lunedì, Dicembre 23, 2024

Lifestyle, Società

L’adolescenza

Un’età magica

di Miriam Maddaloni

Chi alla domanda “Ma tu ricordi quando eri adolescente?” non risponde lasciandosi trasportare dai racconti di ricordi, aneddoti dai forti turbamenti, che hanno attraversato questa età così ricca di emozioni contrastanti, ma uniche e magiche?

Mi ricordo perfettamente le emozioni che mi attraversavano, dalle lacrime sempre pronte a scendere, dal cambiamento del corpo e ai primi batticuori.

Spesso mi trovo ad osservare i ragazzi, i loro linguaggi verbali e non, ad riflettere sulle loro espressioni, i loro sguardi alle volte persi, alla ricerca di punti di riferimento e dei giusti “no” così importanti per la loro crescita.

Molto spesso i ragazzi in gruppo, quando hanno l’occasione di consumare alcool, tabacco e/o altre sostanze, si trovano di fronte a comportamenti pericolosi a cui non dicono di no. Purtroppo la pressione dei coetanei gioca un ruolo fondamentale su questi comportamenti.

Infatti per molti giovani il problema principale quando escono con gli amici non è il non saper discernere se una situazione è pericolosa o meno, oppure se l’assunzione di certe sostanze possa nuocere alla loro salute. Gli adolescenti raccontano di essere ben coscienti dei rischi che corrono mettendosi alla guida o come passeggeri su un’automobile guidata da un amico ubriaco, o ancora come gli effetti devastanti delle troppe bevute hanno sul loro umore e sulla loro lucidità e presenza.

Ma nonostante questa consapevolezza, molti fanno ciò che non vorrebbero, semplicemente per aderire a una “legge” implicita del proprio gruppo di pari, molti pensano che i comportamenti diversi dalla maggioranza possano comportare l’esclusione e la non accettazione da parte del gruppo.

Questo comportamento si definisce come “pressione dei pari”: un meccanismo di influenzamento psicologico che costringe le persone a comportarsi, non in base a ciò che sentono, ma adattandosi totalmente alle aspettative percepite di amici e compagni ritenuti significativi nel gruppo, i leader, i trascinatori.

Cosa succede nella mente del giovane che subisce la pressione dei pari? Si crea un conflitto: da una parte pensa che la cosa migliore da intraprendere sarebbe autodeterminare le proprie scelte, dare voce alle proprie posizioni, idee. Però dall’altra teme di essere escluso, di diventare oggetto di scherno, di essere considerato come il “santerello”, il “diverso”…

Ed ecco il nostro ruolo fondamentale nell’aiutare i nostri giovani. Come genitori ed educatori si è chiamati ad aiutare gli adolescente ad affermare in modo sano e competente il proprio punto di vista e le proprie scelte all’interno del gruppo dei pari. Imparare a dire no.

 Saper dire no da parte di un ragazzo significa:

  • Affermare il proprio no in modo fermo e deciso
  • Dare delle motivazioni di questo no
  • Offrire alternative possibili all’esperienza o alla cosa che viene rifiutata
  • Abbandonare il luogo dove il no viene banalizzato o ridicolizzato dagli altri pari

E allora come educare al no?

E’ bene far comprendere ai ragazzi che lasciare la scena dove un gruppo di amici sta mettendo in atto comportamenti pericolosi non è mai una sconfitta anche se può essere doloroso. La percezione che il gruppo allargato ha di un soggetto che lascia la scena non è mai di uno sconfitto, ma di una persona coraggiosa. Lasciare la scena è un atto di coraggio che può aiutare anche altri, che vivono internamente lo stesso conflitto, a non seguire il gruppo come pecorelle.

In famiglia e nei contesti educativi, bisogna riconoscere ai ragazzi degli spazi di autonomia e di autoaffermazione anche se in disaccordo con alcuni nostri princìpi. Porgli l’occasione di esprimere dei no durante il proprio percorso di crescita, dandone motivazioni e modo di apprezzare quanto sia soddisfacente percepire internamente che, ascoltando se stessi, si sta facendo la cosa giusta. Imparare a dire no può essere un’esperienza di enorme significato educativo se l’adulto la sa accompagnare e seguire attraverso gli strumenti del dialogo e non del rifiuto, del sostegno e non della condanna.

I ragazzi imparano soprattutto attraverso l’esempio. Per insegnare a dire di no dobbiamo, noi per primi, mostrarci capaci di dire di no e mostrare coerenza. Un comportamento agito e testimoniato in famiglia, dice più di mille parole. Per insegnare a dire no, dobbiamo quindi in prima persona “dire no” a ciò che riteniamo dannoso e rischioso e, inoltre, far rispettare queste nostre regole anche a eventuali ospiti, amici e parenti.

Ogni individuo è artefice della propria vita. Anche di fronte alle difficoltà ognuno, ha sempre in sé le risorse e le potenzialità per ritrovare la strada che conduce al proprio benessere.

