lunedì, Dicembre 23, 2024

Italia, Politica

L’effimera scalata verso il successo dell’onorevole Soumahoro

Da immigrato bracciante a sindacalista e poi deputato

di Ettore Vittorini

È durata quasi come il passaggio di una meteora la popolarità dell’onorevole Aboumakar Soumahoro, neoeletto alla Camera dei deputati per il partito Verdi-Sinistra. Era arrivato in Italia dalla Costa d’Avorio – ex colonia francese – e aveva lavorato nel Tavoliere delle Puglie da bracciante super sfruttato, come tanti immigrati africani, per poi organizzare la protesta, diventare sindacalista, aver studiato da autodidatta, imparato perfettamente la lingua italiana.

Per molti italiani che credono nella libertà e nel progresso delle idee, la sua elezione era divenuta indice di orgoglio, un simbolo di fiducia verso le Istituzioni del nostro Paese che avevano permesso ad un immigrato – grazie alle sue capacità – di passare in breve tempo dall’anonimato ai vertici del nostro apparato costituzionale.

Poi quell’immagine e la risonanza del suo successo sono scomparse di colpo per trasformarsi in contestazione e biasimo. Aboubakar non ha commesso alcun reato, ma “suo malgrado” è scivolato su “gravi problemi di famiglia”, quando la suocera Marie Therese Mukamitsindo – una professoressa fuggita dal Ruanda durante la guerra civile – ha ricevuto un avviso di garanzia dalla Procura di Latina in seguito alle indagini sulle due cooperative gestite dalla donna e finanziate dallo Stato, che si occupavano dell’assistenza agli immigrati.

Le accuse sono di “malversazione, appropriazione indebita, falsa fatturazione”, a scapito della gestione delle cooperative. Secondo le indagini della Guardia di finanza molti dipendenti non ricevevano da mesi lo stipendio; agli immigrati assistiti non veniva distribuita la piccola diaria di 2,5 Euro quotidiani; le condizioni igieniche venivano trascurate. Rimane un interrogativo sulla provenienza del denaro servito al figlio Richard per costruire in Ruanda un resort di lusso per turisti.

La figlia Liliane, moglie di Aboubakar, occupatasi anche lei delle cooperative ne era uscita due mesi fa. Di lei è stato detto di aver condotto una vita dispendiosa e venivano diffuse un paio di foto che la riprendevano in “abiti firmati”. Immagini di scarso rilievo: forse secondo i benpensanti una giovane immigrata non può aspirare ad essere elegante? Tanto più che se lo poteva permettere, visto che aveva lavorato per alcuni anni presso il Consiglio del G8 per l’Africa, assunta dal governo Berlusconi. L’ex deputato Alberto Michelini – di Forza Italia – ha detto di lei che “conosceva bene la lingua italiana, aveva molti contatti con i leader africani, era molto brava e di buona famiglia”.

Nei confronti di Aboubakar i media italiani – tranne quelli dell’area di destra – si sono comportati con saggia moderazione, dando spazio alla sua versione dei fatti e nello stesso tempo anche alle testimonianze di chi lo ha criticato. Comunque è al di fuori dalle indagini della magistratura. Ma su di lui incombe la riprovazione di una opinione pubblica pronta a creare dei miti e degli eroi per poi distruggerli immediatamente. Il suo comportamento nei confronti della “famiglia” è stato eticamente sbagliato: ha affermato “di non sapere”, di non aver mai indagato sui problemi provocati dalla suocera. Questo ha dichiarato – anche tra le lacrime – nel corso delle interviste. Insomma, un modo di fare di tanti politici italiani, ma senza lacrime.

Ha pensato di sottrarsi al coinvolgimento morale, postando su Facebook la sua immagine in lacrime, parlando di un complotto nei suoi confronti; rispondendo in seguito alle domande del conduttore di “Piazzapulita” con un atteggiamento umile, lamentoso, ribadendo la sua estraneità nella vicenda, affermando di non essersi accorto delle condizioni di abbandono in cui vivevano gli immigrati nelle due coop della suocera. Come può un abile sindacalista non sapere di quanto accadeva nelle due cooperative?

Un atteggiamento non degno di un leader che ha combattuto per anni contro i soprusi, che ha lanciato accuse contro i padroni che sfruttavano i braccianti, apparendo in pubblico con una bellicosità motivata che metteva in ombra tanti politici italiani del PD e della sinistra in genere. Non avrebbe dovuto dire “io non sapevo niente”, “ce l’hanno tutti con me” ed altro. Si è autodistrutto con la sua stessa difesa.

Poco prima dello scandalo alcuni membri della sinistra lo avevano paragonato a Giuseppe Di Vittorio; altri avevano affermato che sarebbe stato il leader più adatto per il PD. Se quest’ultima affermazione potrebbe essere accettabile – data la scadente levatura dei leader del partito del dopo Bersani – ma paragonarlo a Di Vittorio è completamente errato.

È vero che li accomuna il lavoro di braccianti in Puglia, lo studio da autodidatta, la lotta sindacale. Però Di Vittorio oltre a quel passato aveva una statura politica e culturale ineguagliabili tanto da dare fastidio allo stesso Partito comunista cui apparteneva che cercò di ridimensionarne le grandi capacità politiche attuate in difesa della classe operaia e della libertà per tutti i popoli.

Perseguitato sin da ragazzo nell’Italia liberale e in quella fascista, riparò in URSS e poi in Francia. Combatté in Spagna contro i franchisti e durante l’occupazione nazista entrò nella Resistenza francese.

Nel dopoguerra eletto alla Camera dei deputati per il PCI, divenne segretario generale della CGIL ed ebbe il merito storico di non condizionare il sindacato al partito, nei tempi in cui i dirigenti comunisti erano lontani dal percepire la sciagura del “socialismo reale” dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti.

Nel 1953 difese senza esitare la protesta operaia di Poznan; nel 1956 condannò l’invasione sovietica dell’Ungheria con una dura critica verso i metodi antidemocratici dei governi comunisti che avevano determinato il distacco tra dirigenti e masse popolari. Nella direzione del Partito – dove dominava la liturgia del leninismo – si accanirono contro di lui Giorgio Amendola, Giancarlo Pajetta e Mario Alicata, ma nessuno ebbe il coraggio di prendere misure punitive.

Nella sinistra di oggi un personaggio di quel calibro non esiste, come sono scomparsi la vera classe operaia e un partito che la rappresentasse seriamente.

Sabato, 3 dicembre 2022 – n° 49/2022

In copertina: Aboubakar Soumahoro durante una esposizione alla Camera dei deputati – Fermo Immagine da video. Camera.it

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