Come si costruisce il razzismo
di Laura Sestini
Nel momento che inizio a scrivere, la Ocean Viking – nave cargo di SOS Méditerranée a cui non è stato autorizzato l’attracco e quindi la scesa a Catania dei 234 migranti a bordo salvati nel Mediterraneo, tra cui molti minori, un neonato e diversi casi clinici – si trova in acque internazionali, tra la Corsica e le coste grossetane.
In rotta verso Marsiglia, come concordato tra il presidente francese Emmanuel Macron e le autorità italiane, ancora non è arrivato il comunicato ufficiale per entrare in un porto francese, poiché la destra d’oltralpe sta spingendo per recedere dall’accordo con l’Italia, totalmente in sintonia con il Governo del presidente Meloni per il respingimento dei migranti.
Nei giorni scorsi la Commissione europea aveva intimato alle autorità italiane di prendersi le responsabilità di accoglienza di Ocean Viking e lo “sbarco immediato nel porto sicuro più vicino” che, al contrario, ha incontrato un disumanizzante rifiuto dal neoministro dell’Interno Piantedosi, che già nei giorni precedenti si era messo in luce utilizzando un linguaggio discriminante con termini e decisioni quali sbarco selettivo e carico residuale nei confronti dei 35 uomini asiatici rimasti a bordo della Humanity 1 battente bandiera tedesca – esseri umani declassificati a merce. Il capitano della Humanity 1 si era quindi rifiutato di lasciare il porto di Catania ed infine, con l’aiuto del responso medico, tutti, tra lacrime di gioia, hanno potuto toccare terra.
Durante la notte appena passata, mentre la Ocean Viking transitava lungo le coste sarde, il sindaco di Porto Torres, Massimo Mulas, con un breve comunicato ha reso disponibile il porto della città che amministra: «È mio intento rendere disponibile la città e il porto di Porto Torres ad accogliere i naufraghi della nave di SOS Mediterranée Ocean Viking. Dopo che la Commissione europea ha dichiarato che la situazione a bordo della nave ha raggiunto un livello critico e deve essere affrontata con urgenza per evitare una tragedia umanitaria, e ha chiesto lo sbarco immediato, nel luogo sicuro più vicino, di tutte le persone soccorse e che si trovano a bordo, la mia comunità non vuole girarsi dall’altra parte, la città di Porto Torres è sempre stata una città accogliente e solidale con chi soffre».
Nessun passo indietro del Governo italiano, mentre a bordo numerose persone hanno iniziato a rifiutare il cibo. La maggioranza di queste sono in mare da circa 20 giorni. Gli spazi fisici nelle navi sono molto limitati, il disagio è concreto.
Dopo il Trattato di Dublino, entrato in vigore nel 1997 – e il seguente Lisbona del 2009 in materia di controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – per disciplinare il sistema dell’accoglienza e delle richieste d’asilo all’interno dell’Unione europea, nonché la equa redistribuzione in tutti i Paesi europei degli stranieri in arrivo dalle rotte migratorie di terra e di mare, almeno dal 2011 si varano anche differenti accordi tra singoli Stati.
Nel 2011, tra Italia e Tunisia fu siglato un patto sottoscritto da Roberto Maroni – allora ministro dell’Interno – per rispedire indietro i giovani tunisini che stavano fuggendo da un Paese povero, dittatoriale e messo a soqquadro dalla Primavera araba. Allora come oggi – in seguito si faranno accordi più massicci anche con Libia,Turchia ed Egitto – la Guardia costiera tunisina, incentivata da sovvenzioni economiche, aveva il compito di fermare i propri barconi e riportarli entro i suoi confini territoriali.
A Zarzis, il 7 aprile 2011, fortuitamente ho assistito al primo “sequestro marittimo” di un barcone pieno di giovani uomini, anche minorenni, riportati a terra dalle autorità tunisine costiere, per dimostrare al Governo Renzi come si era diligenti nell’osservare tale accordo. Una volta ridiscesi al porto di partenza a nessuno di coloro che erano a bordo è stato chiesto un documento di identità, o fatto almeno qualche domanda. Tutti – solo di genere maschile – si sono avviati verso a casa, o fermati a parlare con la promessa di riprovarci.
Poiché la Tunisia è stata miccia per le Primavere arabe anche per Libia e Siria – i cui i risultati sono sotto gli occhi di tutti a causa dei forzati ed interessati interventi occidentali – gli arrivi verso l’Europa si sono intensificati anche da altri Paesi, quindi l’Unione è stata costretta a trovare delle soluzioni.
A fine ottobre 2013 – dopo l’affondamento del barcone con 368 persone a bordo davanti alle coste di Lampedusa (3/10/2013) – entrerà in funzione l’Operazione Mare Nostrum, una vasta missione di salvataggio in mare dei migranti che volevano raggiungere Malta e l’Italia da Tunisia e Libia con le forze della Marina Militare e dell’Aeronautica Militare italiane. A novembre 2014 Mare Nostrum verrà sostituita dall’Operazione Triton di Frontex – Agenzia europea di controllo delle frontiere – che sostituisce la mission del recupero dei natanti stracolmi di persone con la sicurezza dei confini europei; non più un obiettivo strettamente umanitario ma anche militare, che si allarga ad ulteriori rotte migratorie nel Mediterraneo.
