La compagnia Marconcini Daddi re-inaugura la Stagione culturale al Teatro De Filippo di Cecina con un reading musicato dedicato alla letteratura Beat.
di Laura Sestini
Disinfettante, mascherine, misurazione della temperatura corporea ed entrate scaglionate hanno cadenzato il flusso degli spettatori che hanno accolto la call – programmata per cinque minuti subito dopo la mezzanotte del 15 giugno – lanciata dall’Assessorato alla Cultura di Cecina, nella persona di Lucia Valori, e dal Direttore Artistico della stagione teatrale, Alessio Pizzech.
Il Teatro De Filippo di Cecina, che accoglie gli spettacoli del circuito di Fondazione Toscana Spettacolo, era stato inaugurato solo il 2 febbraio scorso per il Cartellone 2019/2020 – dopo un’ampia ristrutturazione dell’immobile – e in breve costretto a chiudere nuovamente i battenti per l’arrivo della pandemia. La soddisfazione di ospitare un paio di spettacoli e poi tutto era finito lì.
Ma durante questo periodo di clausura forzata a casa, a causa del Covid-19, Lucia Valori, assessora alla cultura, non aveva mai mancato di rimarcare sui social l’importanza dell’ambito culturale da mantenere vivo – nonostante tutto – convinzione che ha confermato nel suo discorso iniziale, per presentare lo spettacolo di Giovanna Daddi e Dario Marconcini, unitamente al direttore artistico Alessio Pizzech.
<<Nei secoli il teatro ha resistito persino alla tirannia – dice rivolgesi agli spettatori, l’assessora – e non ci saremmo immaginati che lo avrebbe fermato un virus. Noi abbiamo la volontà politica di mettere al centro della vita la cultura, la scuola e l’arte. Nonostante siano stati portati avanti dei percorsi online, il teatro non è – e non può essere – schermo, ma fisicità corporea. Non saranno gli economisti a cambiare il mondo, bensì i cittadini e la cultura: c’è bisogno oltremodo di investire nella cultura e sostenere le compagnie che resistono malgrado tutto. Dedichiamo questa riapertura alla cultura e a tutti i morti di questo periodo, compresi quelli americani di questi giorni – riferendosi a George Floyd e agli altri manifestanti aggrediti dalla polizia statunitense>>.
Alessio Pizzech aggiunge: <<Il teatro è lavoro – non un accessorio – di impegno civile e ne abbiamo qui un esempio, poiché Giovanna Daddi e Dario Marconcini hanno fatto una scelta profonda di teatro etico>>.
Al calar delle luci le note di basso di Andrea Lupi cadenzano un ritmo pacato e profondo creando l’atmosfera giusta per introdurre le vertiginose e destabilizzanti parole degli autori della Beat Generation – termine coniato da Jack Kerouac nel 1948 ma divenuto pubblico attraverso un articolo di C.L.Holmes nel 1952 – movimento letterario coast-to-coast che collegava New York a San Francisco, con le quali Dario Marconcini dà il via alle letture attraverso frasi tratte dall’Urlo di Allen Ginsberg: “Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa, hipsters dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata nel macchinario della notte.”
Più taglienti gli scritti dei newyorkesi, talvolta criptici; più pacati e rivolti alla natura gli autori californiani – tra i quali, molti si convertirono al Buddismo – i due gruppi di intellettuali, senz’altro fuori dai canoni letterari più conosciuti per il solo fatto di dare ampio spazio alle proprie passioni, o dare rilevanza anche alle semplici azioni della vita quotidiana, si nutrivano vicendevolmente di nuove visioni esistenziali che aborrivano – già prima del movimento hippy rivelatosi per molti versi più superficiale e commerciale – la vita impacchettata, incravattata e repubblicana, post Seconda guerra mondiale, del cittadino Usa medio.
Giovanna Daddi, ampia gonna a fiori e piedi scalzi, sembra ricalcare anche nel look estetico i simpatizzanti del movimento Beat, mentre tra le battute ricorda il ‘divieto di bighellonare’ attivato dalle leggi in quel periodo – parole che immaginiamo di Jack Kerouac – “ Per me bighellonare è un modo di vivere aperto al mondo, la meraviglia è la mia vita e nessuno può legiferare il mio essere. Dopo la rivoluzione sotto gli alberi ci sarà del vino”.
Una vita davvero sulla strada, quella di Kerouac, tantoché Sulla strada sarà il titolo del romanzo che decreterà il suo successo di pubblico, nonostante la critica acida del mainstream dell’epoca che tentò in tutti i modi di sminuirne la caratura – e non solo di Kerouac.
Le letture recitate si intrecciano con morbidi blues e accenni jazzati eseguiti – chitarra e voce – da Andrea Lupi, accompagnato dalle percussioni di Valerio Perla in un’atmosfera rarefatta e rilassante, nonostante alcuni testi risultino anche tragici e disperati o allusivi a rivoluzioni vere e proprie.
<<Bum! Bomba! – recita Giovanna Daddi dal poema La bomba di Gregory Corso – tra gli ultimi arrivati nel gruppo di lungocorso dei poeti Beat – Bum! Bomba! Bomba! Bomba! Non avevo previsto come fossero bavosi i baci della democrazia!>>.
Ma cosa volevano dimostrare i Beat? Nel caos del mondo falsificato, quello della facciata pubblicitaria e benpensante degli anni 50/60 propria del boom economico – invece di un mondo che si rifacesse a una vita più semplice e naturale – si ricercavano le emozioni, quelle vere, tangibili, di un perenne presente capace di dare felicità, per sfuggire a una dimensione forzata del sistema sociale che distorceva la vera natura dell’essere umano con regole che aspiravano a una collettività apparentemente perfetta. Attraverso droghe, alcool, visioni, musica o sesso promiscuo si ricercava un’emotività più intensa, un’iperrealtà, più carica e vibrante ma anche estraniante dalla stessa realtà a loro contemporanea che non soddisfaceva le esigenze umane primarie.
Il divieto di bighellonare, percepito con accezione negativa in quanto non vi sarebbe niente di utile da offrire alla società perfetta del consumismo, lo abbiamo visto regolamentato anche in alcune città italiane, in un momento di massima affluenza migratoria, quindi riferito a esseri umani talvolta senza alloggio o relazioni sociali minimali, ai quali era stato vietato di stendersi sulle panchine dei parchi per potersi riposare dalla faticosa vita di strada, non desiderata, ma obbligata da una società disattenta e violenta.
Sarà per questo che Dario Marconcini legge, a conclusione dello spettacolo, le parole di Julian Beck che si appellano alla rivoluzione?
L’iperrealtà i comuni mortali odierni la cercano attraverso complessi software informatici, che la ripropongono in giochi elettronici, magari a scenario bellico: “simulazioni e simulacri che coprono il reale con una patina superficiale, caratteristica della società dell’immagine e dei mass media“, secondo il filosofo francese Jean Baudrillard. I poeti della Beat generation, l’iperrealtà la cercavano sì nelle droghe, ma anche nella contemplazione della natura, come si racconta in Big Sur di Kerouac.
Da quale tra i due esempi appena fatti, consegue una realtà più ecologica e consona alla natura dell’uomo?
Grazie a Giovanna Daddi e a Dario Marconcini per l’esibizione e le tematiche portate in scena.
Grazie al Comune di Cecina per la volontà di riaprire così velocemente il Teatro De Filippo e infine grazie agli spettatori accorsi, che ci sembravano anche loro un po’ straniati da questa nuova realtà post-clausura alla quale ci eravamo bruscamente disabituati.
In copertina: la Locandina dello spettacolo.