venerdì, Novembre 22, 2024

Economia, Italia

La criminalità organizzata in Italia

Report della Banca d’Italia

di Laura Sestini

Nota del giornalista: il testo riportato qui sotto è uno piccolo stralcio del Report 2021 di Banca d’Italia dal titolo ‘La criminalità organizzata in Italia: un’analisi economica‘ a cura di Sauro Mocetti e Lucia Rizzica. Per non incorrere nell’errore di modificarne il significato e i numeri, ne riportiamo alcuni interessanti iniziali capoversi. L’obiettivo è di indurre i lettori alla curiosità di approfondire anche le rimanti pagine – istruttive ed illuminanti – reperibili sul sito https://www.bancaditalia.it.


Secondo le stime dell’Istat, nel 2019 le attività illegali (che sono spesso gestite dalle organizzazioni criminali e i cui proventi sono in buona parte reinvestiti nell’economia legale) rappresentavano l’1,1 per cento del PIL (Istat, 2021). Tale valore, tuttavia, rappresenta una sottostima dei volumi di attività delle mafie.

In primo luogo, i dati dell’Istat includono solo il valore del commercio di sostanze stupefacenti, dell’attività di prostituzione e del contrabbando di sigarette e di alcol mentre escludono altre tipologie di attività illegali quali l’estorsione, la contraffazione, l’usura, la gestione illecita del ciclo dei rifiuti, le scommesse, ecc. Secondo le elaborazioni di Transcrime (2015), le tre attività illegali considerate dall’Istat rappresenterebbero circa la metà dei ricavi ottenuti dal complesso delle attività illegali3. Si può quindi ragionevolmente affermare che il complesso di tali attività rappresenti oltre il 2 per cento del PIL.

In secondo luogo, i proventi dalle attività illegali non esauriscono i volumi di affari delle mafie. L’infiltrazione nelle imprese, ad esempio, viene utilizzata sia per riciclare i proventi illeciti sia per generare valore aggiunto addizionale

È inoltre ragionevole ipotizzare che parte dell’economia sommersa (per sotto-dichiarazione degli operatori economici e/o per l’impiego di lavoro irregolare) sia anch’essa riconducibile alla criminalità organizzata.
Al di là della dimensione quantitativa del fenomeno è tuttavia importante misurare la diversa rilevanza della presenza mafiosa a livello territoriale.

[…] Misurare l’intensità del fenomeno mafioso è complesso perché le azioni e le attività delle mafie sono nascoste per definizione, sfuggono alle rilevazioni statistiche e, spesso, alle attività investigative. Esse, inoltre, hanno confini labili che rendono difficile individuare le singole fattispecie criminali.


La figura mostra l’indice sintetico di presenza mafiosa a livello provinciale. Le province sono state divise in 4 gruppi, sulla base dei quartili della distribuzione dell’indice; quelle con i colori più scuri/chiari sono caratterizzate da valori più elevati /bassi dell’indice di presenza mafiosa

In relazione agli indicatori oggettivi, si osserva che nel Mezzogiorno, e in particolare, in Sicilia, Calabria, Campania e Puglia, si sono concentrati oltre il 90 per cento degli omicidi di stampo mafioso, delle denunce delle forze di polizia all’autorità giudiziaria per reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e dei comuni sciolti per mafia. Anche le infiltrazioni nelle imprese sono concentrate soprattutto nel Mezzogiorno ma una quota
rilevante riguarda territori al di fuori dei confini tradizionali delle mafie: oltre il 30 per cento delle imprese confiscate alle mafie erano infatti localizzate nel Centro Nord.

Indicazioni analoghe, sebbene più sfumate, emergono dall’analisi dei reati «spia» della presenza mafiosa
associati al controllo del territorio. La distribuzione territoriale che più si discosta dalle altre è quella relativa ai reati «spia» di attività illecite, che risultano più diffusi lungo la dorsale tirrenica, tra la Liguria e la Campania. Queste evidenze suggeriscono che le regioni del Centro Nord non possono considerarsi immuni, sebbene il fenomeno mafioso in questa area del paese assuma connotazioni parzialmente diverse.

Le percezioni delle imprese, infine, forniscono indicazioni in linea con i dati oggettivi che contribuiscono ad arricchirne ulteriormente il contenuto informativo e corroborarne l’affidabilità. Con riferimento alle estorsioni, per esempio, l’indice di vittimizzazione, la percezione delle imprese sulla diffusione del fenomeno e i reati
effettivamente denunciati dalle forze dell’ordine risultano correlati positivamente ma non in
misura elevata, suggerendo quindi che essi catturano fenomeni simili ma non del tutto sovrapponibili e quindi possono completarsi a vicenda.