Infine, dal 2018 è in funzione l’Operazione Themis,
Dai dati ufficiali, dal 2015 le operazioni comunitarie europee registrano 605.242 vite salvate e 24.478 decessi, nel Mediterraneo e lungo le rotte dell’Africa occidentale. I dati sono aggiornati al settembre 2022. Secondo la Fondazione Ismu – Iniziative e Studi sulla Multietnicità – sulla rotta del Mediterraneo centrale si registra da sempre il più elevato numero di morti e dispersi, pari a 1.088 dal 1° gennaio al 25 settembre 2022 su un totale di 1.473 di tutte le rotte del Mediterraneo; tra questi 60 erano bambini.
Nel febbraio 2017, per ostacolare i flussi migratori, viene siglato un Memorandum d’intesa tra Italia e Libia – firmato dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e dal primo ministro del Governo di Riconciliazione Nazionale libico Fayez al-Sarraj, dopo le trattative portate avanti dal ministro dell’Interno Marco Minniti. Tale accordo è già stato riconfermato due volte dai rispettivi Governi – quelli libici imposti dall’ONU, con l’attuale diviso ancora in due fazioni, dopo un breve tentativo di riunificazione con obiettivo elettorale – l’ultimo di cui rinnovato automaticamente il 2 novembre scorso.
L’accordo tra i due Paesi prevede ufficialmente processi di cooperazione, contrasto all’immigrazione illegale, rafforzamento della sicurezza delle frontiere ed il sostegno alla presunta guardia costiera libica – i cui dirigenti sono personaggi di dubbia fama, come Abdurahman al Milad, il comandante Bija delle milizie di Zuwara – attraverso fondi, mezzi e addestramento militare da parte delle Forze armate italiane.
Che effetto ha avuto e continua ad avere questo “solidale” accordo tra Italia e Libia?
Dal 2017 quasi 100 mila migranti sono stati rintracciati nel Mediterraneo dalla Guardia costiera libica e riportati in un Paese non sicuro, nonostante sia tacitamente considerato (falsamente) tale. La Libia, dopo l’uccisione di Muhammar Gheddafi ad ottobre 2011, è un crogiolo di milizie, mafie e trafficanti di uomini, armi, droga, petrolio.
Arrestati, detenuti, sfruttati, i migranti – principalmente subsahariani – quando entrano in Libia vengono denudati, non solo metaforicamente, di ogni diritto, rinchiusi nei centri di accoglienza/detenzione, ormai conosciuti più popolarmente come lager, dove le persone, uomini, donne e bambini, vengono sottoposti a trattamenti disumani e degradanti, abusati, stuprati, torturati, uccisi.
L’Italia e l’Europa sono complici di questo inganno.
Come possono appellarsi queste modalità di convenienza politica? Possono definirsi neocolonialiste? Certamente includono comportamenti infarciti di razzismo e forte discriminazione, per una forma di schiavitù contemporanea.
Come si costruisce il razzismo?
A parte qualche gruppo di scalmanati di orientamento politico di estrema destra che esplicitamente dichiara i propri sentimenti negativi verso gli stranieri e tutti i “diversi”, la maggioranza delle persone non si esprime con un linguaggio specificatamente razzista. Eppure nel più dei casi, il razzismo e la discriminazione aleggiano ampiamente, e non diretti solo agli stranieri.
Il razzismo è costruito e tracciato sotto la soglia della consapevolezza, e si erige e decostruisce secondo contesto storico e interessi politici. Il razzismo è un discorso istituzionalizzato interessato; le parole usate dal ministro Piantedosi nei confronti dei migranti ‘selezionati e lasciati a bordo’ lo hanno messo meglio in evidenza, snobbando anche alle leggi internazionali del mare e delle Convenzioni sui diritti umani.
Non serve esplicitamente un indirizzo politico di destra per discriminare “il diverso”; nel corso degli anni anche con Governi che si sono autodefiniti di sinistra, gli stranieri nati in Italia sono rimasti senza diritto di cittadinanza italiana; gli accordi con la Libia e la Turchia – e le armi all’Egitto dove i diritti umani sono inesistenti – contro i flussi migratori sono andati avanti siglati dalle decisioni italiane e/o gli accordi comunitari, entro un ente – l’Unione Europea – che si fonderebbe sull’inclusione e la libera circolazione delle persone. Da noi, gli stranieri – con qualche rara eccezione – hanno minori possibilità per un lavoro dignitoso, per l’istruzione, per l’accesso alle cure mediche, ed anche per il diritto alla casa. A nulla vale rivendicare che anche molti Italiani siano nelle stesse condizioni: invece della guerra tra poveri, si potrebbero unire le forze per un miglioramento sociale di tutti.
Il discorso razzista è fatto di piccoli segni che si sommano uno sull’altro, con parole che sul momento possono apparire banali, minuzie di esclusione e indifferenza, a cui tutti si adeguano perché arrivano dall’Alto, dai segni di insofferenza “pubblica” verso lo straniero, il migrante, la donna con il velo, l’omosessuale, il punk e tutte le categorie non omologate al gruppo dominante. Tutto questo sistema induce infingardamente, a far percepire ai singoli di essere impotenti, non responsabili dal poter cambiare qualcosa: un atteggiamento che fa decisamente comodo a tutti.
Sabato, 12 novembre 2022 – n° 46/2022
In copertina: migranti riportati a Zarzis per l’accordo tra Italia e Tunisia del 2011 – Foto: Laura Sestini (tutti i diritti riservati)