Benvivere: rivoluzione personale e cambiamento sociale
di Giuseppe Gallelli
“Sulle Ande, il popolo Indios ha coniato il termine buenvivir – benvivere – a indicare una concezione economica e filosofica basata sulla convinzione che la buona vita non dipenda tanto dalla ricchezza quanto dalla fecondità della natura, da ritmi di vita sereni, dall’appagamento affettivo, dal sostegno comunitario; che la buona vita si costruisca con saldi vincoli comunitari e un forte rispetto per l’ambiente; che solo in presenza di armonia con se stessi, con gli altri e con la natura esista vero benessere”.
E noi, cittadini dell’Occidente, impregnati di cultura neoliberista e di ideologia della crescita, quale strada dobbiamo percorrere per costruire una società del tutto nuova, in cui l’economia sia valutata per il grado di equità, sostenibilità e felicità assicurato ai propri cittadini?
Gli autori di La società del benessere comune – Francesco Gesualdi e Gianluca Ferrara – chiariscono, subito, nell’introduzione, le motivazioni per cui hanno scritto il loro libro, dando istruzioni per la costruzione della società del benessere comune.
Iniziano esaminando le politiche liberali del secolo scorso e, dal “trentennio glorioso” delle successive politiche keynesiane attuate dopo il crollo economico del 1929, arrivano fino alla controrivoluzione neoliberale, che dopo il 1989 ha debordato anche nei Paesi dell’Est Europa e poi in tutto il pianeta.
Oggi – scrivono – siamo a un bivio, ci troviamo di fronte non solo al neoliberismo ma a politiche imperialiste che hanno prodotto e stanno producendo guerre per accaparrarsi risorse per effetto del mito della società della crescita.
Questo paradigma non ha più futuro, secondo gli autori, sia per i danni ambientali, economici e sociali prodotti, che per la negazione dei diritti.
Da un lato crisi economiche, crisi climatica con desertificazioni, inondazioni, alluvioni, eccetera; dall’altro, negazione di diritti a beni primari come l’abitazione, l’istruzione, il lavoro, il cibo, la sanità, un salario equo, e ai privati cittadini non è permesso di gestire né la moneta, né l’energia, né i beni comuni e nemmeno l’acqua, dato che è stata privatizzata.
“Poche lobby, attraverso una colonizzazione culturale, veicolata da massmedia di loro proprietà, si sono impossessate di tutti i settori vitali che invece devono essere gestiti dalle comunità” e miliardi di dollari sono investiti in armamenti e guerre.
E’ necessario – a loro parere – realizzare un altro modello socioeconomico, la società del benessere comune, ricostruendo “pilastri etici, come solidarietà e fratellanza, a prescindere dalla razza, dal genere e dalla religione. La vera sfida da vincere, scrivono, è culturale, prima che economica”.
Vanno rinsaldati quei legami sociali recisi con diabolica precisione al fine di separare i cittadini per trasformarli in consumatori solitari.
Per secoli le società umane sono state caratterizzata da pratiche come il dono, lo scambio, l’autoproduzione e questa nuova società mercantile ha sradicato queste economie di sussistenza, soprattutto in Africa e India e in altri Paesi del sud del mondo, in cui le multinazionali “hanno depredato territori e stravolto tradizioni che per secoli si sono tramandate”.
La maggior parte dei cittadini, oggi, essendo state eliminate queste tradizionali pratiche che, da sempre, hanno mediato i rapporti umani, “è succube del salario” per la cui mancanza “si è condannati all’oblio sociale. Un oblio voluto, perché una maggiore offerta di manodopera di cui disporre equivale a salari più bassi”.
Il neoliberismo ha depotenziato il ruolo degli Stati che non sono più in grado di produrre occupazione con lavori strutturali per un sistema economico e nemmeno con lavori socialmente utili, sia per esempio, nella protezione del territorio dal dissesto degli eventi climatici, che nel settore antisismico, nella coibentazione degli edifici e nel produrre energia elettrica da fonti rinnovabili, per sostituire petrolio e gas, e propone il mito della crescita economica e del PIL che non sono sinonimo di occupazione, a causa della delocalizzazione della produzione e dell’automazione, e quindi generatrice di crescenti conflitti sociali e sempre nuove guerre per distruggere e ricostruire infrastrutture.
Oggi si muore per mancanza di lavoro, o per troppe ore di lavoro, o per mancanza di sicurezza sui posti di lavoro; trionfa l’insicurezza e l’infelicità perché “a prevalere non sono i propri sogni ma i bisogni indotti”.
Nella società auspicata da Gesualdi e Ferrara, la società del benessere comune, sono garantiti a tutti gli stessi diritti, non si è schiavi del binomio produzione-consumo e il tempo da dedicare alle relazioni è più prezioso.
Nel loro libro, infatti, propongono un’idea alternativa di società, partendo da nuovi modi di concepire il lavoro e il consumo e “soffermando l’attenzione sull’importanza di capire cosa va prodotto e cosa può essere oggetto delle logiche del mercato, che può mediare i bisogni e non i diritti fondamentali cui fa riferimento la nostra Costituzione”.
Propongono un nuovo modello economico-sociale “un’economia che viene valutata non solo per la quantità di produzione raggiunta, ma anche per il grado di equità, sostenibilità e felicità assicurato ai propri cittadini”, perché si ha vero benessere solo se tutte le dimensioni del vivere umano sono sviluppate in modo armonico.
“Il benvivere è una situazione in cui sono garantite varie condizioni – scrivono – che attengono a più piani: dei diritti, della qualità della vita e dell’ambiente. Alimentazione, acqua, alloggio, lavoro, salute, istruzione, ma anche inclusione sociale, libertà politiche e libertà religiosa, sono alcuni diritti imprescindibili del benvivere che chiamano in causa la sfera economica, sociale e politica”.
Distanze, tempi di lavoro e di svago, architettura e dimensioni urbane, forme dell’abitare, disponibilità di verde e servizi, opportunità di aggregazione sociale e politica, sono alcuni aspetti organizzativi che determinano la qualità della vita.
Infine la qualità dell’aria e dell’acqua, lo stato di salute dei mari e dei fiumi, e la stabilità del clima. La buona vita non dipende tanto dalla disponibilità di risorse, quanto dalle formule organizzative.
“Per benvivere in città – scrivono – servono centri storici chiusi al traffico, verde, piste ciclabili, trasporti pubblici adeguati, piccoli negozi sparsi, punti di aggregazione”.
Per benabitare servono piccoli condomini con spazi e servizi comuni che favoriscono l’incontro.
Per benlavorare servono piccole attività diffuse sul territorio, per evitare il pendolarismo e favorire la partecipazione.
Per benrelazionarsi servono tempi di lavoro ridotti, pause e tranquillità economica, per favorire il dialogo e la distensione familiare.
Tutto questo, però, richiede scelte politiche solidali, culturali ed etiche.
E’ indispensabile, per questa nuova rotta, costruire un’economia di comunità, cioè una comunità che diviene imprenditrice di se stessa.
Questo libro è un interessante e valido manuale operativo per costruire una autentica società in cui il benessere sia circolare e comune, un modello di società in cui prevalga il buovivere, che chiama in causa sia la sfera economica, che quella sociale e politica e può realizzarsi solo con l’impegno partecipativo di tutti.
In nota, a piè pagina, una vasta e interessante bibliografia.
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Sabato, 1 giugno 2024 – Anno IV – n°22/2024
In copertina: immagine di Gerd Altmann/Pixabay