venerdì, Novembre 22, 2024

Notizie dal mondo

Le Nazioni Unite riconoscono l’apartheid israeliano sui Palestinesi

Novanta organizzazioni per i diritti umani si uniscono per chiedere la fine delle violenze

di Laura Sestini

La sessione numero 49/2022 del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite include un report (n° 49/25), dal titolo Situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme est, ed obbligo di garantire responsabilità e giustizia.

Poco dopo le prime righe si potranno leggere i numeri delle persone uccise o ferite per responsabilità delle forze di sicurezza israeliane – in soli 10 giorni – a maggio 2021: Dal 10 al 21 maggio 2021 si è verificata l’escalation più significativa delle ostilità tra Israele e i gruppi armati palestinesi a Gaza dal 2014. Le Nazioni Unite hanno verificato che 261 palestinesi sono stati uccisi, inclusi 153 uomini, 41 donne e 67 bambini (23 ragazze e 44 ragazzi). Almeno 130 delle persone uccise erano civili. Circa 2.200 altri palestinesi sono rimasti feriti, inclusi circa 685 bambini e 480 donne. Dieci cittadini e residenti israeliani (cinque uomini, tre donne e due bambini) sono stati uccisi da razzi e mortai lanciati da gruppi armati a Gaza e, secondo fonti israeliane, altri 710 sono rimasti feriti.

La relazione conta molti esempi di violazioni dei diritti umani e copre il periodo da novembre 2020 al 31 ottobre 2021.

Come si può constatare dal Rapporto, gruppi armati palestinesi si difendono dalle angherie subite da Israele con lanci di razzi, che altrettanto ‘a caso’ feriscono ed uccidono persone; ma giungendo a leggere le responsabilità israeliane, nel resoconto si trovano queste affermazioni: “L’impunità è rimasta pervasiva per gli episodi di possibile uso eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza israeliane al di fuori del contesto delle ostilità. Tra il 1° gennaio 2017 e il 31 ottobre 2021, 428 palestinesi (tra cui 91 bambini) sono stati uccisi dalle forze di sicurezza israeliane in operazioni di contrasto nei Territori Palestinesi Occupati. L’OHCHR – Alto Commissario dei diritti umani delle Nazioni Unite – è a conoscenza di 82 indagini penali aperte in relazione a queste morti, di cui almeno 13 sono state chiuse senza ulteriori provvedimenti e 5 sono sfociate in incriminazioni, 3 delle quali hanno portato a condanne. Queste cifre appaiono nettamente incoerenti con la politica investigativa israeliana, applicabile dal 2011, secondo la quale le forze di difesa israeliane sono obbligate ad aprire un’indagine immediata sulle operazioni in Cisgiordania che provocano la morte di una persona, tranne quando l’incidente coinvolge “effettivo combattimento”. Nonostante le frequenti dichiarazioni pubbliche iniziali delle autorità israeliane che annunciano che un omicidio era in esame, nella maggior parte dei casi non viene aperta un’indagine penale e i dettagli della decisione non sono resi pubblici, nonostante la legge israeliana richieda all’Avvocatura Militare Generale di fornire una motivazione per tutte le decisioni , compresi i casi di ‘reale combattimento’. Laddove è stata aperta un’indagine penale, i risultati e le conclusioni sono stati resi pubblici solo in pochi casi eccezionali in cui l’omicidio o il ferimento sono stati ripresi da telecamere o video ed hanno ricevuto un alto livello di attenzione pubblica. La mancanza di trasparenza riguardo all’apertura delle indagini e l’assenza di progressi e risultati delle indagini da parte delle autorità israeliane è motivo di estrema preoccupazione, poiché il dovere di indagare su potenziali morti illegali è un elemento importante della protezione offerta al diritto alla vita. Nei rari casi in cui le indagini sfociano in accuse penali, queste sono spesso nettamente sproporzionate rispetto alla gravità della condotta.”

Profughi palestinesi nel 1948
Foto: Fred Csasznik – Dominio pubblico

Parallelamente alla presentazione del report durante la 49esima sessione delle Nazioni Unite, recentemente è stato reso pubblico il rapporto del Relatore Speciale – Difensori dei diritti Umani – relativo ai Territori occupati palestinesi.

L’esperto delle Nazioni Unite Michael Lynk ha invitato la comunità internazionale ad accettare e adottare i risultati del suo rapporto, facendo eco ai recenti comunicati di organizzazioni palestinesi, israeliane e internazionali per i diritti umani.