[….] Il grado di diffusione delle attività e del potere criminale sul territorio non solo non è omogeneo, come appena evidenziato, ma soprattutto non è casuale. Esso dipende in primo luogo da fattori strutturali che, nel medio e lungo periodo, hanno reso alcuni territori più favorevoli alla nascita e al radicamento delle organizzazioni mafiose. [….] i fattori storici, economici e istituzionali che hanno favorito la nascita della mafia in Sicilia sul finire del 1800 – questione sulla quale esiste un’ampia evidenza sia di matrice storiografica sia economica.

[….] I principali lavori della letteratura economica che hanno analizzato le origini del fenomeno mafioso si sono concentrati sul caso della Sicilia, regione caratterizzata da una più antica e radicata presenza mafiosa.
[…] Vi è unanime consenso nell’individuare le prime tracce significative della presenza mafiosa in Sicilia a partire dalla seconda metà del 1800. [….] In secondo luogo, tale fenomeno non ha attecchito in misura omogenea, essendo la sua intensità molto eterogenea tra le province. Vi devono essere stati, quindi, dei fattori locali che possono aver determinato questa variabilità. Infine, il fenomeno mafioso si caratterizza per una certa persistenza: le provincie più esposte al rischio mafioso oggi sono sostanzialmente le stesse di un secolo fa.

[….] Secondo Gambetta (1992), la mafia si sarebbe caratterizzata come «un’industria che produce, promuove e vende protezione privata», servizi il cui valore sarebbe stato particolarmente elevato in contesti caratterizzati da scarsa fiducia tra gli operatori economici e dalla debolezza dello Stato (non in grado di offrire un adeguato rispetto dei contratti e dei diritti di proprietà). Bandiera (2003) riprende questa argomentazione e mostra che l’affermazione delle organizzazioni di stampo mafioso è stata più forte nelle zone che all’epoca erano caratterizzate da una maggiore frammentarietà della proprietà terriera e, quindi, da una maggiore domanda di
protezione (a fronte del fenomeno del brigantaggio). In questa spiegazione delle origini della mafia lo shock sarebbe quindi rappresentato dall’abolizione del feudalesimo e dall’istituzione dei moderni diritti di proprietà (e, quindi, dalla domanda di istituzioni in grado di far valere tali diritti) e la fonte di eterogeneità spaziale sarebbe riconducibile al diverso grado di frammentazione della proprietà (e dei pericoli di attacchi di stampo brigantesco) sul territorio.

[….] Altri studi più recenti hanno attribuito l’emergere della mafia alla cosiddetta «maledizione delle risorse» (resource curse). Buonanno et al. (2015) e Dimico et al. (2017) hanno identificato nella combinazione di shock positivi alla domanda di beni locali – zolfo nel primo caso e agrumi nel secondo – la causa del nascere delle organizzazioni di tipo mafioso in Sicilia alla fine del 1800. Anche in questo caso, la forte domanda estera di un determinato bene, in assenza di uno stato di diritto sufficientemente forte, avrebbe generato una domanda di protezione alle organizzazioni parastatali di stampo mafioso. L’eterogeneità spaziale del fenomeno, invece,
sarebbe riconducibile alla distribuzione sul territorio delle miniere di zolfo e degli agrumeti.

Acemoglu et al. (2020) propongono un’ulteriore spiegazione dell’origine della mafia in Sicilia. Gli autori individuano lo shock in una grave siccità che colpì la regione sul finire del 1800 e che comportò un significativo peggioramento della produzione agricola e delle condizioni di vita dei contadini. Tali difficoltà alimentarono il movimento socialista dei «Fasci siciliani dei Lavoratori» con rivendicazioni sociali per salari più elevati, contratti di affitto dei terreni più lunghi e uno spostamento delle tasse sui proprietari terrieri.

In un contesto caratterizzato da una presenza dello Stato debole, la minaccia socialista avrebbe spinto proprietari terrieri e politici locali a rivolgersi alle organizzazioni di stampo mafioso per opporre resistenza a tali rivendicazioni. Se la minaccia socialista, alimentata dalla siccità, rappresenta lo shock che portò a una maggiore domanda di mafia, la diversa intensità del fenomeno sul territorio è qui ricondotta alla diversa penetrazione del movimento sindacale. [….] Segue…

Sabato, 8 gennaio 2022 – n° 2/2022

In copertina: immagine di Alexander Lesnitsky/Pixabay

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