lunedì, Dicembre 23, 2024

Lifestyle, Salute, Società

La pratica del Reiki

Una disciplina di crescita personale

di Laura Sestini

Da una decina di anni – e anche un po’ di più – tra le pratiche orientali di ‘miglioramento’ personale è giunto in Europa il Reiki, una pratica che si può definire di ricerca di illuminazione spirituale. Certo, l’Oriente è l’area terrestre da dove sono maggiormente pervenute le numerose discipline di meditazione, crescita personale, di benessere del corpo o del controllo della mente, che abbiamo a disposizione. Potremmo citare lo Yoga – senz’altro tra le più famose – ed anche le arti marziali sono pratiche di disciplina quotidiana con lo scopo ultimo di migliorare di se stessi – una vera filosofia di vita.

Di Reiki, ne sentiamo parlare, troviamo pubblicità di corsi per impararlo, ma solo coloro che lo praticano sanno di cosa si tratta effettivamente. Da profani curiosi, abbiamo concluso che il fatto di non saperne quasi nulla poteva essere una buona occasione per andare alla scoperta di questa disciplina, interpellando un esperto in materia, docente Reiki.

Quando nasce il Reiki? E dove?

Graziano Scarascia: – “Il Reiki nasce in Giappone attraverso una persona che si chiama Mikao Usui, ritenuta l’iniziatore. In seguito, però, due grandi Maestri di ‘guarigione Reiki’ – attraverso approfondimenti e studi – hanno accertato che anche prima che Usui sviluppasse il suo stile, almeno altri quattro ve ne erano già nel Paese asiatico.

Usui, durante gli anni della sua ricerca spirituale, pratica la meditazione Zazen ma non è soddisfatto, quindi – dopo molti tentativi – si rivolge al suo Maestro (sensei in giapponese) che gli indica la montagna Kurama Yama – un luogo considerato idoneo alle esperienze spirituali – e il concetto di ‘essere pronto a morire’. Il consiglio del maestro scuote la coscienza di Usui, il quale inizia a porsi delle domande sull’essere disposto a sottoporsi a questa importante prova. Infine, dopo una serie giorni di meditazione e digiuno, esausto, sviene. Al risveglio, al contrario, sente una grande energia, deducendo di aver raggiunto la tanto ricercata illuminazione (satori in giapponese), realizzando Reiki, ovvero ‘l‘energia vitale universale’ (rei/energia universale – ki/energia personale). La combinazione delle due energie – universale e personale – forma il concetto di Reiki. Usui va sul monte Kurama nel 1922, ma già antecedentemente – nel 1914 – il terapista Matiji Kawakami, fonda il suo stile dandogli il nome di Reiki Ryoho, e nel 1919 questi scriverà un libro dal titolo ’Il Reiki e i suoi effetti’.

Nello stesso periodo anche altri stili di Reiki erano usati, mentre Usui crea anch’egli il suo, aggiungendo solo il suo nome davanti a Reiki Ryoho, per farlo riconoscere dagli altri insegnamenti.

Usui Reiki Ryoho è lo stile che poi diventerà famoso nel mondo, grazie a Hawaya Takata, una signora giapponese che risiede alle Hawaii. Ammalatasi gravemente, la donna decide di tornare in Giappone dai genitori. Qui incontra il Reiki, attraverso il quale compie un percorso di guarigione e in seguito a ciò, per gratitudine, decide di diffonderlo alle Hawaii; partendo dall’arcipelago statunitense si è diffuso poi in tutto il mondo. La stessa signora Takata diventerà famosa fuori dal Giappone, Paese dove molti ancora non conoscono questa ‘disciplina di guarigione’.

Il Reiki si può definire una disciplina di che tipo?

G.S.: – “Il Reiki è esattamente una disciplina di crescita personale e spirituale. Questo è l’origine e anche il senso che anche Usui ha donato a questa disciplina. In seguito, quando Usui insegnava il Reiki, era come un coach che aiutava le persone a crescere e creare i presupposti per vivere una vita felice. Tantoché lui stesso definisce il Reiki come l’arte segreta per attirare a sé la felicita e la fortuna, la medicina miracolosa per tanti mali. Perché? Lui sosteneva che se lo spirito è radicato nella verità, allora il corpo prospera. Quindi aveva una visione olistica: lo spirito deve albergare nella verità, ovvero che la mente si deve dis-identificare con tutte quelle parti di sé che non sono vere, per arrivare al sé autentico. Il corpo a questo punto segue lo spirito e prospera. Quindi insegnava dando delle indicazioni: ‘Prima cura te stesso e crea dei presupposti per una vita felice e gioiosa, curando i tuoi affari e prosperando nella vita. Quando hai raggiunto questo stato, anche la salute migliorerà. Quando hai trovato la tua ‘armonia’ insegnala agli altri, ai tuoi cari. Dopo famiglia e amici porta il tuo insegnamento nella società e alla nazione”. Il Reiki è una disciplina che va coltivata nel tempo, non può essere un corso che inizia e finisce, bensì un percorso, qualcosa da coltivare come una pianta, a cui ogni giorno dai acqua, sole e amore affinché si possano avere dei frutti.