Gli adolescenti – non più bambini ma non ancora adulti – i nostri nonni li definivano né carne né pesce e ora noi “sempre attaccati al cellulare”, proiettati in un mondo che mai come in quest’epoca, è in continua e rapidissima evoluzione. Essere adolescenti oggi non è affatto semplice, e fare i loro genitori è un’ardua impresa. L’obiettivo è quello di stabilire un rapporto tra generazioni il più costruttivo possibile, attraverso chiare regole e non comandi autoritari.

Sicuramente in questo momento sono i genitori ad essere fragili e sempre più interessati a mantenere il focus sull’aspetto affettivo ed emotivo della relazione: questo aspetto rende più complicato dare ai figli delle regole. Infatti una volta questo aspetto era decisamente tralasciato, trovandosi poi con dei genitori anaffettivi; bisognerebbe trovare il giusto equilibrio.

La società in cui si trovano a crescere oggi i ragazzi è un contesto complesso, più difficile da comprendere.

Una delle maggiori fatiche e paure è quella di non avere un futuro certo nel mondo del lavoro. Ma se i genitori mettono in campo le mosse giuste, senza dubbio gli adolescenti possono orientarsi più tranquillamente e serenamente nelle difficoltà della vita.

Foto: Gary Cassel/Pixabay

La dott.ssa Laura Petrini, formatrice e counselor pedagogica ci aiuta a fare un po’ di chiarezza su una cosa fondamentale: «Il cervello dell’adolescente non è quello dell’adulto. Dal punto di vista psicofisico sembra simile, ma dalle evidenze neuro scientifiche emerge che è ben diverso dal nostro. L’area della corteccia prefrontale, che è la sede dei processi di pianificazione del comportamento complesso – ad esempio della valutazione del rischio e di controllo dell’emotività – arriva a maturazione attorno ai 20/25 anni: questo ci aiuta a capire che c’è una matrice strutturale e cerebrale nelle fatiche attuali degli adolescenti. Non sono ancora “arrivati”, c’è una storia da scrivere. I recenti studi ci confermano questa tesi e quando educhiamo non dobbiamo dimenticarci di questo aspetto».

Passiamo alle regole: perché darle, ed invece perché non dare comandi? La regola serve al ragazzo come una bussola per orientarsi in un mondo che non conosce pienamente: è una misura educativa necessaria per dargli una direzione. Invece i comandi rimandano ad una situazione di dipendenza: io adulto ti dico cosa devi fare e tu devi eseguire. Nel bambino questo metodo potrebbe sembrare efficace, perché il bambino è dipendente dall’adulto ma l’adolescente per default è alla ricerca del conflitto con il genitore, e farà senza dubbio l’opposto e non svilupperà la capacità di muoversi in modo autonomo nel mondo.

Le regole non devono essere troppe, ma chiare, e supportate, importante stabilirle e condividerle. Tra i genitori è essenziale fare molto lavoro di squadra e riferirsi l’uno all’altra perché altrimenti è una partita persa in partenza. Poi bisogna imparare a lavorare sulla negoziazione, i ragazzi stanno definendo la loro strada: se impariamo a lavorare insieme sulla negoziazione, aiutiamo anche gli adolescenti ad individuarsi.

È importante giocare d’anticipo. Le regole permettono di sviluppare progressiva autonomia, se date al momento giusto e avendo in mente un chiaro obiettivo educativo. Nella fascia d’età 11-14 anni è importante promuovere dei rituali di passaggio che legittimino il bisogno di maggiore autonomia che iniziano a manifestare i ragazzi, come dare loro la paghetta e le chiavi di casa, ma al contempo insegnare loro a gestire queste nuove conquiste, per non iniziare a negoziare da zero quando sono adolescenti. Come l’utilizzo del cellulare deve necessariamente essere affiancato da una regola, posta in preadolescenza o nel momento in cui per la prima volta il ragazzo ha in mano un telefono. Regole chiare e condivise, per quanto tempo, quando.

Un ultimo aspetto, non meno fondamentale dei precedenti, da tenere presente quando si tratta di dare regole agli adolescenti: evitare di discutere. Spesso oggi i genitori commettono l’equivoco di pensare che educare significhi spiegare e rispiegare parole e parole. Il ragazzo non è interessato a sentirci parlare: il nostro agire educativo con cui comunichiamo deve passare dalla consapevolezza che il loro cervello è ancora molto immaturo, dal buon utilizzo dei rituali di passaggio, dalla chiarezza delle regole che mettiamo e dalla capacità di gestire i sani conflitti che nasceranno e che permetteranno loro di staccarsi da noi e diventare adulti, dei splendidi adulti consapevoli e sereni e perché no, che portino sempre con loro un po’ di magia che l’adolescenza lascia in ognuno di noi.

Sabato, 4 giugno 2022 – n° 23/2022

In copertina: foto di Dim Hou/Pixabay

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