Viaggio nel cuore della mediterraneità
di Laura Sestini
Il Festival internazionale 24 Heures de théâtre nella città di El-Kef si svolge nella omonima cittadina tunisina al Nord-ovest del Paese, non lontano dal confine algerino. Il Festival nasce nel 2011, anno in cui la Tunisia accende le micce della Primavera Araba, che poi si espanderà fino in Libia, Egitto ed alla Siria, ma vagando a tratti anche in altri paesi mediorientali.
La mission del Festival, organizzato da Le Centre National des Arts Dramatiques et Scéniques locale, è unire i popoli entro l’ambito della performance teatrale, dove ognuno riporta della propria cultura e delle intrinseche tradizioni. Un dialogo che supera i confini geografici, linguistici e religiosi, per ‘fare comunità umana’, al di là delle differenze.
La Compagnia bolognese Instabili Vaganti, composta dalla regista Anna Dora Dorno e dal performer Nicola Pianzola, con l’edizione di marzo 2022 del Festival di El-Kef, tornano in Tunisia per la seconda volta. La loro presenza alla XI edizione della manifestazione teatrale tunisina rientra nell’ambito del loro progetto iniziato nel 2019 ‘Beyond Borders’– Oltre i confini, che ha offerto un workshop intitolato ‘Gateway to the future’ – Passaggio verso il futuro – ed la rappresentazione di ‘Made in Ilva’ – un’opera riconosciuta internazionalmente sul tema del lavoro.
Su questa loro esperienza, nel Paese dei giovani migranti che a migliaia cercano un ‘varco’ verso l’Europa, abbiamo chiesto le impressioni ricevute sullo ‘scambio’ sociale con gli artisti provenienti da molti paesi del mondo – che come loro hanno partecipato al Festival – anche in seguito all’avvento globale di due anni di pandemia che hanno bloccato quasi totalmente gli spettacoli teatrali dal vivo.
La Tunisia del Nord è molto simile geograficamente al Sud Italia ed anche alcune usanze talvolta si confondono per le antiche memorie imperiali romane ed i moltissimi scambi migratori relativamente recenti, in particolare dei Siciliani verso il Maghreb. Avete percepito qualcosa di familiare, oppure le tracce sono ormai perdute?
Instabili Vaganti – La Tunisia del Nord ha senza dubbio una somiglianza quasi perturbante con il Sud Italia, e molto spesso ne deriva un sentimento nostalgico, poiché lo scorrere della vita quotidiana nei paesaggi della campagna e dell’entroterra tunisino, evocano immagini e scene rurali di un Italia di qualche decennio fa. Un tempo che sembra lontano, un tempo in cui il legame con la terra era ancora forte e le tradizioni ancora vive. Sulla strada interna che da Tunisi ci porta a El Kef si susseguono quadretti bucolici, scene pastorali con antiche rovine romane che fanno da sfondo, ed è facile imbattersi in siti storici, alcuni curati, altri senza la possibilità economica per farlo (come ci confessa un guardiano del sito), dove si passeggia sui mosaici, ripercorrendo le vie delle città romane, perfette nelle loro armonie e geometrie. Sono gli anziani i depositari della tradizione, che con la loro musica spesso intervengono in alcuni momenti del Festival previsti per far conoscere agli artisti e le compagnie straniere, la ricchezza del patrimonio culturale di El Kef; ma anche i giovani che partecipano al nostro workshop, conservano nel coro e nella voce, le radici della propria cultura e conoscono canti, danze e azioni rituali. Per noi si tratta di attraversare un ponte, che ci unisce in un’unica cultura, quella mediterranea.
Il mondo arabo – con la sua moltitudine di differenze tra i Paesi – è molto affascinante, sommesso nel vivere quotidiano, misterioso, mai sguaiato come può esserlo l’Occidente, complice anche la religione musulmana che influenza i comportamenti dei credenti. Differenti convenzioni sociali tra i popoli possono suscitare incomprensione o curiosità?
