Un appello alla politica per le 48 vittime di femminicidio nel 2021
di Laura Sestini
Rispetto agli anni precedenti, l’anno 2021 ha visto vittime di femminicidio un numero inferiore di donne, risultando 48 casi al 15 settembre, con l’omicidio di Alessandra Zorzin – 21enne madre di un bambino di due anni – a Montecchio Maggiore in provincia di Vicenza. Uccisa con un colpo di pistola nella sua abitazione da Marco Turrin – 38enne di Padova – l’autore del delitto, di cui non si conoscono nei dettagli i legami di conoscenza con la giovane donna, dopo alcune ore di fuga si è suicidato con la stessa arma, alla vista delle forze dell’ordine. Secondo quanto pubblicato dal Viminale, sono 81 le donne uccise dall’inizio dell’anno, ma sul numero non si distinguono i femminicidi dai delitti di altro genere.
Due giorni prima – il 13 settembre – ad Agnosine, un piccolo centro del bresciano viene assassinata Giuseppina Di Luca. La donna muore – dopo un’ora di tentata rianimazione dei soccorritori – per accoltellamento compiuto dall’ex marito Paolo Vecchia, da cui si era da poco separata. Il fatto è accaduto sulle scale dell’appartamento dove la donna si era trasferita.
Dopo poche ore, nello stesso giorno, in area geografica opposta della penisola italiana si compie l’assassinio di Sonia Lattari per accoltellamento da parte del marito Giuseppe Servidio. Entrambi 42enni, l’omicida si è subito dopo costituito alle forze dell’ordine. Il crimine è avvenuto in un piccolo comune della provincia di Cosenza entro le mura domestiche della coppia.
Dal 5 al 10 settembre – da Bardolino a Bronte, passando per Vicenza e la Sardegna – si erano appena compiuti quattro femminicidi di donne tra i 27 e i 60 anni – ugualmente per mano di mariti o ex-compagni. Una strage senza fine.
Ad oggi, nel 2021 – mancano ancora oltre 100 giorni alla fine dell’anno – la media è di un femminicidio ogni cinque giorni, anche se per la crudezza e la freddezza con cui sono stati perpetrati gli omicidi, la percezione ci farebbe pensare a molti di più. Certo, se il numero è inferiore, la condanna morale di tali gesti rimane inalterata. Se poi la media si manterrà, ancora 20 donne saranno a rischio femminicidio entro il 31 dicembre 2021.
A luglio del 2019 – a seguito dei ripetuti femminicidi compiutisi negli ultimi anni nel nostro paese – è stata pubblicata la cosiddetta legge ‘Codice Rosso’ (Legge 19 luglio 2019, n. 69) entro la quale sono state introdotte delle modifiche alle precedenti disposizioni penali, di procedura e in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere – nel rispetto del quadro delineato dalla Convenzione di Istanbul del 2011 – della Legge15 ottobre 2013, n. 119 (e seguenti)- che allora predicava ‘recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere’.
Ma quanti di questi assassini – uomini-mariti-fidanzati-ex compagni – sono sottoposti ad una azione penale che tale sia fino in fondo? La prevenzione sullo stalking o su minacce vere e proprie – seppur denunciate e nonostante le leggi – era e rimane inesistente. Ma ancora più deleteria è la cultura patriarcale che ritroviamo fin troppo frequente a tutti i livelli – dalla famiglia, alle forze dell’ordine, alla stessa magistratura e le corti giudicanti. Peggiore ed inverosimile – poi – è la tradizione patriarcale ‘appoggiata’ dalle donne, la cui forte discussione dell’opinione pubblica che si è aperta durante la recente trasmissione della giornalista Barbara Palombelli su Mediaset, lo dimostra ampiamente.
