martedì, Dicembre 03, 2024

Società

La morte è un dramma o un tabù?

Passato e presente dei comportamenti sociali

di Nancy Drew

La morte è un evento naturale del ciclo della vita, non si può evitare. Nello scorrere del tempo si è allontanata dall’evento della nascita, con un guadagno della vita di un arco temporale molto più ampio, a causa del miglioramento delle condizioni esistenziali oggettive degli esseri umani, almeno in una parte del mondo, ma non ovunque, che mostrano aspettative di vita molto maggiori anche rispetto a soli pochi decenni anni fa.

Gli esseri umani non amano parlare della morte, ma gli eventi drammatici degli ultimi anni, pandemia, guerra in Ucraina e la imcombente crisi climatica hanno spinto a riflettere maggiormente su questa tematica, dramma e tabù, che tutti quanti temiamo.

Nei secoli, anche se gli ultimi attimi di vita sono rimasti immutati, l’evento del trapasso, al contrario è stato trattato socialmente in maniere differenti, che si differenziavano anche nei rituali rispetto ai contesti geografici, per esempio tra Nord e Sud italia.

Ancora solo qualche decennio fa, il proprio lutto era uso comune manifestarlo esteriormente, con abiti di colore nero per le donne, accopagnato da foulard in testa dello stesso colore, ma solo da un bottone nero al taschino della giacca per gli uomini. Donne che durante la Seconda guerra erano diventate vedove, e poi avevano avuto altri lutti nella vita, spesso trascorrevano la loro esistenza eternamente coperte di nero. Il lutto – in Italia – era soprattutto un processo intimo ed esteriore quasi totalmente al femminile.

Nel passato si vedevano più morti anche in giovane età, ma si parlava meno della morte, qualcosa che impressionava e allo stesso tempo aveva qualcosa di sacro, dove Dio poneva la sua mano.

Da tempi più recenti, succede quasi il contrario. La morte è divenuta spettacolo, il defunto appare sui social, come se fosse ancora in vita, e spesso la famiglia lascia attivo il profilo della persona scomparsa, una piazza di narcisismo digitale, dove molti postano foto con il defunto, con l’illusione di mantenere la memoria della persona scomparsa per l’eternità. Amici e parenti ogni tanto pubblicano dei post, declinando e forse posticipando il lutto. Sì, perché, anche se sembra tutto più facile sui social, in realtà l’elaborazione del lutto sarebbe un processo salutare per tutte le persone più care al morto, adulti e piccini.

L’eccesso di virtualità, anche televisiva, ci fa perdere il senso di compassione, anestetizzando i sentimenti.

Salutare la salma con il rito funebre, invece che sui social, soprattutto per i giovani, porta a dare concretezza a ciò che è successo, anche attraverso la visione delle persone che vi partecipano, che daranno senso all’assenza di quella persona, nonostante ci sia percezione che ancora sia con noi.

In alcune famiglie vige la congiura del silenzio sui cari in punto di morte, non se ne parla con il protagonista. Eppure, dicono gli esperti, chi è vicino al trapasso è consapevole dal punto di vista corporeo della propria malattia e della prossima dipartita. Parlare con il moribondo è migliore che il silenzio, che genera più solitudine della paura stessa della morte.

Tornando ai giovani e i bambini, non tutti i genitori sono in grado di parlare con i figli che il nonno sta lasciando la vita. Ma i ragazzi andrebbero informati di cosa sta succedendo per renderli consapevoli, un’azione utile per la loro crescita e la loro vita. Un regalo da fare ai propri figli, per capire anche l’importanza di come vivere, con linguaggio adeguato all’età, anticipando che la perdita del nonno potrà procurare dolore e, quindi, piangere o percepire sofferenza non deve stupire e non se ne deve avere paura. Per genitori che non si sentono all’altezza di iniziare i figli al lutto, ci sono organizzazioni che offrono supporto alle famiglie o ai cari del morente.

Anche trattare il moribondo con consapevolezza e sensibilità, per non ledere la sua dignità, è un fatto da tenere di conto. Talvolta, prima di giungere in punto di morte, una persona malata può vivere un periodo di agonia, anch’essa parte del processo di morte, che potrebbe scegliere come passare, forse avendo vicini i nipoti, o i figli.

Nei secoli scorsi si faceva fatica a parlare della morte dei Papi, sistema che fu poi cambiato da Giovanni Paolo II – il cui pontificato durò a lungo ma ebbe molte malattie e subì anche un attentato – istituendo la prima sala stampa vaticana, guidata da Joaquín Navarro-Valls dal 1984 al 2017. Alla sua scomparsa, il funerale pubblico di Papa Wojtyla alla basilica di San Pietro portò centinaia di migliaia di fedeli in coda per vedere la bara pochi secondi.

In tempi non troppo passati, da Nord a Sud Italia, i padri accompagnavano i figli ai cimiteri per prendere coscienza della relazione con la morte e i parenti più anziani, un capitale sociale intergenerazionale. In questo rito di iniziazione, di “passeggiate” al cimitero, i credenti risultano la maggioranza.

La spiritualità, non in senso religioso, è un tema vitale, anche se ci fa riflettere sulla fine che farà il nostro corpo, invece la fede religiosa, se è solo rituale non serve a molto. Solo se è autentica può dare un qualche conforto, ed è necessario essere coerenti e sinceri con i bambini, evitando narrazioni surreali. La religiosità è il fattore che influenza più di tutto i comportamenti, usi e costumi anche dei non credenti. La religiosità in Italia è molto forte, si eguaglia alla Polonia. Chi crede in Dio è più del 70% degli Italiani, che anche credono nell’aldilà.

La ritualità della morte viene influenzata, sui più giovani, anche tramite i videogiochi, dove con una partita si può anche morire cinque o sei volte, quindi un evento di poco conto. Soprattutto le ragazze si tatuano date o nomi dei defunti più cari. I tatuaggi come segno di lutto sono interessanti, potrebbero sembrare una manifestazione esteriore del lutto, come ai tempi delle donne sempre vestite di nero, ma non è proprio così, sostengono sociologi e psicologi. Il tatuaggio fa parte del corpo, dell’intimità della persona, quindi un sentimento che riguarda solo chi si tatua.

Ci sono adulti, invece, che non riescono a confrontarsi con la morte, spesso a causa di traumi subiti in età giovanili. Ciò non dovrebbe essere tralasciato al caso.

Nei tempi contemporanei, globalizzati e veloci, dove non c’è più un modello di riferimento per il lutto, è la persona che decide come elaborare il dolore e come agire di conseguenza, con la propria sensibilità, nel rispetto del defunto.

Sabato, 10 giugno 2023 – n°23/2023

In copertina: foto di Vlanka /Pixabay

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