I.V. – La Tunisia, in particolare, segue un percorso altalenante tra globalizzazione e ritorno alle tradizioni, tra occidentalizzazione e restaurazione dei valori fondanti della propria cultura e religione. La Primavera araba ha segnato un ritorno forte alla cultura araba e la lingua francese è sempre meno parlata, anche dai giovani. La curiosità è sicuramente ciò che alimenta lo scambio e l’incontro che avviene nei nostri workshop, ma anche nel momento di andare in scena davanti ad un pubblico che ha un altro sistema di segni per interpretare il nostro lavoro. La forte identità culturale dona ai giovani partecipanti un aura di mistero, ed ognuno di loro è un universo da scoprire. Abbiamo notato meno convenzioni nel loro comportamento, rispetto ad altri paesi, parlo di convenzioni sociali presenti nel comportamento, che talvolta possono intimidire i partecipanti impedendogli di esprimersi a pieno, di interagire con gli altri, in particolare nel contatto tra uomo e donna, o di trattare alcune tematiche. Il tema del workshop e del nostro progetto però, ha da subito unito il gruppo alimentandone il lavoro fisico e di contatto, forse perché si tratta di un tema molto sentito, “il superamento dei confini” forse perché il Covid e le restrizioni sociali hanno creato tabù e convenzioni universali, che si ha bisogno di oltrepassare insieme, per ritrovarsi nelle proprie umanità e relazioni sociali.
Il Festival internazionale 24 Heures de théâtre nella città di El-Kef è ‘un faro nella notte’ per le attività artistico-performative corporee in Tunisia. Una coraggiosa scommessa del Centre des artes dramatiques e sceniques che lo organizza?
I.V. – Certamente, una scommessa vinta che produce risultati tangibili e visibili in termini di partecipazione e varietà di pubblico. I giovani che vogliono fare teatro si spostano a Tunisi. I Centre des artes dramatique, presenti in diversi centri della Tunisia, rappresentano pertanto delle opportunità per molti di loro, non solo formative ma anche produttive e di accompagnamento alle proprie carriere artistiche. Noi siamo tornati in questo Festival a distanza di otto anni, poiché ne abbiamo sposato il concept e la visione. Per un giorno e una notte, la piccola Kef, diventa degna del suo soprannome “la città del teatro”: diverse culture, soprattutto quella araba e subsahariana, ma anche quella persiana, ed europea (vi sono compagnie italiane, francesi, romene ecc.) si incontrano, e diventa possibile conoscere il teatro palestinese come quello senegalese, vedere spettacoli di gruppi dall’Iraq come dalla Libia. Il valore più grande resta a mio avviso l’attenzione alla formazione, con i maestri internazionali di teatro invitati ad offrire dei workshop, e la volontà di piantare dei semi nelle giovani generazioni tunisine.
La Compagnia Instabili Vaganti ha offerto un workshop dal titolo ‘Gateway to the future’, un passaggio, incrocio, uscita verso quale futuro?
I.V. – “Quale futuro” è stata proprio la domanda che ci ha guidato nel lavoro. E’ ancora così forte nei giovani partecipanti al workshop, dopo una pandemia che sta ridisegnando la geografia economica del pianeta, il desiderio di attraversare il mare per giungere in Europa? Sicuramente molti di loro vorrebbero avere la possibilità di studiare teatro e fare esperienze in diversi Paesi europei, compresa l’Italia, e il nostro progetto Beyond Borders offre loro questa possibilità, dato che il workshop “A Gateway to the future” ha anche lo scopo di incontrare giovani performer e artisti in diversi paesi, per proseguire il lavoro in una tappa di residenza in Italia, che si terrà dal 22 luglio al 8 agosto, prima all’Arboreto Teatro Dimora di Mondaino (RI), partner italiano del nostro progetto, poi al festival Teatro nel Bicchiere di Scansano (GR). Si tratta infatti di un progetto ambizioso, che mira a favorire una nuova mobilità internazionale ed incentivare il dialogo interculturale, riattivando i processi di ricerca e co-creazione a livello mondiale, e che è reso possibile grazie al supporto del Ministero della cultura attraverso il bando Boarding Pass Plus.
Ci siamo chiesti come stanno cambiano le rotte migratorie, notando che molti di questi giovani sono tornati in Tunisia e stanno investendo nel teatro, nelle produzioni video, sviluppando nuove competenze di cui ci sarà bisogno in un Paese che culturalmente sta investendo e crescendo molto (basti pensare alla mastodontica Cité de la culture a Tunisi ecc.).
