Cosa prevede la legge attuale e le nuove proposte – prima parte
di Lucy M. Pole
Questa prima parte dell’articolo analizza le diverse proposte di legge, mentre la seconda parte riguarderà la posizione dei principali partiti italiani e quale è la legislazione sulla cittadinanza in altri Paesi.
Per chiarezza, cerchiamo di indicare le differenze tra la legge attuale, del 1992, e le successive proposte di legge di cui attualmente si dibatte, con riferimento ai principi essenziali, senza esaminare le condizioni precise richieste relative ad ogni proposta.
Chi frequenta la scuola italiana oggi?
Le scuole italiane sono ormai da anni frequentate da una popolazione multietnica, anche se esistono notevoli differenze numeriche tra le Regioni. Secondo gli ultimi dati dell’Ufficio di Statistica del Ministero dell’Istruzione e del Merito, per l’anno scolastico 2022-2023 avevamo 914.860 alunni iscritti, privi della cittadinanza italiana.
Cosa prevede la normativa vigente?
Attualmente in Italia esiste il principio dello ius sanguinis, e cioè la trasmissione della cittadinanza (italiana) da uno o entrambi i genitori ai figli. Il diritto si acquisisce attraverso il sangue. Per chi nasce da genitori non italiani c’è la possibilità della naturalizzazione che, però, è una richiesta che si può fare solo dopo il compimento del diciottesimo anno di età e, se accolta, la procedura burocratica impiega tre o quattro anni.
lo ius soli, l’alternativa
Il principio dello ius soli (dal latino diritto del suolo) prevede che sia cittadino di uno Stato chi nasce all’interno del suo territorio. La cittadinanza, quindi, è legata al luogo di nascita. Negli ultimi anni, con l’aumento dell’immigrazione regolare, diversi Paesi stanno modificando le condizioni dello ius soli, ad esempio, la richiesta che almeno uno dei genitori abbia un permesso di soggiorno da un certo numero di anni.
La proposta: ius scholae
La proposta di legge, passata alla Camera nella scorsa legislatura, prevedeva l’acquisizione della cittadinanza da parte del minore, nato in Italia o arrivato/a entro il 12esimo anno di età, a condizione che abbia frequentato uno ciclo scolastico di almeno cinque anni presso il sistema d’istruzione nazionale. In più, se i cinque anni considerati includono la frequenza della scuola primaria, allora viene richiesto anche il superamento del ciclo di studi con esito positivo.
Questo provvedimento consente di riconoscere diritti e tutele ai minori prima del compimento della maggiore età.
In questi giorni circolano altre proposte di ius scholae che stabiliscono il periodo formativo di almeno 10 anni.
Ius culturae
La proposta di legge sulla cittadinanza approvata dalla Camera nell’ottobre del 2015, prevedeva l’acquisizione della cittadinanza ai minori stranieri nati in Italia, o arrivati da piccoli, che abbiano frequentato regolarmente per almeno cinque anni, uno o più cicli presso istituti scolastici del sistema nazionale o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali, conclusi con la promozione.
Il commento
Dunque, per comprendere a fondo l’importanza di questo provvedimento bisogna considerare cosa significa veramente, al livello psicologico/emozionale, l’essere esclusi (di diritto) dalla cultura dominante nella comunità in cui si sta crescendo. Ciò vuol dire l’esclusione anche dal senso del diritto di appartenenza, dall’orgoglio dei simboli, delle tradizioni, perfino dell’inno nazionale…
La condizione di non essere a tutti gli effetti alla pari con i tuoi coetanei può avere un effetto devastante in un’età così sensibile e vulnerabile dello sviluppo psico-fisico, sull’autostima e sui rapporti interpersonali come sull’immagine di sé in quanto membro di un gruppo bollato come altro.
Questa mancata inclusione formale nel gruppo di riferimento, cioè italiano, può dare vita alla convinzione di una inferiorità di status che potrebbe perdurare molti anni nella vita, compromettendo seriamente anche la realizzazione personale.
Qualcuno teme la cosiddetta sostituzione etnica se si concede la cittadinanza in modo più liberale di quanto avviene oggi. Di fatti, la famosa italianità non è altro che il frutto del crogiuolo di popoli, nazionalità e culture arrivati in Italia da Paesi lontani. Fin dalla notte dei tempi, gli individui si sono sempre spostati da un luogo all’altro in cerca di migliori condizioni di vita, per fuggire a carestie, a guerre, a epidemie, a regimi che li opprimevano, ma anche semplicemente perché si vuole vivere altrove.
Basterebbe fermarci un attimo e riflettere sulla nostra quotidianità: le conoscenze che fanno parte del nostro modo di vivere sono il frutto di quanto altri popoli ci hanno trasmesso (l’alfabeto, i numeri, la matematica, lo studio degli astri, la chimica, la lingua, la musica, la medicina, le piante e i loro frutti…)
Anche la civiltà multiculturale anglosassone ha il beneficio della ricchezza di diverse etnie e religioni a causa dell’immigrazione, nel passato e nel presente, da ogni parte del globo. Bene o male, volente o nolente, la nostra società sta diventando una comunità interculturale, come pure succede nel resto dell’Europa. In base a quale diritto si pretende ora di poter chiudere la porta in faccia al popolo migrante dei nostri giorni, di cui, fra l’altro, le nostre società hanno bisogno per sopravvivere?
Quindi, come ci esorta il Papa, costruiamo ponti, accogliamo le novità con il cuore aperto, partecipiamo all’integrazione a tutti i livelli. Riconoscere l’appartenenza a chi già fa parte della nostra società, iniziando dalla scuola di ogni ordine e grado, è soprattutto nell’interesse nazionale, per il beneficio di tutti.
sABATO, 5 ottobre 2024 – Anno IV – n°40/2024
In copertina: passaporti della Repubblica Italiana nella versione digitale – Foto: Ministero dell’Interno