“La verità è l’immagine migliore, la miglior propaganda”
di Simona Maria Frigerio
Abbiamo ‘rubato’ una frase celebre al fotografo ungherese Robert Capa perché quella struggente sete di verità dovrebbe accomunare almeno due professioni, quella del giornalista e quella del fotografo. A un malato terminale il medico può usare compassione anche mentendo; a un alunno che fa del suo meglio ma proprio non ci arriva, un buon insegnante deve trovare le parole dell’incoraggiamento; in una diatriba tra due amici bisognerà cercare la comune ragione più che il torto di ognuno. Ma quando si narra, attraverso un’immagine o un articolo, il nostro universo/mondo è doveroso avvicinarsi quanto più possibile a quella autenticità che, sola, può restituire bellezza – o, citando John Keats: “Beauty is truth, truth beauty, that is all / Ye know on earth, and all ye need to know”.
Non sarà un caso, quindi, che quando si ammira il volto di Virginie, nello scatto realizzato da Marzio Emilio Villa per la mostra Kebek Lepage, ritratti e ambienti – alla Palazzina delle Art di La Spezia fino al 26 marzo – si scopre in filigrana non solamente l’orgoglio dei nativi, bensì la verità di un’antica cultura in grado di compartecipare il presente (atmosferico e paesaggistico ma anche storico); insieme bellezza botticelliana e verità calata nella società contemporanea di un Paese, il Canada, dalle molteplici radici socio-culturali.
Già in passato mi è capitato di scrivere di questa mostra, cogliendone le sfaccettature: ‘il fuoco e il ghiaccio’ che avevo sentito percorrermi la spina dorsale, e avevo tentato di restituire nel pezzo del 2019 da Castiglioncello – dove la mostra debuttava a Castello Pasquini nell’ambito di Inequilibrio Festival (https://artegrafica.persinsala.it/keb%C9%9Bk-lepage-ritratti-e-ambenti/11964). Una personale che torna, dopo l’esposizione all’Università degli Studi di Milano, nella sua versione completa di video (firmato da Gianluca Rigo) e di sottofondo musicale – una ninna nanna dei nativi rielaborata attraverso la sensibilità contemporanea di Virginie Bujold-Paré (il volto che dà voce ai suoi occhi), e trova nella Palazzina delle Arti di La Spezia una dimensione raccolta e un allestimento che ne esalta le risonanze cromatiche ma altresì quelle affettive.
Dietro al rigore delle composizioni di Marzio Emilio Villa, si intravede sempre lo studio e la fascinazione per quelle prospettive che da Piero della Francesca in avanti hanno delimitato spazi ma, soprattutto, incorniciato situazioni, eventi, personaggi che esprimevano universi di senso e di potere. Non a caso il gemellaggio con il Museo Amedeo Lia (su cui torneremo) sottolinea come le forme vengano prima della loro interpretazione, ossia un cubo (China Town), una retta o una curva (Landscape) esprimano forze che solamente in un secondo momento, non l’occhio ma il cervello interpreterà per grattacielo o strada (a proposito, ormai nel lontano 2010, ricordiamo la bella mostra alla Pinacoteca di Brera: https://teatro.persinsala.it/burri-e-fontana-a-brera/812/).
E ancora una nota sulle scelte cromatiche, esaltate dall’allestimento, ma intrinsecamente necessarie al fotografo per restituire la dimensione più intima e accogliente di un interno in legno (Salle d’attente du théâtre – Vincennes) o il freddo respingente di una strada di periferia che fa da sfondo a uno Skater (Montréal), che pare affrontare l’obiettivo quasi fosse il nostro sguardo diretto; o ancora i bianchi su bianco che trascolorano in azzurrini taglienti, come nel Fleuve Saint Laurent ghiacciato o in Road on Native American Sacred Site (prima opera in mostra, che prepara il visitatore per il viaggio in quel Québec che ha ispirato Robert Lepage ma, soprattutto, lo mette nella condizione di porsi dietro la macchina fotografica, così come si posiziona dietro al parabrezza di un’auto in corsa).
Una fotografia intrinsecamente etica, sia a livello di contenuti che di restituzione, che non cede alla manipolazione anche estetica perché, come esprimeva compiutamente Keats, non ve n’è bisogno in quanto ‘verità è bellezza’.
E così, questa volta, non abbiamo scritto che la mostra parte dal desiderio drammaturgico ma, nel contempo, antiteatrale – a nostro avviso – di Anna Maria Monteverdi (curatrice) e Marzio Emilio Villa (fotografo) di narrare quel paesaggio, quei volti e quelle storie che hanno ispirato i testi e gli spettacolo del regista, drammaturgo e interprete Robert Lepage, restituendo il non detto, che è sempre sospeso tra le righe del testo scritto e re-citato.
Ma questa mostra si articola anche con una serie di novità. La prima è il video di Simone Cannata e Anna Maria Monteverdi dedicato al regista canadese che l’ha ispirata attraverso i suoi lavori e il suo radicamento nel milieu socio-culturale Québécois, intitolato Memoria maschera e macchina nel teatro di Robert Lepage (andato in onda su Rai5 il 23 gennaio scorso). Con lo stesso biglietto è altresì possibile visitare il Museo del Sigillo – ospite anch’esso della Palazzina delle Arti. E, inoltre, in tempi in cui la cultura è concessa come essenza preziosa, si può decidere di dedicarvi l’intero pomeriggio e visitare anche il Museo Amedeo Lia, che ha voluto gemellare un proprio Canaletto con Native American Sacred Site di Villa e che, in questo periodo, oltre alla collezione permanente ha in mostra una temporanea dedicata al tema della natura morta.
Sabato, 13 marzo 2021 – N° 7/2021
In copertina: Marzio Emilio Villa, Native American Sacred Site, Montréal, accanto al Canaletto presso il Museo Amedeo Lia di La Spezia.