giovedì, Dicembre 26, 2024

La selva delle metamorfosi

L’albero di “Pino”

Se semini zecchini al campo dei miracoli, al massimo …. raccogli palle..

di Samanta Giannini

Ero molto indecisa, lo faccio o non lo faccio? lo faccio o non lo faccio? Mi sono detta: “ma sì, dai, tanto è sempre montato dall’anno scorso”! L’albero di Natale ’22 richiese uno sforzo sovraumano per montarlo, addobbarlo, sbrilluccicarlo, tanto che agli arbori del 2023 fu preso, così come era, per intero, palle ancora appese, e parcheggiato in un armadio del garage. Mia madre era morta da pochi giorni. Per due anni l’avevo protetta da Coso19 a suon di integratori, e salvata dall’iniezione del siero salvifico con ostinata tenacia. Aveva l’Alzheimer, da anni non sapeva più chi io fossi, nemmeno più parlava, a volte mi chiamava “Mamma”. Operata per un tumore intestinale, arrivato in un giorno d’agosto, a lei che in quegli anni non aveva nemmeno mai starnutito, si ritrovò morta tre mesi dopo l’operazione, per aver contratto ben tre batteri nella “culla degli angeli in terra”: l’ospedale.

Dare una parvenza di calorosa atmosfera natalizia mi pareva quantomeno complicato e appendere quella roba sull’albero mi pareva un’impresa titanica. Mai e poi mai avrei potuto sostenere il procedimento inverso. Già tutte le mie “palle” giravano abbondantemente da marzo 2020, come un mulinello quando abbocca il tonno; già mia madre non era morta di Coso19, come il mondo prevedeva, anzi ve lo dico, pare che Coso19 ci sia ancora, almeno così dice la Banda “Bassetti”; già mi reggevo in piedi per mano di Dio e quell’ “aggeggio” che fa? Nel bel mezzo dell’operazione, in un impeto di ribellione, decide che lui, lì, in piedi sul suo piedistallino, tronfio nel ruolo del Gran Signore di casa, non ci voleva stare, e si spezza in due. In un altro momento avrei buttato via tutto; in un altro momento avrei persino staccato a morsi le tende, e invece avvolta da una strana calma, scendo nell’officina sottocasa, mi faccio prestare un tondino di acciaio, cerco le fascette e tiro fuori il MacGyver che è in me.

Dopo 10 minuti era in piedi. Un po’ a quella maniera, ma era in piedi. Più o meno come me. Del resto non mi sono piegata al volere mondiale, governativo, medico, dei baristi, dei pizzaioli e dei bipedi salvatori delle patrie nonnine, secondo voi mi sarei mai piegata di fronte ad una plasticata filonarcisista, che come tutti i narcisi manipolatori non solo attrae l’attenzione su di sé, fosse mai che tu la possa spostare per un attimo, ma ti sberleffa sempre nel momento di tua maggiore fragilità. Eh no caro, ho troppa esperienza di aggeggi narcisi e farlocchi, con me caschi male!

Questo 7 Dicembre, a distanza di un anno, entro in garage, apro l’armadio e trovo “aggeggio” ancora in piedi. Esattamente come me. A quanto pare tondino d’acciaio batte plastica a mani basse, bassissime. Gongolante lo porto in casa e con lui un sacchettaccio dal quale spuntano delle pecorelle! Oh, siete anche qui?! Manca un Re Magio, pazienza! Il posto suo lo prenderà un altro tizio, il primo che mi passerà tra le mani. Mia sorella: “Noooo, cercalo”. Io non cerco proprio niente e nessuno, se e quando rispunterà gli canterò: “Tu come stai? Non è cambiato niente no. Il vento non è mai passato tra di noi. Tu come stai? Non è accaduto niente, no. Il tempo non ci ha mai perduto. Tu come stai?”.  

Completata l’opera osservo tutto da una certa distanza; aggeggio, con tondino, che per stare in piedi è stato ancorato al fondo rovesciato di una cassetta da frutta in plastica, è effettivamente leggermente stortito e nonostante brancate di “euri” in sfere dorate, lo trovo un po’ tristino, scarnettino e spogliettino. Mi fa quasi tenerezza, cucciolo… Che fare? Lo spingo in un angolo, lo svuoto completamente nel retro e ripiazzo tutto sul davanti! Del resto è sul “davanti” che molti “aggeggi” ci si giocano il tutto per tutto. Un momento di gloria, seppur effimera, la merita anche lui poveraccio, ha resistito stoicamente un anno! Eh, beh, su, così fa tutto un altro effetto. Ora sì che si ragiona. L’apparenza inganna? Pazienza. In quanti hanno ingannato me? Quante “palle”, palloni, pallette, palline, grandi, medie, piccole mi hanno propinato nella vita? Non le conto più dal 2004. Più sono state luccicanti, sfavillanti, glitterate, lucidate, più me le hanno propinate, “sti gran maestri di palle”, e pensano pure che io ci creda ancora!