Nel workshop, attraverso il lavoro fisico, la riflessione sui temi del progetto e la trasposizione artistica di questi in testi, azioni individuali e collettive, andiamo insieme alla ricerca di questo “passaggio” di questo portale verso l’eutopia.
Ad el-Kef avete portato in scena anche ‘Made in Ilva’, un cult della produzione teatrale della Compagnia. Se il lavoro è senz’altro uno dei codici che accomuna tutte le classi sociali – un linguaggio comune comprensibile al di là della lingua – altrettanto è vero che la Tunisia soffre maggiormente per la disoccupazione, le morti bianche e anche di diritti civili rispetto all’Italia. Perché questa scelta?
I.V. – Nel suo decennio di circuitazione, MADE IN ILVA è diventato uno spettacolo in grado di parlare ai pubblici di tutto il mondo, grazie anche al fatto che è tradotto e interpretato in più lingue, tra cui il francese, proprio in occasione di questa partecipazione al festival in Tunisia. L’impatto sul pubblico è sempre molto forte, sia per il tema trattato, sia per l’intensità del lavoro fisico, che permette agli spettatori di entrare empaticamente nel processo di brutalizzazione che l’attore compie in scena. Questo teatro totale e multisensoriale permette di trascendere il linguaggio verbale che diventa uno dei tanti linguaggi che interagiscono nell’opera. In molti paesi in cui è stato presentato lo spettacolo, vi erano difficili condizioni di lavoro, e sicuramente la Tunisia non è da meno. Ci ha dato però molto sollievo vedere quante persone può impiegare un Centre des artes dramatiques come quello di El Kef, perché rompe lo stereotipo, purtroppo frequente, che con la cultura non si mangia.
Anche questa volta MADE IN ILVA ha lasciato il segno, suscitando ben sei applausi a scena aperta e portando un gruppo di giovani spettatori ad integrarsi ai partecipanti del nostro workshop.
Con i colleghi tunisini ed internazionali avete trovato difficoltà di scambio di espressione corporea, considerate le differenti ‘libertà’ sociali? Quante artiste donne erano presenti come performers?
I.V. – Essendo già stati in Tunisia, conoscevamo già le potenziali difficoltà che avremmo trovato, prima fra tutte la lingua, poiché non tutti parlano o comprendono bene il francese, e alcuni partecipanti hanno tradotto le nostre istruzioni per i propri compagni. Trattandosi però di un progetto internazionale e interculturale avevamo dalla nostra la collaborazione del giovane danzatore Moody Ghauzani, un partecipante tunisino del nostro progetto Beyond Borders, che avevamo conosciuto proprio a El-Kef otto anni prima. La sua presenza dava una certa fiducia ai partecipanti, fungendo quasi da anello tra due culture ed esperienze diverse. Il gruppo era molto equilibrato a livello di genere, e sono state subito le donne ad entrare nel processo, proponendo canti, azioni, testi. Gli attori uomini hanno mostrato più resistenza e solo con un lavoro molto fisico sono usciti fuori in tutta la loro presenza scenica ed espressiva. In pochissimo tempo, solo 3 giorni di workshop, il processo di lavoro ha preso una sua direzione e identità, portando il gruppo a creare una prima linea di azioni, una struttura performativa collettiva che ha segnato l’inizio di un viaggio verso un futuro ignoto.
Quale ‘messaggio’ da divulgare avete ricevuto dal Festival di El-Kef ?
I.V. – Un messaggio che in questo momento diventa ancora più forte, quello del rispetto delle differenze culturali e religiose, di un dialogo interculturale possibile anche a fronte di tensioni politiche e sociali e faide storiche tra diversi paesi. Un messaggio in linea con il nostro progetto: l’Arte e il teatro ci permettono di oltrepassare i confini.
Sabato, 7 maggio 2022 – n° 19/2022
In copertina: dal Festival internazionale 24 Heures de théâtre nella città di El-Kef – Foto: H. Ayadi (tutti i diritti riservati)