Lo spauracchio di tutti i conflitti
di Laura Sestini
Con la guerra in Ucraina si torna a parlare di armi chimiche, argomento evergreen di tutti i conflitti.
L’allerta – tra fake news e accuse – è stata confermata inaspettatamente dalla sottosegretaria di Stato Victoria Nuland comparsa davanti alla Commissione per le Relazioni Estere del Senato statunitense. Spronata dalle domande del senatore Marco Rubio – che sperava di sfatare le crescenti affermazioni sui laboratori di armi chimico-batteriologiche in Ucraina – la diplomatica al contrario ha innescato, con la sua risposta positiva, la preoccupazione che questi entrassero in mano russa.
In seguito all’annuncio, per giorni grandi titoloni hanno riempito i quotidiani di tutto il mondo, pro e contro i due contendenti in guerra, principalmente puntando gli occhi sul Presidente Putin, rammentando le differenti vicende di avvelenamento, in Russia ed all’estero, a carico di ex-agenti dei servizi segreti del KGB o oppositori politici ben noti, come Aleksej Naval’nyj.
A breve distanza, anche il portavoce del ministero della Difesa russo – il Maggior Generale Igor Konashenkov – aveva affrontato l’argomento, testimoniando il ricevimento di documenti comprovanti lo sviluppo di programmi di armi biologiche in laboratori ucraini – vicino ai confini russi – su malattie altamente mortali. Unitamente a ciò è stata riconosciuta – ancora dai russi – la veloce distruzione di quanto, tangibilmente, potesse attestarlo il loco.
A rafforzare la conferma dell’esistenza dei laboratori era entrata in ballo anche la Cina, pronunciandosi attraverso il ministero degli Esteri ed affermando che gli stessi Stati Uniti hanno ben 336 programmi di ‘ricerca’ in 30 paesi del mondo sotto il loro controllo, di cui 26 nella sola Ucraina.
Il quadro era pressoché completo, e l’urgente focus sulla situazione lo forniva la stessa Nuland, attraverso l’esplicita preoccupazione che i materiali di studio nei laboratori ucraini venissero ritrovati dalla controparte russa.
Le armi biologiche e chimiche sono riconosciute come armi di distruzione di massa ed il loro uso è vietato dalle leggi internazionali tramite la Convention on the prohibition of the development, production and stockpiling of bacteriological (biological) and toxin weapons and on their destruction del 1972 e il Comprehensive Nuclear Test Ban Treaty del 1993.
Ma nonostante siano bannate per legge, le armi biochimiche sono state utilizzate anche nel recente conflitto siriano per mano delle forze armate governative, ed anche il Presidente turco Erdoğan è stato accusato – nel 2021 – di servirsi di armamenti al fosforo bianco per bombardare i villaggi del Kurdistan iracheno.
Purtroppo, una realtà indiscutibile è che, nonostante le convenzioni internazionali che vietano lo sviluppo di armi di sterminio di massa, tutti i più grandi Paesi del mondo conducono ricerche su sostanze chimiche e biologiche che potenzialmente hanno la capacità di essere convertite in armamenti.
Tra gli eventi storici degli ultimi decenni – un grave episodio bellico che ha influenzato la geopolitica mondiale è stata la Seconda guerra del Golfo nel 2003, la conseguente l’invasione dell’Iraq, e l’accusa al Presidente Saddam Hussein di detenere ed utilizzare armi chimiche. Ma pure l’amministrazione statunitense fu accusata negli stessi anni di usare il fosforo bianco nella guerra irachena, per sedare le rivolte antiamericane della popolazione negli anni che seguirono la destituzione e la pena capitale inflitta ad Hussein; ed ancora più recentemente, nel 2017, durante il conflitto per sconfiggere il Califfato islamico.
Nel caso di Saddam Hussein, le prove dei depositi di armi chimiche in Iraq furono costruite a tavolino negli Stati Uniti, con la collaborazione di Ahmad Chalabi – un politico-faccendiere iracheno ben introdotto nella politica statunitense del Congresso. Un’ intervista rilasciata da Chalabi – condotta da una giornalista di France5 nel 2015 a Baghdad – riporta alcuni nomi e cognomi di quella vicenda. Pochi giorni dopo l’incontro, l’uomo fu ritrovato morto – ufficialmente per cause naturali.
Certo Saddam Hussein aveva lasciato la sua lunga scia di terrore durante il conflitto Iran-Iraq, durato otto anni, dove le armi chimiche non mancarono; ma spesso tutti i tipi di armamenti erano forniti dagli stessi paesi occidentali che sostenevano l’Iraq contro il confinante Iran.
Un grave episodio dove le armi chimiche furono utilizzate contro la popolazione irachena – dalla politica di Saddam Hussein ed il compare ‘Ali, il chimico’ – fu a danno della cittadina curda di Halabja, a pochi chilometri dal confine iraniano, nell’Iraq del Nord, cui il 16 marzo ricorre il triste anniversario.
Era il 1988. Per due giorni Halabja fu bombardata, prima con il napalm, un gel incendiario che si attacca alla pelle e provoca terribili ustioni, ed in seguito si iniziò a cospargere zone della città con altre sostanze mortali, compreso il gas mostarda ed i nervini Sarin, Tabun e VX.
Da 3.500 a 5.000 persone morirono in pochi minuti; molti altri – circa 10 mila – rimasero feriti, paralizzati ed hanno sofferto di problemi di salute a lungo termine. Che colpe avevano i Curdi per dover subire queste terrificanti atrocità? Cercavano riconoscimento etnico come popolo. Ancora ora oggi lo ricercano, ed infatti in Siria, Turchia ed Iraq – nonostante l’attuazione della Regione Autonoma del Kurdistan iracheno nel 2005 – continuano ovunque i soprusi a loro carico.
Lo sterminio di massa dei cittadini di Halabja è stata una delle peggiori atrocità perpetuate da Saddam Hussein contro il suo stesso popolo. Ali Hassan Abd al-Majid al-Tikritieh – detto Ali il chimico – fu giustiziato per impiccagione nel 2010, dopo ben quattro condanne a morte; mentre Saddam Hussein, era già stato condannato e giustiziato nel 2006 – per crimini contro l’umanità – in un processo separato.
Le armi chimiche e batteriologiche – nonostante il divieto internazionale – continuano indisturbate ad essere oggetto di studio militare in molti parti del mondo. Il fatto che in Ucraina siano stati trovati dei laboratori di ricerca a tale uso – che ricordiamo hanno messo in allarme gli Stati Uniti – non deve, purtroppo, essere una sorpresa. Tantomeno una novità.
Se ciò venisse confermato è dovere della comunità internazionale ricercare la verità, giudicare e condannare i responsabili.
Attualmente è noto che l’Iran e gli stati dell’ex Unione Sovietica possiedono un armamentario vario, seguiti da Giappone, Iraq, Israele, Usa. Sospettati di avere un programma di ricerca sulle armi biologiche risultano anche Cina, Corea del Nord, Siria, Egitto, Cuba e Taiwan.
Sabato, 19 marzo 2021 – n° 12/2022
In copertina: missile Honest John, con bombolette di Sarin M134 – Foto: Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti – 1960 – Dominio pubblico