Usui stabilisce come mezzo per raggiungere stato di felicità cinque precetti: solo per oggi non ti arrabbiare, solo per oggi non ti preoccupare, solo per oggi sii grato, solo per oggi lavora onestamente e diligentemente su di te, solo per oggi sii gentile e compassionevole. In pratica indica di portare la mente all’attenzione del ‘qui ed ora’, nel presente-oggi-adesso – unica misura di tempo spendibile, osservando le proprie emozioni e non identificandosi con esse, facendole permanere con se stessi il meno possibile. Osserva la tua rabbia, ma poi lasciala andare. Idem vale per la preoccupazione – emozione legata alla paura del domani. Se vivi qui ed ora, il domani non ha potere su di te. La gratitudine è ciò di cui godi adesso, nel presente. E poi sii onesto con te stesso, spogliati delle sovrastrutture e delle maschere. Smussa gli angoli e migliora te stesso, adesso, non domani. Poi affronta la gentilezza, quel sentimento che emerge quando non ci sono più attriti ed arroganza, né egoismo. Questa la ricetta di Usui, per la ricerca della felicità, della gioia e della fortuna”.

E’ una pratica terapeutica il Reiki? Psicologica o corporea, o entrambe?

G.S.: – “Usui non va sulla montagna per cercare una pratica terapeutica, bensì per cercare l’illuminazione. Solo dopo che ha scoperto Reiki – l’energia vitale universale – scopre che questa ha anche ha effetti terapeutici. Lui inizia anche a usare questa energia, infatti nella stele commemorativa si fa riferimento alle tante persone che lui aiutò dopo il terremoto di Tokyo del 1923 – che distrusse la città. In realtà lui non riusciva a ben comprendere come funzionasse questa energia e quando nella sua Scuola arrivò un medico chirurgo della Marina militare giapponese – Fujiro Aiashi, suo ultimo allievo prima di morire – fondò con lui la scuola di Reiki che ancora oggi esiste in Giappone: l’Usui Reiki Ryoho Gakkai. Il medico viene incaricato di creare una scuola di ricerca per capire meglio la capacità terapeutica del Reiki. Fujiro Aiashi quindi istituisce una sorta di protocollo, un manuale per tutte le patologie e una serie di altri cambiamenti, come far distendere il paziente, invece di trattarlo da seduto; ed anche un trattamento di più persone contemporaneamente – diversamente da ciò fatto fino a quel momento – ovvero un terapeuta singolo per ogni persona. Un vero progresso ci fu sullo sviluppo delle capacità psichico- sensoriali dei praticanti, che dovevano essere affinate – fin dal primo livello – per comprendere i campi bioenergetici del paziente. Lo studente poteva passare al livello superiore di studio solo quando aveva imparato a fare una buona diagnosi. Nel secondo livello rientrava anche l’uso di alcuni mantra, che dovevano agevolare il praticante a raggiungere livelli superiori di consapevolezza e attenzione, attraverso le mani, per potersi connettere meglio all’energia Reiki e quindi trasferire un modello armonico al paziente, il quale a questo si poteva allineare. In Occidente invece la parte diagnostica è stata completamente tolta e anche depotenziato il Reiki. La signora Takata adattò il Reiki agli americani – che dopo la II° Guerra mondiale non si fidavano dei giapponesi – con l’aiuto di Chūjirō Hayashi – tramutando il fondatore Usui in un monaco cristiano e creandogli attorno tutta una mitologia da far credere agli studenti. Inoltre anche il lungo percorso giapponese di studio fu riadattato a una società molto più veloce e moderna, quale erano gli Stati Uniti, già allora. La Takata semplifica all’estremo il Reiki, anche deresponsabilizzando gli studenti dal passare l’energia ai pazienti in maniera volontaria, ma sostenendo che loro fungessero solo da tramite”.

Il Reiki quindi prende piede – alla fine degli anni ’60 – grazie anche allo Yoga che era entrato in voga in Occidente. La Takata fu molto brava a cavalcare quella moda per divulgare il Reiki che, con lei e Hayashi, si evolve anche come pratica terapeutica”

In che modo il Reiki interagisce nel corpo/mente dell’essere umano?

