Per l’annata in corso si prevedono cali del 30-40 per cento
di Laura Sestini
Chi sono i maggiori paesi produttori di olio di oliva al mondo?
La risposta è piuttosto prevedibile, poiché l’olio di oliva è il condimento principale della cosiddetta dieta mediterranea; infatti, a conferma di quanto appena sostenuto, i principali produttori mondiali di olio di oliva sono i Paesi dell’area mediterranea, la cui regina indiscussa risulta la Spagna, paese che produce oltre il 40 per cento della produzione globale.
A seguire, in classifica troviamo Italia, Grecia, Turchia, Tunisia, Marocco, Portogallo e Siria. La produzione di questi paesi rappresenta circa l’80% della produzione mondiale.
La campagna produttiva 2023/24 subirà un freno a livello mondiale a causa della siccità di cui in particolare hanno sofferto proprio i principali paesi produttori mediterranei, e per le criticità di allegagione delle drupe durante la primavera, danneggiata dalle condizioni climatiche, ovvero la fase in cui i fiori fecondati iniziano a trasformarsi in piccoli frutti.
Le associazioni di categoria prevedono una diminuzione della normale produttività annuale che oscillerà tra il 27 e il 42 per cento in meno, con una situazione piuttosto disomogenea a livello italiano, dove in generale risulterà una produzione del 60% rispetto a una annata di carica.
A causa della minore produzione, la diminuzione delle scorte e l’inflazione, il prezzo al litro dell’olio di oliva per il consumatore finale salirà di una percentuale ancora non prevedibile.
Già la campagna 2022-23 aveva visto ridurre le scorte europee, la cui produzione negli ultimi cinque anni è calata del 35 per cento, mentre l’intera produzione mondiale aveva registrato un calo del 26% rispetto a quella precedente, per un ammontare complessivo di 2.505.000 tonnellate di olio d’oliva. Nel 2022-23 la Spagna aveva sofferto più di tutte le nazioni il calo produttivo.
L’Italia risulta il primo paese consumatore di olio al mondo, ma anche il primo importatore, perché la produzione, considerando anche l’export, e una produzione costantemente in calo, a causa sì dei fattori climatici, ma anche altre problematiche economiche e strutturali del settore, non riesce a sopperire al consumo interno.
Negli ultimi anni la Turchia si contende il quarto posto nella classica produttiva con la Tunisia (fonti di settore), mentre il presidente turco Erdoğan ha autoproclamato la Turchia come il secondo produttore mondiale (fonte AGI 13/10/2023), i cui dati sono in contrasto con quelli da lui riportati.
Se è vero che ogni anno le produzioni oscillano da paese a paese a causa di molte variabili, la stima delle classifiche produttive è verificata a lungo termine, quindi la Turchia non può aver superato l’Italia, secondo paese produttore al mondo, in così breve tempo, a meno che non si parli di una produzione annua specifica, che non è mai un numero assoluto.
Nella stessa notizia il presidente turco denuncia che i militari del suo esercito sono intenti a proteggere 12 milioni di ulivi dai furti degli alberi stessi che, secondo le informazioni fornite dalla Turchia, verrebbero perpetrati nelle zone tra Edremit e Balikesir, località dell’entroterra turco lungo la costa egea dove si affaccia la tristemente famosa isola greca di Lesbo.
Chi ruberà quindi gli ulivi alla Turchia, che ha fatto salire il numero di alberi di ulivo nel Paese dai 90 milioni del 2002 ai 192 milioni attuali e avrebbe quindi portato il paese anatolico a scalare il secondo posto al mondo per produzione?
Potrebbero essere gli isolani di Lesbo? Addirittura i migranti dei campi profughi ormai divenuti stanziali nell’isola?
Il furto degli ulivi è un fatto curioso, ancor di più il furto delle olive già raccolte, che naturalmente sono più facili da trasportare. E qui, sorgono ovvie alcune suggestioni: difficile sradicare di soppiatto gli ulivi adulti, per il lavoro da svolgere e per le difficoltà di trasporto. Oltretutto sono di non facile reimpianto. Gli alberi che vengono sottratti potrebbero essere quelli giovani giovani da poco messi a dimora – dei tanti milioni di unità di cui informa personalmente Erdoğan – che si possono portare facilmente in spalla per il loro esiguo peso e spazio occupato, anche una decina per volta. Sono unità che spesso ancora non producono le olive o talmente poche che stanno nel palmo di una mano. Quindi i furti di quei giovani ulivi non inciderebbero neanche in maniera massiccia, in negativo, sulle tonnellate della produzione olearia turca, nonostante la perdita della matrice.
Con pazienza dovremo attendere altri dettagli dall’investigazione sui furti degli ulivi turchi, per comprendere meglio.
Una similare situazione, però accade ai confini della Turchia con la Siria di Nord-Est, quella a maggioranza curda, dove da anni i contadini e le famiglie locali denunciano i furti dei raccolti di olive e di ulivi che più facilmente vengono dati alle fiamme, proprio per distruggerli, non trapiantarli da altre parti. Saranno della stessa banda i ladri?
In realtà, sugli episodi in terra curda non c’è più bisogno di investigare, i colpevoli sono sempre gli stessi, recidivi e senza andare incontro a condanna alcuna, con ordini ad hoc, mirati a violentare la democrazia dal basso istituita dal Confederalismo Democratico della maggioranza curda locale.
I miliziani islamisti sostenuti dalla Turchia compiono gli scempi negli uliveti, e i furti del raccolto, come strategia di guerra (tale e quale ai coloni israeliani sui Palestinesi), laddove la raccolta delle olive e la relativa produzione di olio può essere l’unico sostegno economico di una famiglia di contadini. Destabilizzare la popolazione per indebolire la democrazia sono gli obiettivi finali della Turchia nei confronti dei Curdi.
Sabato, 14 ottobre 2023 – n°41/2023
In copertina: Foto di Karabo_Spain/Pixabay