Le “palle” le comprano un po’ tutti, ma le donne hanno una marcia in più, sono delle vere e proprie accumulatrici seriali. Non gli bastano quelle a cui credono, ne comprano pure a centinaia, pagando pure, a volte, un prezzo troppo alto per il loro valore! Lo confesso, le ho comprate pure io!!! Posso dare la colpa al Natale? No? Uffa. Posso darla al condizionamento sociale? No? Posso darla a me stessa? Eh, sì, mi tocca!

Ma veniamo al dunque: avete mai visto un uomo avventurarsi nel reparto “palle” tra novembre e dicembre? Si? Dove? Io solo da Decathlon! Palle da calcio, da basket, da rugby, da tennis e le new entry palle da padel (pare siano leggermente diverse per grammatura e pelo!!). Li ho visti anche. Ehm, beh, dai, non c’è bisogno che vi descriva i particolari, di GIambruno ce n’è uno, tutti gli altri son uguali.

Le donne, prima vagano per giorni nei magazzini, le mirano, le rimirano, pensano a come abbinarle, le fotografano, scrutano i carrelli delle altre, commentano con le amiche, ma generalmente comprano le più grosse e poi le appendono orgogliose, come vere e proprie medaglie al valore, conservando gelosamente pure le scatole.

Gli uomini invece le maneggiano con maestria, tutto l’anno, in tutte le occasioni, in tutti i luoghi e in tutti laghi, fuorché nel salotto di casa. Ma perché? Semplice, perché tra quelle che hanno in dotazione per grazia divina, quelle che usano nello sport e quelle che raccontano, saranno stufi?  No, assolutamente. C’è sempre spazio per una palla in più! Allora perché? Perchè armeggiare con le “palle di Natale” implica un certo impegno. Direte: “eh ma anche con le altre si devono impegnare”! Eh, no. Con le palle in dotazione ci nascono – beh, non tutti, almeno non in senso figurato. Con quelle che raccontano ci costruiscono tutto: rapporti sociali, relazionali, lavorativi, svago, lettera e testamento, grazie ad un allenamento coordinato e continuativo che svolgono quotidianamente dai tre anni in su, con la madre, “raccattapalle” di serie A,  e con la  quale sviluppano  tecniche infallibili che replicano vita natural durante, da mane a sera.

Con quelle con cui fanno sport ci si divertono, beh, non richiedono memoria. Ma allora vista tutta questa dimestichezza con le sfere, perché rifuggono proprio quelle di Natale? Analizziamo. Intanto, c’è da dirlo, fare l’albero di Natale è un bello sbattimento e a tutte quelle palle c’è da dare un senso: cromatico, artistico, di proporzioni, di coordinamento con le luci, il presepe, i regali, un bordello a cui poveri cristi, non solo non sono avvezzi, ma l’esperienza gli ha insegnato che dedicarcisi è tempo sprecato. Oh, che occorre starsi a fare du “palle” tante. No. L’ ”omo” è pratico. Il come è superfluo, l’importante è mettercele! Non ve ne abbiate a male, eh! Ora non cominciate con la levata di scudi e frasi fatte del tipo: “Io non sono come gli altri” – disse Giuda ai centurioni per ingraziarseli!!!!

Tutto questo riflettere d’addobbi nasce sostanzialmente perché il mio “aggeggio” è una cinesata. L’anno scorso tra la stanchezza e la tristezza non mi ero accorta di quanto fosse fake. Quest’anno già mi era tutto più chiaro: quando metti in esposizione il meglio che hai e lo fai senza lesinare, vendi anche quello che di fatto ti manca; Ferragni docet.

Esemplari di pino cembro

Se avessi scelto un bel Pino di montagna, un Pino Cembro del Trentino, cresciuto e forgiato a suon di ghiaccio e gelo, sarebbe andata diversamente, non mi sarei dovuta sbattere così tanto per renderlo decente. Il Pino montano è uno di quegli alberi che anche da piccoli gli riconosci una marcia in più, sono molto rigogliosi, un po’ pungenti ma non lo nascondono, ed il loro tronco certamente non sin spezza in autonomia. Uno di quegli alberi dal profumo inebriante di resina mista a legno fresco. Di quelli che se anche sei a Cernusco sul Naviglio, hai la sensazione di essere a San Vigilio di Marebbe. Quelli che quando li guardi sei fiera che esistano. Di quelli a cui gli addobbi, gli ammennicoli, i fiocchi, gli sbrilluccichi, non servono perché sono integri, belli, fieri, così “nature”. Le “palle” non gliele devi aggiungere, ce l’hanno di default, e se li vuoi vedere a pezzi ti devi armare di un’ascia ben affilata e pregare Dio che ti dia tanta forza. Personalmente consiglio una motosega. Se a spezzarsi è un Cembro di San Martino di Castrozza, non lo butti nell’indifferenziata, perché un albero, uno vero, ha un suo valore anche da spezzato. Dotato da madre natura di una magnificenza propria, una energia propria, una funzione dentro e fuori dal bosco. Non ha bisogno di “agghindarsi” o essere “agghindato” per esistere. Lui E’. Ci siamo capiti? Sì. 

Mica come “aggeggio”, che non solo non è un albero vero, ma se non lo avessi puntellato con l’acciaio non starebbe neanche in piedi, e se non lo avessi caricato tutto solo di facciata, sarebbe bello come la figlia di Fantozzi.

Da che se ne ha traccia, la storia dell’uomo è intrisa di alberi. Come lo abbiamo scoperto il fuoco? Con Google? No. Con cosa ci siamo scaldati, sfamati o abbelliti casa? Con Amazon? No. Noi italiani, come abbiamo costruito le fondamenta di quella meraviglia chiamata Venezia? Con le genialate dell’amico Renzo (Piano)? No. C’è chi, con il legno, ci si è persino costruito un figlio. Statistiche alla mano il figlio più famoso al mondo, dopo Gesù. Il bambino nato da un ceppo vibrante, “vivente”, che si ribella al volere di Mastro Ciliegia di farne misero tavolo. Ha progetti ben più ambiziosi per se stesso, progetti che poco casualmente, lo portano a sfuggire dall’ascia del falegname per lanciarsi ai piedi di Geppetto, il quale, dopo esserselo portato a casa e dopo averlo intagliato con pazienza, lo trasforma in ciò per cui il ceppo era destinato: una marionetta. Battezzandolo “Pino-cchio” ha de facto consegnato questo nome alla storia universale delle “palle prèt-à-porter”!

Cari miei, Pinocchio e Geppetto sono la chiara immagine di chi si incontra e si sceglie, nei propri bisogni inconsci, la maggior parte delle volte mossi dal puro egoismo. Ma le volontà, le esigenze, gli ego riflessi spesso si scontrano con l’imponderabile ed incontrollabile progetto che la vita ha stabilito per noi.

Geppetto non aveva fatto i conti con la possibilità che Pinocchio volesse emanciparsi, sperimentare, uscire ed affrontare il mondo, ribellandosi a quel destino di marionetta. Pinocchio, a sua volta, non aveva fatto i conti con quanto potesse essere difficile vivere in quel mondo e quanto, per poterci stare, avrebbe dovuto rinunciare di sé. Pinocchio è un eroe? No, è solo un essere spaventato, molto spaventato dalla paura del rifiuto, dal non essere accettato così come è, di legno, vestito di carta, con un cappellino di mollica, coi suoi limiti, le sue carenze e le sue fragilità. Mentire, manipolare, cercare scuse, costruirsi alibi lo fa sentire più sicuro e quindi più “umano” seppur di legno, ma il mondo, là fuori, ha più esperienza e lo punisce con gli stessi “umani” meccanismi da lui messi in atto, in un continuo gioco di ruoli, tra vittime e carnefici, che si alternano e scambiano; opposte sponde di un unico lago che le riflette, anche di notte.  Nonostante sia evidente quanto e come le sue “palle” non lo salvino da quel mondo, ma anzi lo spingano più volte verso il baratro, fin quasi alla morte, sfiorata più volte, non riesce a staccarsi da quel “modulo”; neanche l’amore e la magnanimità della Fata, figura salvifica e riabilitativa come un’amorevole mamma, riescono a scardinare il meccanismo manipolatorio. 

La disabilità spirituale di Pinocchio, fa di lui l’emblema dello sfigato, ma non perché a lui, bambino sfortunello, capitino tutte le disgrazie, no, lo fanno sfigato perché farfalletto, furbetto, sì certo, ma di fatto sciorno, in toscano si direbbe “pochino”, di poco valore, concentrato su un io che di fatto vacilla, mediamente egoriferito, sovrastrutturato, condizionato, incatenato, imprigionato dai propri schemi tossici che, sì, in quanto stimolanti ed adrenalinici lo entusiasmano, lo elettrizzano, gli donano una eccitante sensazione di controllo e potere, ma che per una strana legge del contrappasso non lo rendono mai effettivamente migliore, non lo fanno veramente evolvere, non lo rendono preferibile ad altri, né tantomeno più forte degli altri.

Al tavolo da gioco della vita chi bara può anche vincere, ma non è un vincente!

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Buone “palle” di Natale a tutti/e!

P.S. Al caro Dottor Betti va il mio augurio speciale; senza di lui, senza i suoi insegnamenti, senza le nostre chiacchierate, questa rubrica non avrebbe avuto modo di esistere. Buon Natale Mario, di cuore.

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Sabato, 23 dicembre 2023 – n°51/2023

In copertina: Pinocchio nel campo dei miracoli con il Gatto e la Volpe

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