G.S.: – “Il lavoro spirituale su di sé, con i cinque precetti di Usui, fa allineare anche il corpo. Trovare l’armonizzazione di tutti gli elementi corporei e psichici, che poi si riuniscono in uno unico”.

Che benefici – se così si possono definire – può procurare il Reiki alle persone?

G.S.: – “Il beneficio maggiore non è diventare operatore Reiki e guarire gli altri, bensì diventare consapevoli delle proprie potenzialità, ed entrare maggiormente in contatto con la parte più vera di se stessi; ovvero il lavoro su se stessi per riappropriarsi del proprio potere personale. Il grande termine ultimo della disciplina Reiki è il Dai-Ko Myo – Grande luce splendente – che fa riferimento alla parte di noi più pura, ma che abbiamo abbondantemente stratificato, identificandoci con parti che non sono nostre. Il Reiki fondamentalmente porta a destrutturarsi”.

Per ottenere dei benefici come si delinea il percorso attraverso il Reiki?

G.S.: – “Il Reiki non può avere un inizio e una fine, racchiuso in un corso, è una disciplina e non finisce mai. È un percorso costante di sviluppo su di sé. In Occidente poi è stato un po’ distorto il meccanismo e il significato di ‘iniziazione’ travisato con ‘attivazione’. Non c’è da attivare niente, ognuno è portatore di energia, altrimenti sarebbe morto. Si specula facendo credere che si devono attivare i ‘canali energetici’, ma non è vero, altrimenti sarebbe un dogma come nelle religioni: il battesimo, la comunione, ecc., che dovrebbero determinare passaggi di livello nella fede. Invece, proprio Usui sostiene che tutti siamo Reiki, nessuno escluso. Nel caso degli operatori più esperti, questi possono passare una energia più forte ai propri studenti, una sorta di benedizione – Rei-Ju – che aiuta a rendere più forte il Reiki nell’altro. Quindi un percorso, non un corso.

Come agisce l’operatore Reiki con la persona che richiede una seduta? Ovvero come si trasmette l’energia tra operatore e utente?

G.S.: – “E’ un sistema bioenergetico per cui la trasmissione dell’energia Reiki può avvenire attraverso le mani, gli occhi, il soffio e addirittura a distanza. Nella vita talvolta succedono eventi che creano squilibrio, e il nostro naturale modello bioenergetico si sfalda, portando degli effetti non solo psichici, ma che si riflettono anche sul corpo – chiamiamole rigidità – fino a diventare delle patologie. L’operatore Reiki professionale crea una relazione di aiuto con il paziente. Se per curare il corpo c’è il medico, per la psiche lo psicologo, infine per curare lo spirito dovremmo andare dal prete? Attraverso la diagnosi bioenergetica, l’operatore può risalire anche alle cause dello ‘shock’. In realtà l’operatore fa da tramite, per far riallineare ‘l’anima’ ad uno stato di armonia. L’operatore è come il silenzio nella sala concerto o il buio al cinema. Quell’elemento che c’è ma che non vedi. Se però non ci fosse, non potresti godere della musica o del film. Questa è la funzione dell’operatore, che non è l’attore principale ma aiuta l’altro a ritrovare la propria dimensione di armonia e di equilibrio. Tutto questo richiede molta esperienza e pratica, per rimanere imparziale sulla vita degli altri”.

E’ difficile diventare operatore Reiki: ci vogliono capacità personali prima dello studio? Oppure si può imparare come la matematica?

G.S.: – “Chiunque può intraprendere questo percorso, anche se qualcuno può avere doti personali più spiccate. Si acquisiscono delle competenze, e molto importante è seguire percorsi di qualità, fatti con persone competenti, al fine di imparare qualche cosa. Non si può pensare che in un weekend si possa diventare operatore/guaritore Reiki. Venendo a mancare la qualità nei corsi anche il Reiki si sta impoverendo e degradando. Io sono stato un pioniere nell’insegnamento di taglio professionale, ritenendo che non potesse essere diversamente. I corsi durano almeno un anno per ogni livello. Ad oggi un operatore Reiki per avere un percorso di qualità, la Regione Lombardia stabilisce che servono 300 ore, in pratica un biennio. Con l’esperienza fatta, ho trasferito la stessa modalità ad altre discipline bionaturali, che ritengo possano dare un grande aiuto alla società, se però applicate con un metodo più professionale.”

Graziano Scarascia è dottore in Psicologia Clinica, Responsabile Nazionale DSTO AICS, Professional Executive & Life Coach,  ICF Counselor sistemico relazionale e docente Reiki.

Sabato, 26 giugno 2021 – n° 22/2021

In copertina: Mikao Usui Sensei

Condividi su: