore di un’ulteriore fuga, magari verso la Russia, dove Edward Snowden – altro ‘traditore’ agli occhi degli Stati Uniti per aver svelato i tracciamenti di massa delle comunicazioni digitali dei cittadini statunitensi ed europei – ha trovato asilo politico dal 2014 (https://www.theblackcoffee.eu/cosa-rimane-delle-rivelazioni-di-edward-snowden/).
A proposito del trattamento subito dal whistleblower australiano in tutti questi anni di permanenza nel Regno Unito, si è pronunciata anche la Commissione delle Nazioni Unite per la detenzione arbitraria, giudicando fuorilegge il percorso legale di Gran Bretagna e Svezia nei confronti del giornalista e lo stesso ha fatto l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, invitando i Paesi membri a schierarsi unitamente in favore delle decisioni delle Nazioni Unite, per non creare precedenti in ambito di libertà di stampa.
Alla data della presunta scarcerazione di Assange dalla HM Belmarsh Prison, a settembre 2019, la stessa giudice Baraitser ne ha bloccato la liberazione, proprio in virtù di una probabile potenziale violazione dei termini della libertà vigilata da parte di Assange, antecedentemente concessagli. In pratica, si è condannato – in un Paese cosiddetto democratico – un cittadino sulla base di un reato non ancora commesso, contro ogni criterio legale europeo.
Di fatto Assange rimane recluso, in attesa dell’udienza del 4 gennaio prossimo – che dovrebbe decidere sulla richiesta di estradizione.
Craig Murray – ex diplomatico britannico – storico e attivista per i diritti umani, amico e audace sostenitore di Assange (https://www.craigmurray.org.uk), in questi anni ha scritto molto svelando i legami politici e le alleanze, talvolta imbarazzanti, intessute intorno al caso di Julian Assange. Le sue denunce sono complesse, ma senz’altro illuminanti anche per i meno avvezzi agli intrighi geopolitici.
Tra le numerose iniziative a favore della liberazione di Assange, ne segnaliamo una che si distingue dalle altre, ovvero la possibilità di scrivergli una lettera personale, inviandola all’Istituto di detenzione londinese: https://nycfreeassange.org/write-to-julian/?link_id=0&can_id=022752e30f6fb7de644d96ab2fabe772&source=email-write-to-julian&email_referrer=email_1026815___subject_1396850&email_subject=tomorrow-write-to-julian.
A fianco di Assange si sono schierati personaggi anche molto noti, tra i quali il politico ed economista greco, Yanis Varoufakis, oltre a giornalisti, attivisti dei diritti umani, personaggi dello spettacolo, avvocati – schiere di medici e psicologi a difesa della sua salute; oggi gli appelli al proscioglimento dalle accuse a carico di Assange si moltiplicano, tanti quanti gli inviti al perdono da parte del Presidente uscente Donald Trump – che, da tradizione, prima di lasciare definitivamente la Casa Bianca, può liberare alcuni detenuti.
Cosa ne sarà di questa richiesta, se tuttora – a distanza di sole due settimane dalla decisione britannica – gli Stati Uniti non hanno mutato la volontà di estradizione del giornalista e l’ex-presidente Trump ha perfino accellerato i tempi per far eseguire alcune pene capitali, portando le suddette a quota 10 – il numero più alto mai eseguito nei precedenti mandati dei Presidenti statunitensi? Rimarrà qualche speranza? Sembrerebbe di no se Roger Waters, frontman dei Pink Floyd, ha dichiarato alla stampa: «Con Biden non cambierà la volontà degli Usa di punire Assange» e ha aggiunto: «I potenti sperano che Julian muoia in prigione».
Sabato, 19 dicembre 2020
In copertina: Julian Assange prima dell’arresto e attualmente.