«C’è oggi nel territorio palestinese occupato da Israele dal 1967 un doppio sistema legale e politico profondamente discriminatorio che privilegia i 700.000 coloni ebrei israeliani che vivono nei 300 insediamenti israeliani illegali a Gerusalemme est e in Cisgiordania” – ha affermato Lynk. «Vivono nello stesso spazio geografico, ma separati da muri, posti di blocco, strade e una presenza militare radicata. Ci sono più di tre milioni di palestinesi che sono senza diritti, vivono sotto un governo oppressivo di discriminazione istituzionale e senza un percorso verso un vero Stato palestinese, che il mondo ha promesso da tempo essere un loro diritto. Altri due milioni di palestinesi vivono a Gaza, descritta regolarmente come una ‘prigione a cielo aperto’, senza un adeguato accesso all’elettricità, all’acqua o alla salute, con un’economia al collasso e senza possibilità di viaggiare liberamente nel resto della Palestina o nel mondo esterno».

Il Relatore Speciale ha affermato che un regime politico che assegna così intenzionalmente e chiaramente la priorità ai diritti politici, legali e sociali fondamentali a un gruppo rispetto ad un altro all’interno della stessa area geografica, sulla base della propria identità razziale-nazionale-etnica, soddisfa la definizione legale internazionale di apartheid.

«L’apartheid non è, purtroppo, un fenomeno confinato ai libri di storia dell’Africa meridionale” – ha affermato Lynk al Consiglio per i diritti umani. “Lo Statuto di Roma del 1998 della Corte penale internazionale è entrato in vigore dopo il crollo del vecchio Sud Africa. È uno strumento legale lungimirante che vieta l’apartheid come crimine contro l’umanità oggi e nel futuro, ovunque esso possa esistere.»

Lynk ha sottolineato che il governo militare israeliano nel Territori palestinesi occupati è stato deliberatamente ‘costruito’ con l’obiettivo di supportare i fatti sul campo – principalmente attraverso insediamenti e barricate – per progettare demograficamente una rivendicazione sovrana israeliana permanente e illegale, confinando al contempo i Palestinesi in ‘riserve’ sempre più piccole e confinate in territori non connessi tra loro. Ciò è stato ottenuto in parte attraverso una serie di atti disumani di lunga data da parte dell’esercito israeliano nei confronti dei Palestinesi che sono stati parte integrante dell’occupazione, indicando esecuzioni arbitrarie ed extragiudiziali, torture, negazione dei diritti fondamentali, un altissimo tasso di morti infantili, punizioni collettive, un sistema giudiziario militare abusivo, periodi di intensa violenza militare israeliana a Gaza e demolizioni di case.

Numerosi rapporti e comunicati emessi da riconosciute organizzazioni palestinesi, israeliane e internazionali per i diritti umani sono giunti alla stessa conclusione sulla pratica dell’apartheid da parte di Israele. Circa 90 di queste hanno inviato una lettera congiunta di benvenuto al rapporto di Lynk per la fine delle violenze, e contro Israele che ricorre a un’ampia gamma di politiche repressive per soggiogare e controllare i Palestinesi.

Il Relatore speciale ha dichiarato che la comunità internazionale ha molte responsabilità per questo stato attuale di cose. «Per più di 40 anni, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e l’Assemblea generale hanno affermato in decine di risoluzioni che l’annessione di Israele dei Territori occupati è illegale, la costruzione di centinaia di insediamenti ebraici è illegale e la negazione dell’autodeterminazione palestinese viola il diritto internazionale. Il Consiglio e l’Assemblea hanno ripetutamente criticato Israele per aver sfidato le loro Risoluzioni. Hanno minacciato conseguenze. Ma nessuna responsabilità è mai seguita. Se la comunità internazionale avesse realmente agito in base alle Risoluzioni ONU 40 o 30 anni fa, oggi non parleremmo di apartheid.»

Il campo profughi palestinese di Jaramana a Damasco nel 1948
Foto – Honini.orgdominio pubblico

Con l’inizio della Nakba nel 1948, l’85% del popolo palestinese è divenuto profugo e IDP – sfollato interno al Paese. Campi profughi palestinesi risalenti agli Anni ’50 sono sparpagliati in Libano – ben 12 – e poi in Giordania ed in Siria. Il nuovo Stato di Israele, nella Palestina storica, ha applicato un organizzazione ‘legalizzata’ per istituzionalizzare l’espropriazione al popolo palestinese autoctono.
Dopo l’occupazione militare della Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e la Striscia di Gaza dal 1967, Israele ha optato per rendere esteso e operativo il suo sistema, mantenendo un regime di apartheid sul popolo palestinese, indipendentemente dalla sua posizione geografica, compresi i rifugiati palestinesi a cui è stato negato il diritto al ritorno alle loro case, terre e proprietà.

Doppi standard si attuano su questo tema, compresi quelli propagati dall’Europa e dagli Stati Uniti, minando gravemente l’efficacia e la legittimità dei diritti umani internazionali e le norme giuridiche umanitarie.

Video della seduta delle Nazioni Unite: https://media.un.org/en/asset/k1j/k1j922s1le

Sabato, 9 aprile 2022 – n° 15/2022

In copertina: Foto di Palestine News

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