Quindi è la struttura, ed il retaggio culturale di base, che si appoggiano sulla violenza – non solo sulle donne, ma verso i diversi, i migranti, gli omosessuali, gli zingari, i bambini. Al di là della malattia mentale – e qui ricordiamo che il raptus nel femminicidio è stato ampiamente dibattuto, appurato come inesistente e lo riconosciamo come tale – come si può uccidere una madre anziana, anche se affetta da Alzheimer o con cui continui a non andare d’accordo in età adulta? Per narcisismo personale, ad un certo punto, i profondi legami filiali – parliamo ancora di donne-madri – sembrano interrompersi mescolandosi al mondo arcaico della cultura patriarcale e della natura ‘cacciatrice’ dell’uomo-maschio, di controllo e di possesso. Altrettanto vale sulla violenza perpetrata alle fidanzate-mogli-compagne, anche se il valore etico e simbolico della ‘madre’ vittima del figlio ci pare ancora ad un livello più profondo. I casi di matricidio non sono pochi – il cui primo si rifà alla mitologia greca di Oreste che uccide la vecchia madre Clitennestra.
Jung invece – in tempi più recenti – intima che ‘i figli in età matura devono essere in grado di operare una separazione con la madre per raggiungere la virilità e andare avanti con successo nel matrimonio.’ Questo potrebbe esser un buon punto di partenza per comprendere – non solo i matricidi – soprattutto i numerosi femminicidi a carico delle compagne di vita.
Una sana ed aggiornata riforma dell’istruzione obbligatoria potrebbe prendere in considerazione – insieme all’educazione sessuale – l’insegnamento basilare della relazione tra i generi – e chissà che non possa generare qualche buona pratica da attuare quotidianamente per smussare i lati più spigolosi dell’esistenza, tra cui possiamo senz’altro inserire la relazione uomo-donna che si compie sin dall’infanzia.
In ambito sociale questo panorama non esula dalla politica e dalle istituzioni – trasversalmente a religioni e nazionalità – ampiamente confermato in questi giorni dalla questione afghana – ma pure dai grandi eserciti mondiali – lealisti o mercenari – sotto i cui finiscono vittime bottino-di-guerra soprattutto le donne. Il senso del dominio che appaga le proprie frustrazioni.
Tornando alle recenti vittime di femminicidio nostrane, un’altra sezione afferente da discutere ampiamente sarebbe la narrazione giornalistica ed il linguaggio da questa offerto al pubblico – indifferentemente da reti televisive, giornali cartacei ed online. Sebbene se ne parli da tempo, evidentemente è ancora troppo poco, poiché si casca sempre sugli stessi errori.
Troppo spesso – questa la cronaca – non si riesce ad andare oltre a “ è stata uccisa perché voleva separarsi dal marito”. In quanti si chiedono il motivo per cui la vittima voleva separarsi dal marito?
L’omicidio è una responsabilità del marito-fidanzato-compagno, la quale giustificazione è la separazione dalla ‘donna amata’ – e già su questi ultimi due vocaboli si potrebbero realizzare dei sostanziosi trattati di psicologia. Al contrario, la donna – nella maggioranza della narrazione di informazione – viene considerata solo come vittima, quasi mai come essere senziente che ha dei perché reali per allontanarsi da quell’uomo che diverrà poi la mano omicida.
La visione patriarcale è intrecciata sì alla comunicazione giornalistica, ma anche più semplicemente allo scambio socio-verbale della quotidianità a tutti i livelli. Dovremmo – come esseri umani – abituarci a cercare di cambiare angolo di prospettiva, per allargare la nostra percezione della società – sicuramente più complessa di ciò che vorrebbe indurci a credere la nostra ‘piccola’ mente. Un atto volontario rivoluzionario, che gioverebbe a tutti.
Nel ricordare tutte le donne che periscono per mano di chi sosteneva di amarle, un accenno speciale all’ultima vittima del 2020, Agitu Ideo Gudeta, la donna etiope che in Trentino aveva dimostrato che integrarsi in un paese diverso dal proprio, non solo poteva realizzare un sogno, ma allo stesso tempo creava bene comune e posti di lavoro. La sua ‘rinascita’ – fuggita dal proprio paese in guerra – si è conclusa miseramente con violazione sessuale e femminicidio per mano del suo collaboratore africano. Non ci stancheremo mai di ripetere che sulla violenza gli uomini si assomigliano proprio tutti, senza distinzione di colore di pelle – sebbene i ‘bianchi’ puntino subito il dito se a perpetrarla sia un loro similare extracomunitario https://www.theblackcoffee.eu/tag/agitu-ideo-gudeta/.
Sabato, 18 settembre 2021 – n° 34/2021
In copertina: foto di Leo2014/Pixabay