Intrighi e furbizie nelle aule del Parlamento
di Ettore Vittorini
Nei recenti giorni di follia che hanno imperversato nelle aule e nei corridoi del Parlamento italiano, mi sono venute in mente le quattro parole che lo scrittore Leonardo Sciascia mise in bocca a uno dei protagonisti del suo romanzo “Il giorno della civetta”. Erano queste: l’umanità è composta da “uomini, mezzi uomini, ominicchi e quaquaraquà “. Ve ne sarebbe una quinta ma la lascio stare per motivi di decenza.
I politici di mercoledì al Senato – uomini e donne, per le quali valgono le stesse parole di Sciascia – sembravano gli attori di uno psicodramma nelle cui menti dominavano più che la politica da bar sport, una condotta caratteriale degna della psicanalisi.
Di uomini ce n’erano pochi e i mezzi uomini erano un po’ di più, mentre gli ominicchi e i quaquaraquà erano tanti. Lo spettacolo assurdo avviato già giorni addietro dal “padre” dei 5Stelle Beppe Grillo, col suo exploit romano – compreso l’annuncio reso pubblico dalla ipotetica telefonata ricevuta da Mario Draghi, nella quale il premier lo avrebbe consigliato di cacciare Giuseppe Conte – si è concluso mercoledì sera con le dimissioni del presidente del Consiglio.
Come è noto, Conte e i pentastellati in Senato non hanno votato la fiducia e lo stesso hanno fatto i due partiti della maggioranza, la Lega e Forza Italia. Draghi, che aveva poco prima pronunciato un discorso accorato e dai toni molto duri, se n’è andato. Non ne poteva più di quell’aula piena di ipocrisia, di intrighi, furbizie, tipiche di una squallida campagna elettorale che già covava.
A palazzo Madama è allora scoppiato il finimondo tra insulti, dimissioni e manifestazioni di gioia. La ministra Mariastella Gelmini annunciava la sua uscita da Forza Italia accusando il Cavaliere di “aver tradito gli italiani e aver passato lo scettro a Salvini”. La seguivano Renato Brunetta e Mara Carfagna.
Rocco Casalino, portavoce di Conte, esultava gridando “Elezioni, elezioni”, mentre il suo capo aveva un’espressione glaciale forse pensando “mamma mia che disastro ho combinato”. Aveva finalmente capito di aver fatto il gioco di Salvini che tramava già da tempo di uscire dal Governo per andare a elezioni anticipate insieme alla Meloni e Berlusconi?
E così è stato: si voterà il 25 settembre. Dopo un breve colloquio tra Sergio Mattarella e Mario Draghi – due uomini – il Presidente della Repubblica, Costituzione alla mano, ha sciolto le Camere con un breve discorso che poi Ugo Zampetti, segretario generale del Quirinale, ha reso pubblico leggendolo attraverso le televisioni. “E’ l’ultima scelta da compiere – ha detto Mattarella – ma la situazione politica che si è determinata ha condotto a questa decisione”. Qualcuno forse si sarebbe aspettato una requisitoria contro le forze politiche responsabili del disastro, ma non sarebbe servita a niente, come è accaduto in passato. Qualsiasi riferimento alla ragione non potrebbe cambiare le menti dei piccoli uomini del populismo.
I membri del PD, di fronte a quello scenario hanno preferito il silenzio – tranne le dichiarazioni di lealtà verso Draghi – dopo aver tentato invano di riportare alla ragione gli “alleati” dei 5Stelle. Adesso da soli dovranno affrontare una breve campagna elettorale contro una destra compatta che, secondo le previsioni, vincerà con la maggioranza assoluta. Forse dovranno trattare con i piccoli partiti del centro. “Deciderà il popolo sovrano” – viene detto – ma conosciamo benissimo quali saranno le sue scelte: la Storia italiana degli ultimi vent’anni ce lo insegna.
A questo punto vale la pena di citare una frase di Antonio Gramsci pronunciata poco prima dell’avvento del fascismo: “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”.
Sabato, 23 luglio 2022 – n°30/2022
In copertina: Mario Draghi alla Camera dei Deputati – Foto: Governo.it – Licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT